Afghanistan Tutti pronti per il risiko su Kabul Eleonora Ardemagni 04/03/2014 |
La fine della missione Nato apre nuovi spazi di confronto geopolitico tra le potenze regionali in Afghanistan. In attesa di scoprire se Kabul, dopo le elezioni presidenziali previste per il 5 aprile, saprà riappropriarsi di una politica estera autonoma, lo snodo afghano è oggetto delle attenzioni del Golfo e dell’asse russo-cinese.
L’Arabia Saudita (tramite il Pakistan) e l’Iran cercano di condizionare gli assetti etno-confessionali del futuro governo, mentre Russia e Cina tentano - in seno alla Shanghai Cooperation Organization (Sco) - di arginare l’islamismo militante e la criminalità transnazionale. A sorpresa, il dossier Afghanistan potrebbe diventare, per Washington e Teheran, un terreno di riavvicinamento politico.
Arabia-Pakistan vs Iran
Riyadh ha due obiettivi: la nascita di un governo afghano ancorato all’Islam sunnita (e all’etnia pashtun) e il contenimento dell’influenza iraniana nel paese. I forti legami economici fra il regno degli Al-Sa‘ud e i servizi di intelligence militare del Pakistan forniscono ai sauditi un canale di accesso privilegiato all’arena politica di Kabul. È stata proprio la “saudizzazione” dell’Islam pakistano - iniziata negli anni settanta - ad accentuare l’estremismo religioso nell’area Af-Pak, fino a generare il movimento dei talebani.
Per l’Iran, influenzare l’Afghanistan significa poter giocare un’ulteriore carta al tavolo della comunità internazionale, rimarcando quanto la risoluzione dei conflitti regionali passi per Teheran.
Inoltre, la repubblica islamica teme, lungo il suo confine, la proliferazione di narcotraffico, jihadismo e conflitti tribali per l’acqua. Oltre che sulla crescente interdipendenza commerciale, gli iraniani possono fare leva sui legami religiosi e linguistico-culturali con le due minoranze afghane, gli hazara (sciiti, forse di discendenza mongola) e i tagiki, in prevalenza sunniti che parlano un dialetto persiano, il dari; non è casuale che l’Iran spinga affinché il governo di Kabul sia rappresentativo delle diversità etno-confessionali.
Russia e Cina
Vi sono almeno tre ragioni per cui Russia e Cina perseguono una politica assertiva sull’Afghanistan. Esse condividono, nella macroregione euroasiatica, la lotta all’Islam militante e alle pulsioni separatiste, due fattori-minaccia che si intrecciano in Nord Caucaso e nella regione dello Xinjiang (dove vivono gli uiguri, i musulmani cinesi turcofoni). In più, il territorio afghano rappresenta il naturale viatico verso le coste commerciali del mar Arabico; da qui, si prosegue per l’Africa orientale, dove la Cina investe in materie prime.
La Sco - organismo multilaterale che comprende Russia, Cina e repubbliche centroasiatiche - ha attivato un “gruppo di contatto” sull’Afghanistan. Nel 2012, Kabul è divenuta membro osservatore della Sco (dopo Pakistan, India e Iran).
La sicurezza delle frontiere e il contrasto alla criminalità sono al centro di questo esperimento di regionalismo che ora si propone però di intervenire nella riconciliazione afghana: dopo il dialogo Af-Pak-Cina del dicembre scorso, sarà Shanghai a ospitare il prossimo incontro dell’Istanbul Process, inaugurato in Turchia tre anni fa come occasione di confidence-building tra le comunità dell’Afghanistan.
Alleanze multiple di Teheran
Sull’Afghanistan, l’Iran dispone di un set di alleanze multiple che lo pongono al centro delle reti negoziali. Nella Sco (che non produce però decisioni vincolanti per i membri), Teheran gioca di sponda con Russia e Cina, le potenze con diritto di veto in Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Nonostante la diffidenza reciproca, gli iraniani e i pakistani cooperano sull’Afghanistan (per esempio costruendo infrastrutture) anche perché condividono un problema: la sicurezza in Baluchistan. La regione, ricca di idrocarburi, si estende in entrambi i paesi: la metà dei baluci è di etnia pashtun e l’assemblea tribale (shura) di Quetta è il cuore ideologico dell’insorgenza talebana.
Tuttavia, Islamabad guarda ancora con sospetto all’Iran: il rivale dell’alleato saudita è anche un grande fornitore di petrolio all’India, primo competitor regionale del Pakistan. Vi è poi la Turchia, unico membro Nato e partner Sco, che importa gas dall’Iran; la guerra civile siriana e l’Iraq hanno però deteriorato i rapporti fra Ankara e Teheran, schierate sui due versanti contrapposti di Damasco e oggi riluttanti a collaborare per il futuro dell’Afghanistan.
Usa e Iran vicini su Kabul?
Gli investimenti in infrastrutture energetiche sul territorio afghano necessitano di una precondizione: la sicurezza. L’energia rischia pertanto di trasformarsi in un’occasione di interdipendenza regionale perduta. Con il ritiro della Nato dal paese sarà interessante osservare quale ruolo giocherà il forum a trazione russo-cinese, soprattutto se vi sarà una presenza militare Usa dopo il 2014, come prevede l’accordo bilaterale di sicurezza approvato dalla loya jirga ma che il presidente Karzai non ha firmato.
In questo quadro, le alleanze multiple intessute dall’Iran potrebbero allora rivelarsi cruciali: in più, la Casa Bianca ha un’idea del futuro governo afghano più somigliante ai desideri di Teheran (esecutivo rappresentativo delle minoranze) che a quelli dell’alleato saudita (governo a forte connotazione islamico sunnita). Dunque, a complicare la visita che a fine marzo il presidente statunitense compirà in Arabia Saudita c’è anche il nodo di Kabul.
Eleonora Ardemagni, analista in relazioni internazionali, collaboratrice di Aspenia, Ispi, Limes. Autrice di “Frammentazione della sovranità e nuove sfide di sicurezza: Yemen e penisola del Sinai dopo il 2011”, Ispi Analysis, 2014.
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L’Arabia Saudita (tramite il Pakistan) e l’Iran cercano di condizionare gli assetti etno-confessionali del futuro governo, mentre Russia e Cina tentano - in seno alla Shanghai Cooperation Organization (Sco) - di arginare l’islamismo militante e la criminalità transnazionale. A sorpresa, il dossier Afghanistan potrebbe diventare, per Washington e Teheran, un terreno di riavvicinamento politico.
Arabia-Pakistan vs Iran
Riyadh ha due obiettivi: la nascita di un governo afghano ancorato all’Islam sunnita (e all’etnia pashtun) e il contenimento dell’influenza iraniana nel paese. I forti legami economici fra il regno degli Al-Sa‘ud e i servizi di intelligence militare del Pakistan forniscono ai sauditi un canale di accesso privilegiato all’arena politica di Kabul. È stata proprio la “saudizzazione” dell’Islam pakistano - iniziata negli anni settanta - ad accentuare l’estremismo religioso nell’area Af-Pak, fino a generare il movimento dei talebani.
Per l’Iran, influenzare l’Afghanistan significa poter giocare un’ulteriore carta al tavolo della comunità internazionale, rimarcando quanto la risoluzione dei conflitti regionali passi per Teheran.
Inoltre, la repubblica islamica teme, lungo il suo confine, la proliferazione di narcotraffico, jihadismo e conflitti tribali per l’acqua. Oltre che sulla crescente interdipendenza commerciale, gli iraniani possono fare leva sui legami religiosi e linguistico-culturali con le due minoranze afghane, gli hazara (sciiti, forse di discendenza mongola) e i tagiki, in prevalenza sunniti che parlano un dialetto persiano, il dari; non è casuale che l’Iran spinga affinché il governo di Kabul sia rappresentativo delle diversità etno-confessionali.
Russia e Cina
Vi sono almeno tre ragioni per cui Russia e Cina perseguono una politica assertiva sull’Afghanistan. Esse condividono, nella macroregione euroasiatica, la lotta all’Islam militante e alle pulsioni separatiste, due fattori-minaccia che si intrecciano in Nord Caucaso e nella regione dello Xinjiang (dove vivono gli uiguri, i musulmani cinesi turcofoni). In più, il territorio afghano rappresenta il naturale viatico verso le coste commerciali del mar Arabico; da qui, si prosegue per l’Africa orientale, dove la Cina investe in materie prime.
La Sco - organismo multilaterale che comprende Russia, Cina e repubbliche centroasiatiche - ha attivato un “gruppo di contatto” sull’Afghanistan. Nel 2012, Kabul è divenuta membro osservatore della Sco (dopo Pakistan, India e Iran).
La sicurezza delle frontiere e il contrasto alla criminalità sono al centro di questo esperimento di regionalismo che ora si propone però di intervenire nella riconciliazione afghana: dopo il dialogo Af-Pak-Cina del dicembre scorso, sarà Shanghai a ospitare il prossimo incontro dell’Istanbul Process, inaugurato in Turchia tre anni fa come occasione di confidence-building tra le comunità dell’Afghanistan.
Alleanze multiple di Teheran
Sull’Afghanistan, l’Iran dispone di un set di alleanze multiple che lo pongono al centro delle reti negoziali. Nella Sco (che non produce però decisioni vincolanti per i membri), Teheran gioca di sponda con Russia e Cina, le potenze con diritto di veto in Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Nonostante la diffidenza reciproca, gli iraniani e i pakistani cooperano sull’Afghanistan (per esempio costruendo infrastrutture) anche perché condividono un problema: la sicurezza in Baluchistan. La regione, ricca di idrocarburi, si estende in entrambi i paesi: la metà dei baluci è di etnia pashtun e l’assemblea tribale (shura) di Quetta è il cuore ideologico dell’insorgenza talebana.
Tuttavia, Islamabad guarda ancora con sospetto all’Iran: il rivale dell’alleato saudita è anche un grande fornitore di petrolio all’India, primo competitor regionale del Pakistan. Vi è poi la Turchia, unico membro Nato e partner Sco, che importa gas dall’Iran; la guerra civile siriana e l’Iraq hanno però deteriorato i rapporti fra Ankara e Teheran, schierate sui due versanti contrapposti di Damasco e oggi riluttanti a collaborare per il futuro dell’Afghanistan.
Usa e Iran vicini su Kabul?
Gli investimenti in infrastrutture energetiche sul territorio afghano necessitano di una precondizione: la sicurezza. L’energia rischia pertanto di trasformarsi in un’occasione di interdipendenza regionale perduta. Con il ritiro della Nato dal paese sarà interessante osservare quale ruolo giocherà il forum a trazione russo-cinese, soprattutto se vi sarà una presenza militare Usa dopo il 2014, come prevede l’accordo bilaterale di sicurezza approvato dalla loya jirga ma che il presidente Karzai non ha firmato.
In questo quadro, le alleanze multiple intessute dall’Iran potrebbero allora rivelarsi cruciali: in più, la Casa Bianca ha un’idea del futuro governo afghano più somigliante ai desideri di Teheran (esecutivo rappresentativo delle minoranze) che a quelli dell’alleato saudita (governo a forte connotazione islamico sunnita). Dunque, a complicare la visita che a fine marzo il presidente statunitense compirà in Arabia Saudita c’è anche il nodo di Kabul.
Eleonora Ardemagni, analista in relazioni internazionali, collaboratrice di Aspenia, Ispi, Limes. Autrice di “Frammentazione della sovranità e nuove sfide di sicurezza: Yemen e penisola del Sinai dopo il 2011”, Ispi Analysis, 2014.
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