Asia

Per la traduzione in una lingua diversa dall'Italiano.For translation into a language other than.

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

Metodo di ricerca ed analisi adottato

Per il medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

Cerca nel blog

lunedì 11 gennaio 2016

L’ASIA IL CONTINENTE PIU' POVERO


Su dati comunicati dalla Asian Development Bank (ASDB) i due/terzi dei poveri del mondo sono in Asia. In questo continente vi sono 1,7 miliardi di persone con un reddito di meno di 2 $ al giorni; in più di questi 828.000 persone hanno un reddito inferiore a 1,25$ aò giorno. La ASDB ha avuto a Roma un incontro in cui ha illustrato i suoi fini: liberare l’Asia dalla povertà per permettere lo sviluppo. Al riguardo sono previsti piani per 730 miliardi di finanziamenti  da destinare ai settori dell’energia, dei trasporti, delle risorse idriche ed a quello della istruzione.

Massimo Coltrinari


giovedì 7 gennaio 2016

Cina: aperture militari all'Europa

Asia
Le relazioni militari tra Cina ed Europa: dinamiche attuali e prospettive
Nicola Casarini
04/01/2016
 più piccolopiù grande
L’evoluzione della postura militare cinese, incluse le revisioni dottrinali che si sono susseguite negli ultimi decenni, è oggetto di attenta osservazione da parte di Washington e dei suoi alleati asiatici.

L’Europa, seppur distante e non coinvolta direttamente nel mantenimento della sicurezza in Asia orientale, ha comunque prestato una certa attenzione a tali dinamiche. Già alla fine degli anni Settanta, infatti, un rapporto dell’Unione dell’Europa occidentale (Ueo), aveva messo in luce le implicazioni dell’evoluzione economico-politica e militare della Cina per la sicurezza europea (1).

Nel giugno del 1978, l’Assemblea della Ueo approvò una risoluzione (2) che raccomandava ai paesi membri di considerare in maniera favorevole le crescenti richieste cinesi di ottenere tecnologie occidentali, anche quelle dual-use e dall’evidente potenziale militare. Questo perché dopo il viaggio di Nixon in Cina nel 1972, la Repubblica popolare era diventata parte della strategia americana di contenimento dell’Unione Sovietica.

In un tale contesto, alcuni alleati europei degli Stati Uniti erano stati autorizzati a vendere tecnologia militare alla Cina, cosa che Washington non poteva fare per questioni di politica interna. Durante gli anni Ottanta, a varie delegazioni cinesi in visita in Europa era stato inoltre concesso di visitare fabbriche di armamenti e istallazioni militari della Nato. Il tutto fu reso possibile da due fattori: il beneplacito degli Stati Uniti e l’esistenza di un comune nemico.

Dal congelamento delle relazioni sino-europee all’apertura
In seguito al crollo dell’Unione Sovietica e dopo la repressione degli studenti da parte dell’esercito cinese in piazza Tian’anmen avvenuta nel giugno del 1989, le relazioni militari tra Europa e Cina subirono un congelamento. Il simbolo più forte di questo nuovo corso nelle relazioni sino-europee fu l’adozione dell’embargo sulla vendita di armi - tuttora in vigore.

Dal 1989 e fino all’ottobre 2003, quando Bruxelles e Pechino siglarono il partenariato strategico, le relazioni tra le due parti furono soprattutto incentrate sulle questioni economiche e commerciali. Nel 2003 avvenne, però, una svolta dalle importanti ripercussioni internazionali.

Sull’onda del partenariato strategico, i grandi paesi della Ue - con in testa Francia e Germania, ma anche Regno Unito e Italia - decisero di aprire la discussione sul superamento dell’embargo sulla vendita di armi.

Con una Cina in profonda trasformazione e un interscambio commerciale Ue-Cina in continua crescita, le leadership europee pensarono fosse giunto il momento di mandare un messaggio politico chiaro a Pechino, eliminando quello che il presidente francese dell’epoca, Jacques Chirac, aveva definito un anacronismo del passato.

Nell’autunno del 2003, un’intesa di massima su questo tema fu raggiunta in seno alla Ue-15. Anche i paesi del Nord Europa più sensibili alla questione dei diritti umani e con Parlamenti dove è tradizionalmente forte la lobby pro-Taiwan - come Svezia e Danimarca - avevano comunque deciso di allinearsi alla maggioranza degli altri paesi, anche per paura di eventuali rappresaglie commerciali da parte di Pechino, nel caso fossero stati additati come coloro che avevano impedito l’avvio di una tale discussione.

Nonostante ciò, la forte opposizione degli Stati Uniti (3) e dei loro alleati asiatici - in primis il Giappone - insieme all’intervento nel dibattito di alcuni parlamenti nazionali e del Parlamento europeo contrari alla revoca dell’embargo a causa delle continue violazioni dei diritti umani da parte del regime cinese, convinsero nel giugno 2005 un Consiglio europeo a 25 - in seguito all’allargamento della Ue ai paesi dell’Europa centrale e orientale - a sospendere sine die ogni discussione sul punto. Con questa decisione, la Ue metteva fine alle sue aspirazioni di riconoscere politicamente la Cina.

Lady Pesc e il dialogo con la Cina
Una ripresa della cooperazione sino-europea negli ambiti militari, di sicurezza e difesa si è avuta solo negli ultimi anni, in seguito alla creazione del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae).

Dal 2011 è stato infatti avviato un dialogo annuale tra l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e il ministro della Difesa nazionale cinese. Da notare che la Cina è l’unica tra le grandi potenze con la quale esiste un tale dialogo annuale, il quale permette all’Alto rappresentante Ue di parlare a nome dei 28 paesi membri anche su questioni militari.

Nonostante i temi discussi siano alquanto generici, l’Unione trae comunque un buon vantaggio di immagine da questo dialogo, al quale si affianca il dialogo annuale politico-strategico Ue-Cina.

Sull’onda di questi dialoghi, la delegazione Ue a Pechino è stata la prima tra tutte le rappresentanze dell’Unione all’estero ad aprire un ufficio dedicato esclusivamente alle questioni sicurezza e difesa e ad avere un attaché militare. A questo ha indubbiamente contribuito la creazione, dal 2012, di un dialogo ad hoc tra il presidente del Comitato militare della Ue – attualmente il generale greco Mikhail Kostarakos - e il suo corrispettivo dell’Esercito popolare di liberazione.

Bilanci della difesa
Il dialogo militare tra Ue e Cina trova una sua ragion d’essere anche nei dati relativi ai rispettivi bilanci della difesa. La spesa militare totale dei paesi Ue è seconda solo a quella del Pentagono e ammontava nel 2014, secondo i dati Sipri, a 278 miliardi di dollari (equivalente all’1,5% del Pil europeo). Ovviamente questi dati celano profonde differenze tra i paesi membri, che impediscono all’Unione di diventare una effettiva potenza militare.

Eppure, non può non colpire come il bilancio della difesa cinese, che a fine 2014 ammontava a 216 miliardi di dollari (sempre secondo il Sipri, mentre le cifre ufficiali del governo indicano una somma totale di 131 miliardi di dollari, equivalente all’1,2% del Pil cinese) resti inferiore al dato aggregato della Ue.

Questi dati ci permettono di concludere che la Ue sarebbe in grado di dialogare - e cooperare - con Pechino su un piano di vera parità, se solo i paesi membri trovassero la necessaria volontà politica e coesione interna. In mancanza di ciò - e nonostante i vari dialoghi sopra elencati - la Ue continua a essere percepita a Pechino come una grande potenza economica, ma un nano politico e militare.

(1) Frederic Bennett, “La Chine et la sécurité européenne”, Actes officiels, 24ème session ordinaire, 1ère partie, I. Documents de seance (Parigi: Unione dell’Europa occidentale, 1978), 79-97.
(2) Recommandation n° 315 sur la Chine et la sécurité européenne, adottata il 21 giugno 1978.
(3) Kristin Archick, Richard F. Grimmett e Shirley Kan, European Union’s arms embargo on China: implications and options for U.S. policy (Washington: Congressional Research Service, 2005), https://www.fas.org/sgp/crs/row/RL32870.pdf.

Articolo pubblicato su OrizzonteCina, rivista online sulla Cina contemporanea a cura di Torino World Affairs Institute e Istituto Affari Internazionali
.

Nicola Casarini, responsabile di ricerca Asia, Istituto Affari Internazionali (IAI).
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3278#sthash.DSiwufQH.dpuf

domenica 3 gennaio 2016

Sud Est Asiatico in ascesa

Sud Est asiatico
Il debutto dell’Asean Economic Community 
Pietro Ginefra
14/12/2015
 più piccolopiù grande
Con la nascita della sua comunità economica, l’Asean - l’ Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico istituzione fondata nel 1967 da Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore e Tailandia che, successivamente, ha coinvolto anche il Brunei (1984), il Vietnam (1995), il Laos e il Myanmar (1997) e la Cambogia (1999) - ha raggiunto uno dei suoi ultimi obiettivi politici.

Dopo aver posto le basi per creare un nucleo politico in grado di confrontarsi con il resto del mondo e sviluppare il network e le economie di scala necessarie per conseguire obiettivi socio-economici a cui i paesi membri non avrebbero potuto aspirare singolarmente, l’Asean ha contribuito a realizzare pace, prosperità e stabilità geo-politica regionale.

Il tutto anche se negli ultimi cinquant’anni numerosi sono stati gli avvenimenti di natura economica e finanziaria che avrebbero potuto ritardare il processo di sviluppo della regione.

Assist alla crescita
Proprio la stabilità politica della regione ha consentito, ad esempio, che, dopo il Plaza Agreement del 1985, le imprese giapponesi accelerassero il processo di integrazione delle loro strutture produttive con quelle dei paesi dell’area favorendo la nascita delle tigri asiatiche.

La successiva trasformazione della Cina nella fabbrica del mondo ha consentito a tutti i paesi del sud-est asiatico di entrare nelle catene del valore globale, offrendo spesso, grazie alla presenza degli investitori giapponesi, strutture specializzate nella produzione di semi lavorati ad alto valore aggiunto, da assembleare in paesi caratterizzati da salari più bassi.

La crisi finanziaria del 1997-98 ha, invece, spinto i paesi dell’area a lanciare, già nel 2000, su impulso del Ministro delle Finanze giapponese, Miyazawa, la Chiang Mai Initiative, accordo che consente ai paesi membri dell’Asean di ridurre i rischi di nuove crisi finanziarie condividendo, secondo specifiche procedure, le riserve ufficiali di Cina, Corea del Sud e Giappone - tra le più cospicue del mondo - in caso di eventuali attacchi speculativi alle valute della regione.

Sud-est asiatico sempre più integrato e competitivo
Agli inizi del 1997, i capi di stato dei paesi membri hanno approvato “l’Asean Vision 2020”, formalizzato nel 2003 con il Bali Concord II.

Il progetto di integrazione del sud-est asiatico (Single Asean Community) che i paesi intendono perseguire si basa su tre pilastri: l’Asean Security Community, l’Asean Economic Community e l’Asean Socio-cultural Community. Nel 2007, sono stati sottoscritti i Blueprint relativi ai tre pilastri ed è stata anticipata al 2015 la realizzazione del progetto.

L’Asean Economic Community Blue print intende rendere la regione del sud-est asiatico più competitiva sotto il profilo economico, favorendo lo sviluppo di un’unica base produttiva e di un unico mercato, garantendo uno sviluppo economico equo e sostenendo una maggiore integrazione dei paesi membri nel sistema economico globale.

Libera circolazione di beni, servizi, investimenti e lavoro qualificato, da un lato, e una regolamentazione meno restrittiva dei movimenti dei capitali, dall’altro, saranno gli elementi caratterizzanti questa nuova aggregazione che, se fosse costituita da un unico paese, rappresenterebbe la settima economia mondiale con un Pil pari, nel 2013, a 2,4 trilioni di dollari e con una popolazione di circa 600 milioni di abitanti.

Forum Italia-Asean
Purtroppo i processi decisionali dell’Asean Economic Community sono ancora demandati ai singoli stati nazionali competenti, tra l’altro, per la politica commerciale.

In assenza di accordi di libero scambio, che l’Unione Europea sta negoziando con i singoli paesi dopo aver avviato inutilmente trattative con la Segreteria Generale dell’Asean, difficilmente le imprese di paesi terzi potranno usufruire di condizioni di mobilità interne all’Asean simili a quelle tipiche del mercato unico europeo.

Tuttavia, appare rilevante, sotto il profilo politico, la costituzione di una Comunità rappresentativa di un nucleo di paesi che stanno realizzando un articolato progetto di integrazione economica e finanziaria.

L’Asean Economic Community potrebbe, infatti, rappresentare sempre più un elemento di stabilizzazione di un’area sottoposta a particolari tensioni da parte di Cina e Stati Uniti in competizione per la leadership nel Pacifico. La rilevanza strategica della regione è, d’altronde, sottolineata dall’importanza, per le rotte marittime, dello stretto di Malacca da cui passa il 40% del commercio mondiale.

In Italia, l’attenzione per l’Asean Economic Community ha portato alla creazione dell’Associazione “Forum Italia-Asean” presieduta dall’ex Presidente del Consiglio, Enrico Letta. L’Associazione, nata nel 2015, si ripromette di favorire scambi culturali, commerciali, industriali e finanziari al fine di sviluppare possibili sinergie tra l’Italia e i paesi della regione, le cui potenzialità sono amplificate proprio dall’avvio della comunità economica.

Pietro Ginefra è Direttore Principale, Servizio Relazioni Internazionali, Banca d’Italia. Le opinioni dell’autore sono strettamente personali e non possono essere attribuite all’Istituzione di appartenenza.