Asia

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Metodo di ricerca ed analisi adottato

Per il medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

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venerdì 27 maggio 2016

Taiwan: prospettive interessanti

Relazioni Europa-Cina
Taiwan, un nuovo presidente e le sfide per l’Ue
Nicola Casarini
20/05/2016
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L’Unione europea non riconosce politicamente la Repubblica di Cina con capitale a Taipei, ovvero Taiwan, in ossequio al principio di “una sola Cina” (one China policy) che prevede che solo la Repubblica popolare cinese con sede a Pechino rappresenti la Cina.

Questo principio guida le relazioni esterne di Bruxelles dal maggio 1975, data del riconoscimento ufficiale della Rpc da parte della Comunità europea. Nonostante il vuoto diplomatico-politico, le relazioni Ue-Taiwan sono solide: consultazioni ufficiali tra Bruxelles e Taipei si tengono annualmente su questioni che vanno dalla ricerca e tecnologia a educazione, cultura, ambiente e altri settori di interesse comune.

Particolare attenzione è data alla dimensione economico-commerciale: l’ufficio di rappresentanza della Ue a Taipei si chiama Ufficio economico e commerciale europeo (European economic and trade office: Eeto).

Solide relazioni economiche
Taiwan è il quarto partner commerciale della Ue in Asia, dopo Cina, Giappone e Corea del Sud. Con un interscambio che ammontava a fine 2014 a 40,2 miliardi di euro, Taipei conta l’1,2% del commercio globale della Ue, piazzandosi al diciannovesimo posto, in ascesa di due posizioni dal 2013.

L’Europa rappresenta per Taipei il quarto mercato di sbocco - dopo Cina, Giappone e Stati Uniti - e una fonte importante di investimenti esteri. Questi ultimi sono cresciuti del 115% tra il 2013 e il 2014, portando lo stock totale a 1,36 miliardi di euro.

Taiwan e Ue collaborano attivamente in seno all’Organizzazione mondiale del commercio, una delle poche organizzazioni intergovernative delle quali Taipei fa parte dal 2002 con il nome di Territorio doganale separato di Taiwan, Penghu, Kinmen e Matsu (Separate customs territory of Taiwan, Penghu, Kinmen and Matsu).

La Commissione europea ha incluso Taiwan nella sua recente comunicazione “Commercio per tutti”, adottata il 14 ottobre 2015. Nel documento si dice che “la Ue esplorerà la possibilità di avviare negoziati” sugli investimenti con Taiwan.

Una decisione che ha connotati simbolici e politici, se si pensa che Bruxelles sta attualmente negoziando un accordo bilaterale sugli investimenti con Pechino (Bit). È probabile che, una volta concluso il Bit tra Ue e Cina, tocchi poi a Taiwan, come accaduto già con l’entrata di Taipei nell’Omc, avvenuta un anno dopo l’ingresso della Prc, per ragioni politiche e di immagine.

Un contesto politico in evoluzione
La schiacciante vittoria di Tsai Ying-Wen e del Partito democratico progressista di Taiwan alle elezioni presidenziali e legislative tenutesi a inizio gennaio 2016 ha messo fine a otto anni di potere del presidente Ma e del suo partito, il Kuomintang, che aveva puntato sul riavvicinamento con la madrepatria cinese.

Con l’elezione di Tsai, l’elettorato taiwanese ha voluto mettere fine a un riavvicinamento alla Repubblica popolare che molti considerano deleterio per l’isola. La Cina non fa mistero di voler riportare Taiwan sotto la propria sovranità, anche con la forza, e mantiene circa 1.500 missili puntati sull’isola.

Nonostante il miglioramento delle relazioni economiche, la vittoria di Tsai dimostra che la maggioranza dei taiwanesi vuole mantenere una certa distanza con Pechino. E la questione taiwanese torna a riemergere nello scenario internazionale, con Tsa Ying-Wen che il 20 maggio si insedia ufficialmente - come previsto dalla Costituzione - alla presidenza.

L’Europa tra valori e realpolitik
Le nuove dinamiche impresse alle relazioni Rpc-Taiwan in seguito alla vittoria di Tsai non chiamano solo in causa gli Stati Uniti e gli alleati asiatici, in primis il Giappone, ma anche la Ue.

Nelle sue dichiarazioni ufficiali, Bruxelles continua ad appoggiare la risoluzione della questione taiwanese con mezzi pacifici, condannando l’uso della forza. L’Ue insiste inoltre che ogni accordo sullo status futuro dell’isola debba essere raggiunto tra Pechino e Taipei, senza interventi unilaterali, tenendo in considerazione i desideri della popolazione taiwanese.

All’indomani della vittoria di Tsai, Federica Mogherini ha fatto una dichiarazione succinta - di poche righe, per non indispettire troppo Pechino - richiamando l’attenzione sull’importanza del processo democratico a Taiwan e ribadendo il sostegno dell’Unione alla risoluzione pacifica delle relazioni tra Pechino e Taipei.

Se le posizioni di Mogherini e del Servizio europeo di azione esterna rimangono improntate alla massima cautela per non mettere a repentaglio gli interessi economici con la Cina, il Parlamento europeo non esita a prendere posizione a favore di Taiwan.

Il Gruppo degli amici di Taiwan nel Parlamento europeo, il cui chairman è il tedesco Werner Langen, si è congratulato per la vittoria di Tsai con una nota nella quale si esplicita il sostegno del gruppo nelle sfide future che Taiwan dovrà affrontare, anche in vista di relazioni sempre più strette tra Bruxelles e Taipei.

Proprio il forte impegno del Gruppo degli amici di Taiwan nel Parlamento europeo ha spinto per l’inclusione di Taipei nel documento della Commissione europea sul “Commercio per tutti”; inoltre, gli europarlamentari hanno promosso l’inclusione di Taiwan nel programma “Schengen visa waiver” che permette ai cittadini taiwanesi di entrare nello spazio Schengen senza bisogno di visto.

Il Parlamento europeo non ha, invece, molta voce in capitolo riguardo la politica estera europea. Questo permette alla Ue di giocare la carta dei valori nei riguardi di Taiwan e di salvaguardare gli interessi economici con la Cina grazie al ruolo più conciliante verso Pechino adottato dalla Commissione europea e dal Seae.

C’è da chiedersi, però, se di fronte all’evoluzione delle dinamiche tra Taiwan e Rpc un tale equilibrismo da parte della Ue possa continuare, senza che ciò metta a repentaglio quei valori e principi su cui si basa la costruzione europea e la stessa proiezione internazionale dell’Unione.

Articolo pubblicato su OrizzonteCina, rivista online sulla Cina contemporanea a cura di Torino World Affairs Institute e Istituto Affari Internazionali.

Nicola Casarini è coordinatore dell’area di ricerca Asia allo IAI.
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lunedì 16 maggio 2016

Relazioni Italia-Cina


A ogni turista il suo poliziotto
Nello del Gatto
13/05/2016
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Poliziotti italiani accompagnati da poliziotti cinesi. Si sono visti per due settimane, in alcune strade di Milano e di Roma, a seguito dell’accordo di cooperazione internazionale tra il Ministero dell’Interno italiano e la polizia cinese.

Turismo sicuro
Il progetto si chiama “Turismo Sicuro” e il suo scopo è quello di garantire ai turisti del Paese del dragone la massima sicurezza, specie nei luoghi di grande affluenza quali ad esempio a Roma il Vaticano.

L’accordo, che a sua volta segue un memorandum d’intesa siglato lo scorso 24 settembre all’Aja tra il ministero dell’Interno e il corrispondente dicastero della Pubblica sicurezza della Repubblica Popolare Cinese, prevede che i poliziotti cinesi, due a Roma e due a Milano, indossino sempre la loro divisa per essere facilmente riconoscibili dai loro connazionali, pur essendo coordinati dai Comandi dei Carabinieri italiani.

Prima di arrivare in Italia, i poliziotti cinesi sono stati sottoposti a un training speciale a Pechino, condotto da nostri esperti che si sono recati appositamente in Cina. Il loro compito è stato principalmente quello di assistere e dare informazioni in lingua ai sempre più numerosi turisti cinesi in arrivo nel nostro paese.

I dati ufficiali parlano infatti di 4 milioni di turisti cinesi giunti in Italia nel 2015 con tendenza all’aumento per il 2016. Il Ministro dell’Interno Angelino Alfano, ha parlato con entusiasmo dell’iniziativa, annunciando in Cina un’operazione simile con poliziotti italiani. Vero è anche che la collaborazione con forze dell’ordine di Paesi stranieri non è da considerarsi per l’Italia una novità assoluta.

Due anni fa venne attuato un progetto molto simile con la polizia spagnola. Agenti italiani e del Cuerpo National de Policia spagnola hanno prestato servizio congiunto in diverse località turistiche sia italiane e spagnole, specie nel periodo estivo.

E a Roma, per il Giubileo, sono arrivati in aiuto ai nostri agenti, anche poliziotti polacchi e degli Stati Uniti, anche se giustificare la presenza dei poliziotti cinesi con il giubileo pare forzato, in virtù della relazione non proprio stretta dei cinesi con la religione cattolica. Certamente però, la presenza dei poliziotti cinesi ha un impatto maggiore, anche in termini di immagine.

Nonostante questo, dall’iniziativa scaturiscono diversi dubbi, espressi anche da una parte della stampa internazionale. Il Global Times, quotidiano di Pechino, pur lodando in senso generale lo spirito di collaborazione manifestato in questa occasione dal nostro governo nei confronti della Cina, si è chiesto dell’utilità della presenza dei poliziotti cinesi, specie in considerazione del fatto che sono solo due per città rispetto alla grande quantità di cinesi presenti.

E il settimanale tedesco Der Spiegel, in un lungo articolo esprime forte perplessità sul fatto che un Paese come l’Italia senta la necessità, per garantire la sicurezza in particolare dei turisti stranieri, di importare, per così dire, le forze dell’ordine da Paesi terzi che, non avendo alcun inquadramento normativo, non ha alcun potere di effettuare arresti o interventi concreti.

Operazione di marketing
Una perplessità, quella avanzata dai tedeschi, che appare almeno in parte condivisibile. Anche perché la comunità cinese non è la sola ad avere una forte presenza, turistica e non, nel nostro Paese. Basti pensare ai russi, solo per fare un esempio.

Quella voluta dal governo italiano, allora, inevitabilmente, sembra più un’operazione di facciata, una sorta di “show off”, per dare l’immagine dell’Italia come di un Paese aperto al mondo e, soprattutto, al paese del dragone.

Il gigante asiatico è sempre più presente in Italia:intere città italiane, o almeno interi quartieri di esse, sono in mano ai cinesi. I consistenti e costanti aumenti dei flussi turistici dalla Cina dimostrano un continuo aumento dell’interesse per il Bel Paese, le sue bellezze e il suo invidiato stile di vita.

I poliziotti cinesi, che non parlano italiano e dunque non possono interagire con la popolazione locale, stanno svolgendo un ruolo che si avvicina di più a quello di un ufficio informazioni o guida. Cosa alquanto inutile considerando la forte presenza in Italia di persone che parlano il cinese, anche grazie ai numerosi corsi di lingua avviati dalle nostre principali università.

No dell’Ue all’economia di mercato cinese
La presenza dei poliziotti cinesi per le strade di Roma e Milano accorcia se possibile ancora di più le distanze, stringe i cordoni di un’amicizia che innegabilmente all’Italia fa comodo, anche e soprattutto in chiave economica. Asservimento in chiave utilitaristica? Forse. L’Italia però in questo non segue del tutto l’Europa o alcuni dei suoi partner europei.

Non a caso anche la Francia, un paio di anni fa, aveva avviato con la Cina delle trattative per un pattugliamento congiunto delle strade di Parigi, ma il progetto non era poi andato avanti a causa delle forti perplessità del governo francese, specie basate sulle profonde differenze normative e procedurali tra le polizie dei due paesi.

La decisione poi in queste ore dell'Europarlamento per il quale "la Cina non è un'economia di mercato" e "ancora non soddisfa i cinque criteri stabiliti dall’Unione europea per definire le economie di mercato", pone altre barriere tra il Paese del dragone e il vecchio continente, con l’Italia candidata a fare da pontiere.

Nello del Gatto, dopo aver lavorato come giornalista di nera e giudiziaria nella provincia di Napoli seguendo i più importanti processi di camorra, si è dedicato agli Esteri. Nel 2003 era alla stampa della presidenza italiana del consiglio dell'Ue; poi 6 anni in India come corrispondente per l'Ansa e successivamente a Shanghai con lo stesso ruolo (Twitter: @nellocats).
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lunedì 9 maggio 2016

Afganistan Offensiva di primavera dei Talebani

Lunedì 11 Aprile, i talebani hanno annunciato l’inizio della così detta offensiva di primavera, l’annuale ripresa delle attività di insorgenza coincidente con l’inizio della bella stagione. All'annuncio dell’operazione, quest’anno chiamata “Operazione Omari” in onore dello storico leader Mullah Omar, deceduto la scorsa estate, sono seguite le dichiarazioni del Ministero della Difesa che ha parlato di una pronta controffensiva da parte delle Forze di sicurezza afghane (ANSF), chiamata “Operazione Shafaq”, per cercare di arginare una minaccia che appare ormai sempre più pressante. Già nei giorni scorsi, come preludio dell’offensiva, i combattenti talebani avevano rivendicato due attenti a distanza di poche ore. A Jalalabad City (nella provincia di Nangarhar) una bomba su un bus dell’Esercito ha provocato la morte di 12 uomini e il ferimento di 38, mentre a Kabul un ordigno posato su strada è detonato al passaggio di un veicolo con personale del Ministero dell’Istruzione, uccidendo due persone e ferendone altre cinque. Mentre nel recente passato l’impraticabilità delle impervie vie di comunicazione interne aveva effettivamente rallentato l’avanzata dei miliziani ribelli nei mesi invernali, negli ultimi due anni i talebani hanno guadagnato un controllo talmente capillare del territorio da essere ormai in grado di mettere costantemente in seria difficoltà le autorità di Kabul e le ANSF.
Ad oggi, i talebani controllano o contestano alle Forze di sicurezza afghane circa 80 distretti su 400, non solo nelle tradizionali enclaves nel sud e nell'est del Paese, ma anche nelle regioni settentrionali, in passato storiche roccaforti delle forze di opposizione alla militanza. Oltre ai successi registrati questo inverno nella conquista della provincia meridionale dell’Helmand, i talebani hanno ormai rafforzato la propria presenza anche al nord, sia nella provincia di Kunduz sia in quella di Baghlan. In proposito, con la recente conquista di diverse basi militari e checkpoints a Dandghur (nei pressi del capoluogo di Baghlan), l’insorgenza sarebbe ora in grado di controllare importanti vie di comunicazioni verso il confine con il Tajikistan. L’attuale forza della militanza sembra essere confermata anche dalla recente scelta di numerosi comandanti, che momentaneamente avevano abbandonato la causa talebana per unirsi alla così detta branca Khorasan dello Stato Islamico, di tornare tra le fila dell’insorgenza. In un momento in cui le ANSF si dimostrano inadeguate nel rispondere ai problemi di sicurezza interna, il rinsaldamento del fronte talebano sembra destinato ad esacerbare ulteriormente la già profonda instabilità all’interno del Paese.

Fonte CESI Geopolitikal 214

OrizzontiCina Gennaio Febbraio 2016 Vol. 7



 bimestrale OrizzonteCina (ISSN 2280-8035)

In questo numero articoli su:

• Le implicazioni del nuovo scenario politico a Taipei
• I limiti e le opportunità della democrazia taiwanese
• Ambiente e politica a Taiwan
• Le relazioni Europa-Taiwan tra valori e realpolitik
• Stanley Kao, Rappresentante di Taipei in Italia – Intervista con il Direttore
• Il sistema dei media a Taiwan
• Prove di partecipazione politica attiva. I cinesi d’Italia e le primarie del Pd
• Nel paese delle nevi. Storia culturale del Tibet dal VII al XXI secolo, di Chiara Bellini – Recensione

lunedì 2 maggio 2016

Cina: novità da Hong Kong

Asia
Hong Kong riscopre la democrazia ateniese
Elisabetta Esposito Martino
29/04/2016
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Da inizio aprile si è diffusa una nuova fragranza nel Porto Profumato: quella della democrazia ateniese. Joshua Wong ha fondato un nuovo partito politico, battezzato Demosisto, insieme al gruppo di giovanissimi con cui, nell’autunno 2014, aveva dato vita al movimento Occupy Central, animando le strade di Hong Kong con una protesta che, anche dopo lo sgombero dell’ultimo accampamento, avvenuto nel dicembre dello stesso anno, non si era mai definitivamente spenta.

Il nome del nuovo partito vagheggia e profonde lo spirito che anima il comitato fondatore, un richiamo al demos, il popolo, come nucleo fondante della costituzione della polis greca, espressione concreta di una visione politica egualitaria, in cui tutti i cittadini sono posti sul medesimo piano, fusi nella totalità del corpo civico, nell’appartenenza che sostanzia la democrazia di Atene.

Al demos si aggiunge il verbo latino sisto che, in tutte le sue accezioni (innalzare, erigere, costruire, consolidare, rafforzare, stare, presentarsi, resistere, perseverare) racconta i sogni del popolo di Hong Kong, che intende resistere ed ergersi a baluardo di democrazia e di libertà, fermarsi e stare, come sentinelle in terra d’Oriente e, da ultimo, vuole presentarsi alle prossime elezioni.

All’indomani della rivoluzione degli ombrelli
I giovani che, guidando la rivoluzione degli ombrelli, hanno chiesto per due anni a gran voce una reale democrazia, hanno deciso di affrontare un nuovo agone, quello del parlamento della Regione amministrativa speciale di Hong Kong.

Dopo l’attivismo da strada, è giunta adesso l’ora di un impegno meno improvvisato, strutturato politicamente e culturalmente, che affronterà il primo esame nel corso delle elezioni per il Consiglio legislativo del prossimo settembre. Consultazioni, tuttavia, alle quali il fondatore del Demosisto ed i suoi collaboratori non potranno candidarsi, non avendo ancora compiuto i 21 anni richiesti per l’elettorato passivo.

Il Programma della nuova formazione politica richiama il coraggio e le aspirazioni che avevano permesso a pochi studenti di trainare un movimento sfuggito di mano ai borghesi moderati, sovente pedine di Pechino, nel distretto finanziario che rappresenta la forza motrice dell’incredibile sviluppo cinese.

La volontà che emerge è quella di entrare nei gangli del sistema politico, creando un partito capace di influenzare concretamente l’agenda politica, tessendo un consenso che spinga all'autodeterminazione e strappi l'isola dalle soffocanti maglie della rete del governo della Repubblica popolare cinese e del capitalismo più sfrenato.

Le dichiarazioni ufficiali sollecitano i sette milioni di abitanti di Hong Kong a non permettere al Partito comunista di determinare il futuro dell’isola ma, insieme alle altre formazioni politiche, di lavorare per mantenere ed aumentare l'autonomia nel panorama cinese, che declina la democrazia limitatamente al rule by law, come rappresentato dai potenti movimenti filo-Pechino.

HK exit all’orizzonte?
Il nuovo partito guarda al 2047, quando - in base all’accordo sulla riunificazione cinese negoziato da Deng Xiaoping e Margaret Thatcher - finirà lo spazio di operatività del principio costituzionale “un paese, due sistemi” e Hong Kong scivolerà completamente nel sistema politico ed economico di Pechino.

L’unico argine che possa frenare questo precipizio, secondo i giovani dell’isola, è rappresentato dalla democrazia che - mai compiutamente realizzata sotto il dominio coloniale britannico - aveva però radicato il rispetto delle libertà fondamentali, almeno fino ai recenti casi degli editori scomparsi, della Fishball Revolutiona Mong Kok durante il capodanno lunare, resi più inquietanti dal panorama distopico evocato dal film TenYears e dalla minacciata chiusura del museo che ricorda i fatti di piazza Tiananmen del 1989, inaugurato nel 2014. Per impedire tutto ciò si chiede come prima azione politica un referendum, una sorta di HK exit,per uscire dal tunnel evocato nel logo del partito.

Antichità classica e presente cinese
Ma questo vagheggiare il demos dell’antichità classica, se per l’occidente è foriero di un messaggio profondo, fatto di democrazia, di libertà e di uguaglianza, per un cinese è un vuoto risuonare. Innanzitutto il nome del partito risulta impronunciabile, inoltre la trasposizione in cinese (cantonese, Xiānggǎngzhòngzhì) si allontana dall’immaginario evocato per tornare ad un mixage tra aspirazione, ideale, volontà di un popolo - quello greco - allora compattato contro i barbari (persiani), ma ora da compattare contro i nuovi barbari, che però barbari non sono e anzi tacciano gli avversari di barbarie.

In effetti, il concetto stesso di democrazia è stato, nel continente del Dragone, rielaborato e combinato dapprima con la tradizione classica, come fece SunYat-sen con i "tre principi del popolo", e poi con quella socialista, come fece Mao con i discorsi "sulla nuova democrazia", focalizzandosi sulla partecipazione del popolo e declinando diversamente pluralismo e libertà. Inoltre le categorie occidentali non sono applicabili al sistema politico cinese, frutto di cinquemila anni di storia, segnati dal modello confuciano ora come allora.

Ad oggi non sappiamo quanta presa una simile formazione politica possa avere ad Hong Kong, e sarà la storia a raccontarlo. Certamente, la specificità di Hong Kong - città globale la cui gente si considera cittadina del mondo, smart, efficiente ed imprenditoriale, libera dalle catene della corruzione, forte nelle libertà ed anche per la tela di interessi economici - potrebbe costituire un laboratorio dove declinare i diritti e le libertà, la separazione dei poteri e l’equilibrio di checks and balances di matrice europea con il senso del dovere e dello stato e l’armonia ispirata dallo spirito confuciano.

Certo è che la partita che si gioca ad Hong Kong non riguarda solo sette milioni di cittadini ma il futuro dell’idea universale di democrazia.

Elisabetta Esposito Martino è sinologa e costituzionalista. Responsabile Ufficio Affari generali dell'INdAM. Componente del Redress Committee del Progetto INdAM Cofund -VII Programma Quadro dell'Unione Europea.
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