Asia

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Metodo di ricerca ed analisi adottato

Per il medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

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martedì 24 settembre 2013

Iraq: stabilizzazione del paese in grave rischi: verso un fallimento?

Medio Oriente
Equazione regionale per l’Iraq 
Maurizio Melani
23/08/2013
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I risultati conseguiti in Iraq tra il 2008 e il 2010 per la stabilizzazione del paese e la ricostruzione delle istituzioni rischiano di vanificarsi. Il processo involutivo nasce, sul piano interno, dai risultati senza una chiara maggioranza delle elezioni del 2010 e dalla lunga disputa politica e legale sulla loro gestione.

Grande coalizione
A Iraqya - la compagine guidata dal laico sciita Ayad Allawi, sostenuta dalla grande maggioranza dei sunniti e da forze trasversali stanche di conflitti settari introdotti artificialmente nel tessuto sociale con lo stragismo degli anni precedenti - non sono stati riconosciuti dagli organi giurisdizionali gli effetti di una esigua prevalenza nel voto sul raggruppamento a dominanza sciita del primo ministro uscente Nuri Al Maliki.

Questo ha potuto far valere una successiva confluenza sulla sua coalizione di altri gruppi sciiti, impedendo così il conferimento al rivale della possibilità di formare un governo.

Con l’appoggio americano ed europeo e il favore iraniano, una grande coalizione guidata da Maliki si è imposta come la soluzione in grado di evitare l'ingovernabilità. Gli obiettivi erano: un effettivo rientro dei sunniti nella gestione del paese assieme a sciiti e curdi; il superamento, voluto in modo crescente dalla popolazione, del settarismo religioso; intese sui contenziosi tra governo centrale e governo regionale curdo.

Cosi non è stato. Per mesi veti incrociati impedirono l’affidamento di incarichi ministeriali, lasciando scoperti posti cruciali per la sicurezza mentre si rafforzava il controllo di questo settore da parte di Maliki con l'organizzazione di reparti speciali sotto il suo diretto comando.

Le componenti sunnite denunciarono un processo di accentramento autoritario del potere mentre si completava, nel dicembre 2011, il ritiro delle forze americane e di una missione addestrativa della Nato. Non era infatti stato possibile accordarsi sulle immunità di una residua presenza di alcune migliaia di uomini per continuare l’assistenza al sistema di sicurezza iracheno.

Involuzione violenta
Ripresero gli attentati a moschee sciite e mercati ad opera di estremisti sunniti (jihadisti o baathisti). Accuse di complicità ad esponenti politici di primo piano portarono fino alla condanna a morte in contumacia dello stesso vice presidente della repubblica Tarik al Hashemi.

Ne derivarono azioni di boicottaggio delle istituzioni da parte di ministri e parlamentari sunniti in un contesto di tensioni crescenti, proteste di piazza represse e paralisi nell'azione di governo, accentuate dalla sostanziale uscita di scena per malattia dell'anziano presidente della repubblica, il curdo Jalal Talabani, e della sua azione moderatrice.

Parallelamente peggioravano i rapporti tra governo centrale e governo regionale curdo. Il Kurdistan diede rifugio a Tarik al Hashemi e ad altri esponenti sunniti, incoraggiato dalla Turchia. Ankara aveva a sua volta scelto di investire economicamente e politicamente in quella realtà dopo le precedenti ostilità. Il governo regionale di Massud Barzani ha così accentuato la sua autonomia, beneficiando di una forte crescita economica, grazie anche a condizioni di sicurezza assai diverse da quelle nel resto del paese.

Dispute tra governo centrale e Regione curda
In mancanza di intese sulla gestione delle risorse di idrocarburi, il governo regionale ha concluso accordi separati con società straniere, pronte a subire l’ostracismo del governo centrale, esportando petrolio verso la Turchia. Sono inoltre rimaste irrisolte le dispute sullo status e il finanziamento delle forze armate curde (i peshmerga) e sulle aree contese attorno ai confini della Regione, abitate da popolazioni miste.

La crisi siriana ha ulteriormente aggravato la situazione. Il governo iracheno, spinto dall’Iran, si è sostanzialmente schierato con Assad nella Lega Araba e ha lasciato transitare i sostegni di Teheran a Damasco e ad Hezbollah. Nuovi spazi si sono aperti per Al Qaeda e movimenti jihadisti anche in Iraq, dove il riacutizzarsi delle tensioni settarie ha ridotto gli anticorpi che, tra i sunniti, avevano consentito dal 2007 la loro emarginazione con l'aiuto americano. Il numero degli attentati stragisti, soprattutto contro la popolazione sciita, è ora tornato ai livelli del 2008.

Segnali positivi
Sul piano politico stanno comunque emergendo segnali di possibili sviluppi positivi i cui effetti sulla sicurezza non potranno però essere immediati. Incontri tra Maliki e Barzani nelle città di Erbil e Baghdad sembrano aver riattivato un percorso politico per i rapporti tra governo centrale e regione curda e per una intesa con la componente sunnita.

A una offerta americana di sostegno alle forze di sicurezza irachene Maliki ha reagito con segnali di apertura, in linea con la politica di incassare sostegni sia da Teheran che da Washington.

Una eventuale evoluzione della situazione iraniana potrebbe incoraggiare questi sviluppi. Ma occorrerà trovare un accordo sulle immunità che non è stato possibile tra il 2010 e il 2011 quando le posizioni americane e irachene erano inconciliabili e Maliki, mentre si congratulava e ringraziava per i risultati addestrativi dei nostri Carabinieri, indicava costantemente di non voler accettare regole della presenza militare straniera limitative della sovranità nazionale.

I problemi dell’Iraq non sono comunque risolvibili che nel quadro regionale. Essi sono parte di una equazione comprendente una stabilizzazione dei rapporti tra Monarchie del Golfo e Iran, i cui contrasti hanno accompagnato tutta la vicenda irachena, l'accettazione del ruolo dell'Iraq quale grande produttore di idrocarburi, una intesa sulla Siria con il concorso di Stati Uniti, Russia e Unione Europea e progressi nel dossier israelo-palestinese.

La nuova presidenza iraniana e l'avvio del difficile negoziato tra Israele e Autorità nazionale palestinese sembrano aprire finestre di opportunità. Non è scontato però che esse si concretizzino in una situazione complessiva nella quale la violenza della repressione in Egitto dei Fratelli musulmani rischia di aprire nuovi spazi alle forze jihadiste in tutta la regione.

Maurizio Melani è Ambasciatore d'Italia.
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Kazakhistan: prospettive di sviluppo

Conflitti e riforme
Futuro fosco per la tigre kazaka 
Alessandro Ronga
22/08/2013
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Noto ai più soprattutto per la presenza sul suo territorio del cosmodromo di Baikonur da dove sono iniziate le grandi imprese spaziali russe e dalle cui rampe di lancio partono i cargo russi diretti alla stazione spaziale internazionale orbitante, il Kazakhstan è tornato sotto i riflettori per la vicenda di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, rimpatriata precipitosamente dalle autorità italiane lo scorso maggio.

Il Kazakhstan è stato a lungo considerato una massa di steppa desertica attraversata dalla Via della Seta. Grazie allo sfruttamento delle enormi quantità di materie prime, il Paese è in realtà il cuore finanziario dell’Asia Centrale ex sovietica. A confermare il clima economico favorevole alla creazione di business è la graduatoria Doing Business 2013 della Banca Mondiale che colloca il Kazakhstan al 49° posto tra le nazioni dove sussistono le migliori condizioni per fare impresa. Astana è al 25° posto per la facilità nella creazione d’impresa, al 17° per il peso della tassazione sulle attività produttive e al 10° posto per la protezione degli investimenti esteri che dal 1992 hanno raggiunto il valore di 122,2 miliardi di dollari.

Sempre più multinazionali scelgono quindi il Kazakhstan come porta d’accesso ai mercati dell’ex Unione Sovietica. Su questa decisione pesa anche la vicinanza alla Cina, a cui il Kazakhstan guarda con molto interesse non solo per le importanti trattative in campo energetico in corso tra i due paesi, ma anche per il suo modello di sviluppo dove libertà economiche e politiche non procedono di pari passo.

Il monarca repubblicano
Formalmente il Kazakhstan è una repubblica presidenziale, ma nella realtà è una sorta di monarchia assoluta, il cui scettro è da oltre vent'anni nelle mani del presidente Nursultan Nazarbaev. Alto dirigente comunista negli anni dell’Unione Sovietica, quando questa fu dissolta divenne ufficialmente Capo di Stato. Era il 26 dicembre 1991 e da allora non ha più lasciato il potere, costruendosi una nuova capitale - l'avveniristica e fantasmagorica Astana - accumulando cariche, onorificenze e un patrimonio personale degno di un satrapo, superiore a 7 miliardi di dollari.

Nel pieno rispetto delle regole imposte dal culto della personalità, Nazarbaev si sottopone periodicamente al giudizio del suo popolo attraverso elezioni-farsa, ricevendo inevitabilmente un consenso che definire "bulgaro" sarebbe riduttivo. L'ultima consultazione elettorale del 2011l’ha visto trionfare con oltre il 95% dei voti. Tra questi anche quello di un candidato suo avversario, che, intervistato dalla televisione di Stato, ha ammesso di aver votato per il presidente uscente. Nazarbaev non ha alcuna intenzione di lasciare la poltrona, visto che ha chiesto agli scienziati dell’Università di Astana, a lui intitolata, di creare un elisir di lunga vita.

Conflitti sociali
Se la mancanza di democrazia può essere momentaneamente occultata da un diffuso benessere del popolo, la stessa comincia a generare effetti collaterali quando parte della popolazione viene esclusa dalle ricchezze. Nel dicembre 2011 nella cittadina di Zhanaozen, cuore petrolifero del Paese, alcuni operai della compagnia energetica statale KazMunaj Gas si resero protagonisti di una protesta in nome di un miglioramento dei salari e delle condizioni di lavoro.

La contestazione esplose durante una celebrazione per il ventennale dall’indipendenza da Mosca. I manifestanti erano scesi in strada contro la polizia che aveva tentato di sgombrare con violenza la piazza dove da mesi protestavano i lavoratori. Un gruppo di operai diede l’assalto a un palco allestito per un concerto celebrativo, demolendolo. Gli scontri che ne seguirono costrinsero Nazarbaev a proclamare lo stato di emergenza a Zhanaozen.

Quando la situazione tornò sotto il controllo delle forze di polizia, sul terreno restavano 14 morti e un centinaio di feriti. Sulla vicenda calò definitivamente il silenzio dei media, sia di quelli di Stato che di quelli indipendenti che denunciarono l’oscuramento dei loro siti web e degli account Twitter.

Per non parlare della misteriosa aggressione subita lo scorso anno dal giornalista Lupkan Akhmedjarov che dalle pagine del quotidiano d’opposizione Ural’skaja Nedelja aveva denunciato la violenta repressione subita dagli operai della KazMunaj Gaz, organizzando dei flash-mob in difesa dei lavoratori e della libertà d’informazione.

Anche se nel 2011 la percentuale di cittadini che vive al si sotto della soglia di povertà è calata al 5,3% - dal 12,7% del 2007 - accanto ai 5 miliardari e ai 12mila milionari che vivono in Kazakhstan ci sono fasce di popolazione povera che non potrebbero mai metter piede dentro uno dei tanti centri commerciali sbucati come funghi nel Paese, né accedere ai beni e servizi esposti al di là delle scintillanti vetrine.

Cercasi riforme
La crisi globale comincia a far sentire i suoi effetti anche in Kazakhstan. La crescita del Pil è destinata a rallentare (non andrà oltre il 5%, un dato al di sotto delle stime del governo). Per far fronte all’aumento dell’aspettativa di vita dei kazaki, arrivata a 69 anni, si sta pensando a una riforma del sistema pensionistico.

Per evitare un crack del sistema previdenziale, il governo punta a innalzare l’età pensionabile, ostacolando così il ricambio generazionale. La riforma potrebbe infatti avere come effetto una marcata riduzione delle opportunità lavorative per i giovani. Anche per questo risulta molto impopolare.

Un futuro a tinte fosche per la tigre kazaka suscita quindi una certa apprensione nei palazzi del potere di Astana. Il timore è che il malcontento popolare possa sfociare in rivolte simili a quella dei dipendenti della KazMunaj Gas.

Alessandro Ronga è giornalista e collaboratore del settimanale "Il Punto" .
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Nubi all’orizzonte per l’economia cinese? di Marco Sanfilippo


Gli ultimi mesi hanno fatto registrare alcuni timori di un ulteriore rallentamento dell’economia cinese. Nel corso di una recente consultazione con il governo cinese, i rappresentanti del Fondo
monetario internazionale (Fmi) hanno annunciato una revisione al
ribasso delle stime di crescita del Paese, ora prevista intorno al 7,7%
per il 2013 e il 2014, mostrando al contempo nuove stime al rialzo
sugli indici di debito pubblico e deficit, intorno al 50% e al 10% del
Pil rispettivamente. Lo stesso hanno fatto anche altre organizzazioni
internazionali, tra cui l’Ocse, che ha portato la stima della crescita
dall’iniziale 8,5% all’attuale 7,8%, ma con migliori aspettative per il
2014, quando il Paese dovrebbe tornare a crescere nuovamente sopra
l’8%.
Le ultime rilevazioni dell’Ufficio nazionale di statistica cinese giustificano la diffusa incertezza sulla capacità degli investimenti fissi di
continuare a sostenere la dinamica di crescita economica in Cina ai
ritmi del recente passato, giacché la crescita di tali investimenti ha
subìto un costante rallentamento dall’inizio dell’anno (Figura 1), così
come la crescita tendenziale dei consumi – altro potenziale volano –
resta inferiore ai valori toccati a fine 2012, essendosi stabilizzata intorno al 12-13% (Figura 1). Dopo la frenata primaverile, la produzione
industriale ha invece segnato a luglio un inatteso +9,7% (Figura 1),
attenuando i dubbi circa la capacità di utilizzare le risorse in eccesso
nell’industria e riportando l’indice Flash Purchasing managers’ index (Pmi) di HSBC oltre i 50 punti ad agosto (50,1), dopo le contrazioni di maggio (49,2), giugno (48,3) e luglio (47,7). Quando questo indice
– che misura lo stato di salute del settore industriale cinese sulla base
di sondaggi eseguiti presso le direzioni acquisti di oltre 420 imprese
del settore manifatturiero – supera la soglia dei 50 punti, l’economia è
ritenuta in fase espansiva.
Parte del pessimismo sullo stato di salute dell’economia rimane
inoltre legato a doppio filo alle vicende dei maggiori partner commerciali della Repubblica popolare cinese (Rpc), e in particolare dei paesi
dell’area euro. Le difficoltà del vecchio continente si riflettono in una
minor domanda per i beni prodotti nella Rpc (Figura 2). La crescita
delle esportazioni nel mese di maggio è risultata superiore di solo
un punto percentuale rispetto all’anno passato, mentre per il mese di
aprile si era registrato un incremento intorno al 14%. Questi dati sono
stati recentemente oggetto di discussione; alcune imprese hanno infatti appositamente sovrastimato il valore delle vendite all’estero per superare i controlli di capitale da parte del governo e poter importare nuovi capitali in valuta estera nel Paese. In effetti, se si confrontano le
statistiche sulla crescita delle esportazioni con quelle sull’incremento
del traffico portuale in uscita, si riscontrano delle forti discrepanze,
specialmente nel primo trimestre di quest’anno. È da rilevare tuttavia
che le autorità cinesi, ed in particolare la State administration of foreign exchange (Safe), si sono prontamente attivate introducendo controlli ad hoc sulle imprese per evitare il ripetersi di queste operazioni.
Una possibile spiegazione di questi comportamenti ha a che vedere
con il recente apprezzamento del renminbi. Mentre a fine aprile il tasso di cambio reale era superiore del 4,6% rispetto al valore raggiunto
a fine 2012, nel mese di maggio 2013 il tasso nominale di cambio raggiungeva il massimo storico sia rispetto al dollaro americano (Figura 3), sia rispetto allo yen giapponese. Secondo alcuni osservatori, le
recenti politiche del tasso di cambio hanno contribuito ad un peggioramento della posizione internazionale della Rpc riguardo agli investimenti. Se si osserva infatti la bilancia dei pagamenti cinese, l’attivo
con l’estero è determinato dall’ampia disponibilità di riserve di valuta,
mentre l’esposizione con l’estero è in deficit alla voce investimenti (Tabella 1). Questo deficit continua a crescere per due ragioni. In primo
luogo, il ritorno sugli investimenti è maggiore per gli investitori esteri
nel Paese rispetto a quanto la Rpc non riesca a ottenere dai titoli di
debito pubblico straniero che detiene in ampia quantità. In secondo
luogo, la recente svalutazione ha contribuito a un peggioramento della posizione internazionale, dato che la gran parte degli investimenti
cinesi è denominata in dollari. In futuro, ciò potrebbe contribuire
ad un maggiore afflusso di capitali dall’estero, considerando anche
il fatto che i tassi di interesse cinesi sono più elevati rispetto a quelli
americani.
(per approfondimenti:orizzontecina@iai.it)