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Metodo di ricerca ed analisi adottato

Per il medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

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mercoledì 31 luglio 2019

Il ruolo delle imprese e degli enti commerciali nella politica estera cinese


1.3  Panoramica sulle decisioni del governo cinese

Quasi in concomitanza con la decisione di aprire la Cina all'economia di mercato, anche se in forma limitata, fu presa la decisione di avviare il processo di investimento diretto all’estero. I leaders cinesi riconobbero che l'integrazione nell'economia mondiale era un elemento di vitale importanza per la crescita economica. Tuttavia, nonostante la riconosciuta importanza dell’ODI per questo processo di integrazione, nutrivano ancora una forma di apprensione riguardo ai mercati esteri,  preoccupati com’erano dalla possibilità di eccessivi deflussi di capitale e dalle restrizioni di cambio, nonché da una sensazione di inadeguatezza della Cina ad operare efficacemente all'estero e soprattutto dal pericolo di perdere il controllo del patrimonio statale. Pertanto, nelle prime fasi il Governo adottò un approccio molto cauto nei confronti dell’ODI che, inizialmente, costituì soltanto una minuscola parte, insignificante in termini economici globali. Nel 1979, l’ODI cinese ammontava soltanto a 0,8 milioni di renminbi,[1] ma quello fu solo l'inizio di un processo che, al suo apice nel 2008, ha raggiunto i 73 miliardi di dollari.[2]
La massiccia crescita cinese dell’ODI è stato il risultato di un processo evolutivo sviluppatosi per circa 30 anni e guidato fin dal primo momento dal governo centrale. Questo processo è stato caratterizzato da cinque fasi:[3] 
-       Fase 1 (1979-1983): Il Consiglio di Stato era l’unica autorità deputata all’approvazione dell’ODI che avveniva dopo aver esaminato ad una ad una le singole esigenze. Solo le entità statali erano autorizzate ad investire all'estero. Non furono promulgate norme sull’ODI;
-       Fase 2 (1984-1992): in questo periodo furono autorizzate a richiedere l'approvazione per l’ODI anche le imprese non-statali e vennero promulgate le prime norme standardizzate. L'allora Ministero del Commercio Estero e della Cooperazione Economica (MOFTEC), precursore dell’attuale Ministero del Commercio (MOFCOM),  nel maggio 1984 promulgò la “Comunicazione sui principi e lo scopo dell’Autorità per l'esame e l'approvazione della creazione di imprese non commerciali in paesi esteri, Hong Kong, e Macao”. Nel luglio 1985, il MOFTEC attuò ilRegolamento provvisorio sulle misure amministrative e procedure di esame e approvazione per l’istituzione di imprese non commerciali all'estero”;
-       Fase 3 (1993-1998): il verificarsi di importanti perdite di ODI a Hong Kong nel settore immobiliare e nei mercati azionari portò all’emanazione di misure più rigorose per il monitoraggio e il controllo dell’ODI. Lo scopo consisteva nel formalizzare le modalità di deflusso del capitale cinese oltremare, al fine di assicurarne il corretto investimento. La Commissione di Pianificazione Statale (di seguito indicata con la sigla CPS) e l’Amministrazione Statale di Controllo dello Scambio Estero (di seguito indicata con la sigla ASCSE) furono incaricate di rivedere e valutare le proposte di ODI superiori al milione di dollari. Il MOFTEC manteneva ancora a sè l’autorità di approvazione definitiva ed emanò ilRegolamento di Amministrazione di imprese oltremare”, nel 1993, e le “Misure per l'Amministrazione delle Società commerciali e dei loro uffici di rappresentanza all’estero”, nel 1997;
-       Fase 4 (1999-2002): questa fase segnò una svolta importante nell’incoraggiare ogni  tipo di impresa cinese ad andare all'estero. Il Consiglio di Stato iniziò infatti ad offrire incentivi quali sgravi fiscali, assistenza per il cambio e altre forme di sostegno finanziario. Inoltre, pubblicò “Consigli per incoraggiare le imprese a sviluppare affari oltreoceano nel settore della trasformazione e dell’assemblaggio di materiali” con l’obiettivo di promuovere la creazione di progetti di produzione, lavorazione e  montaggio di materiali cinesi all'estero;
-       Fase 5 (2002-oggi): Il 16° Congresso del PCC formalizzò nel 2002 la politica going global a sostegno di una strategia onnicomprensiva volta ad aprire l'economia cinese ai mercati esteri. La precedente normativa che disciplinava l'approvazione in maniera alquanto bizantina fu ottimizzata per favorire la strategia going global. Nel 2004, il Consiglio di Stato attuò un’importante dichiarazione con laDecisione sulla riforma del sistema di investimentoin cui il governo mutò il proprio ruolo da ente di  approvazione a organo di supervisione e sostegno delle imprese cinesi all'estero. Inoltre, la Commissione nazionale di sviluppo e riforma della Cina (di seguito indicata con la sigla CNSRC), il Ministero degli Affari Esteri e il MOFTEC diffusero ilCatalogo Guida ai paesi e alle industrie per gli investimenti all'estero”, che individuava determinati obiettivi per gli investimenti cinesi. L'elenco, suddiviso in specifiche aree geografiche e settori d’interesse, prevedeva che: “Qualsiasi impresa che risulti conforme al Catalogo guida e sia titolare di un certificato di approvazione per l’investimento all'estero...deve avere priorità nel godere di un trattamento preferenziale nell'ambito delle politiche dello Stato in relazione a finanziamenti, valuta estera, oneri fiscali e doganali, import ed export, ecc.[4] E’ evidente che la pubblicazione di un simile catalogo e delle annesse raccomandazioni, tuttora in vigore,  crea una possibilità di incidere sui mercati decisamente maggiore per un paese come la Cina rispetto ad un’economia occidentale. Circa tre quarti degli ODI cinesi riguardano le imprese statali. Il catalogo governativo mira ad indirizzare la strategia delle imprese e in particolare delle aziende di Stato che intendono  recarsi all'estero. Il catalogo 2004 comprendeva raccomandazioni per 67 paesi (26 in Asia, 13 in Africa, 12 in Europa, 11 nelle Americhe e 5 in Oceania) e 7 settori industriali tra cui elettronica, manifatturiero e risorse naturali. La CNSRC ha aggiornato i cataloghi nel 2005 e nel 2007.[5]
L'evoluzione della posizione governativa rispetto all’ODI ha comportato un graduale allentamento di norme in Cina, volte ad evitare la concorrenza e la duplicazione delle attività commerciali in paesi stranieri, perseguendo contemporaneamente il potenziamento e l’espansione del commercio in generale. In sintesi, il governo ha assunto delle decisioni tese a facilitare gli investimenti cinesi all'estero mediante: l'introduzione di incentivi finanziari e di altra natura; lo snellimento dei requisiti amministrativi e di approvazione; l’alleggerimento dei controlli per il deflusso di capitali, l’informazione e l’orientamento per le aziende che vogliono andare all'estero; la riduzione dei rischi di investimento per le aziende cinesi sui mercati esteri. La CNSRC e la Banca Export-Import Cinese hanno istituito un sistema di prestito preferenziale per progetti chiave all'estero che devono contemplare almeno uno dei seguenti aspetti:
-       progetti di sviluppo all'estero che coinvolgano risorse scarsamente disponibili in patria;
-       produzione all'estero e progetti infrastrutturali che fungano da sprone all’esportazione dalla Cina di tecnologia, prodotti, servizi e manodopera;
-       ricerca all'estero e progetti di sviluppo che forniscano accesso a tecnologie avanzate straniere e alle competenze di capitale umano;
-       fusioni e acquisizioni di società estere che migliorino la competitività delle aziende cinesi a livello globale e forniscano l'accesso ai mercati esteri.
Il governo cinese offre incentivi fiscali per le aziende cinesi affiliate all’estero che vengono dapprima esentate dalle imposte nei primi cinque anni di costituzione e, successivamente, vengono tassate soltanto al 20%.[6] La CNSRC e il MOFCOM  esaminano e approvano le richieste di ODI. Nel 2004 queste organizzazioni hanno rispettivamente emanato le “Misure provvisorie per l’amministrazione di esami e approvazioni di progetti di investimento all'estero” e le “Disposizioni in materia di esame e approvazione di investimenti per la conduzione di imprese all'estero” che hanno introdotto 3 importanti elementi: decentramento a livello locale del potere di approvazione dei progetti all'estero; semplificazione delle procedure tramite l’eliminazione degli studi di fattibilità e altri documenti giustificativi; aumento della trasparenza mediante un maggior ricorso a risorse online.
Il governo centrale cinese ha voluto collegare l’ODI rivolto a specifiche località e settori industriali con le strategie di lungo periodo della Cina. L’ASCSE è responsabile dei controlli sul capitale. L’enorme crescita del  surplus di capitale ha provocato un  aumento degli investimenti esteri. Nel corso degli anni, l’ASCSE ha gradualmente riformato e liberalizzato le procedure onde consentire alle imprese cinesi operanti all'estero di reinvestire più facilmente i profitti in loco. Nel 2005 ha permesso ai suoi uffici locali di gestire tutte le operazioni fino a 10 milioni di dollari e ha  assegnato ai suoi uffici cambi una quota di 5 miliardi. In sintesi, l'evoluzione delle politiche ASCSE ha permesso alle aziende cinesi di accedere ad una maggiore quantità di valuta estera e di prestare denaro alle loro filiali all'estero.
Il MOFCOM ha pubblicato nel 2004 le “Linee guida per gli investimenti in industrie dei paesi d'oltremare”, stabilendo che le imprese cinesi dotate di certificati di approvazione per gli investimenti all'estero sarebbero state autorizzate a trattamenti di favore riguardanti l'acquisto di capitale in valuta estera, la fiscalità, i dazi doganali e altri trattamenti governativi preferenziali. Inoltre, il MOFCOM ha creato una banca dati online per informare le imprese cinesi circa le opportunità di investimento all'estero.
Nello stesso anno, il MOFCOM ha definito anche iSistemi di riporto per gli investimenti e gli ostacoli al funzionamento”, mirati a diminuire i rischi di investimento sostenuti dalle società cinesi all'estero. Il MOFCOM sfrutta le missioni diplomatiche e le  altre attività commerciali cinesi all'estero, per evidenziare i problemi e le sfide che le aziende affrontano all’estero in modo da avvertire e proteggere i potenziali investitori. In caso di problemi, inoltre, il MOFCOM può anche ergersi a protezione  delle imprese cinesi all'estero, facendone le veci nei contatti con il paese ospitante.
Sempre nell’intento di ridurre i rischi di investimento per le imprese cinesi,  il  MOFCOM ha inoltre collaborato con alcune agenzie governative per emanare, a partire dal 2003, i seguenti cinque documenti:Sistema statistico per gli  investimenti diretti all'estero; “Misure per la valutazione complessiva e l’ispezione congiunta annuale relative agli investimenti oltremare”; “Sistema di registrazione via internet per l’esplorazione delle risorse minerarie nei paesi esteri”; “Sistema di riporto profasico  per le questioni riguardanti la fusione e l’acquisizione delle imprese oltremare.”
Il sostegno statale è cruciale per le imprese cinesi che vogliono andare all'estero. L'assistenza pubblica non si limita soltanto alla semplificazione delle procedure di approvazione necessarie per le imprese intenzionate a diventare globali. Oltre alle varie misure già introdotte, nel maggio 2009 il governo ha delegato a livello provinciale, e anche inferiore, il processo di approvazione degli investimenti fino a 100 milioni di dollari.[7] Pechino fornisce inoltre sovvenzioni e crediti alle imprese che tentano di penetrare i principali mercati d'oltremare con progetti nel settore energetico e nell’acquisizione di tecnologia.
Alcune Banche di Stato hanno ampliato la loro presenza all'estero, al fine di facilitare l’ODI e incrementare gli investimenti nei mercati finanziari d'oltreoceano. Dal 2007 al 2008, ad esempio, gli investimenti nei settori finanziari stranieri sono aumentati di 7 volte e hanno raggiunto il valore di circa 14 miliardi di dollari che, secondo il Ministero del Commercio, hanno rappresentato il 25,1% dell’intero ODI cinese di quel periodo.[8]
Nel mese di aprile 2009, il MOFCOM ha emanato nuove linee guida per gli investimenti all'estero. Questa volta, il pseudo-catalogo di mete consigliate per l’ODI cinese ha coperto oltre 160 sedi estere e, sfruttando i suggerimenti delle missioni diplomatiche, ha indicato opportunità, rischi e fattori mitiganti.[9]
Sempre nel 2009, il governo cinese ha anche annunciato che avrebbe destinato una quota delle sue riserve estere per sostenere “le imprese cinesi che si muovono sui mercati esteri”. Inoltre, il fondo sovrano China Investment Corporation (CIC), ha lanciato una campagna per ampliare le acquisizioni azionarie di società straniere.[10]
Come dimostrano tali dati, il governo centrale ha intrapreso passi concreti fin dai primi giorni dell’ODI cinese. La sua politica si è evoluta e riformata nel corso degli anni con semplificazioni e liberalizzazioni di procedure, politiche,  servizi e condizioni volte a incoraggiare, facilitare e proteggere gli investimenti cinesi all'estero. Senza dubbio ciò ha prodotto un notevole aumento delle imprese cinesi all'estero e ovviamente degli investimenti Secondo dati MOFCOM del 2010, la presenza cinese all'estero conta circa 14,400 imprese.[11]



[1] Kevin Cai, “Outward Foreign Direct Investment: A Novel Dimension of China’s Integration into the Regional and Global Economy,” The China Quarterly, no.160 (1999): 859.
[2] “FACTBOX:  China’s outbound M&A in 2009 and the past decade,” Thomson Reuters,  January 20, 2010, http://in.reuters.com.
[3] Kenny Zhang, “Going Global:  The Why, When, Where, and How of Chinese Companies’ Outward Investment intentions,” Asia Pacific Foundation of Canada, November 2005.

[4] David Zweig, “A New Trading State Meets the Developing World,” Hong Kong University of Science and Technology, Working Paper 31, 2010.
[5] Schueler-Zhou, Schueller, and Brod, “Chinas Going Global – Finanzmarktkrise bietet Chancen fuer chinesische Investoren im Ausland,” 4.
[6] James Zhan, “Transnationalization and Outward Investment:  the Case of Chinese Firms,” Transnational Corporations, Vol. 4, No. 3 (December 1995).
[7] Hu Yue, “Heading Abroad.  China Eases the Rules on Overseas Investment to Help Domestic Companies Go Global, Beijing Review, April 2009, 13.
[8] MOFCOM Website, www.mofcom.gov.cn.
[9] “China issues new guidelines for overseas investment,” People’s Daily, April 10, 2009, http://english.peoplesdaily.com.cn.
[10] Schuler-Zhou, Schueller, and Brod, “Chinas Going Global – Finanzmarktkrise bietet Chancen fuer chinesische Investoren im Ausland,” 4.
[11] MOFCOM Website, www.mofcom.gov.cn.

sabato 27 luglio 2019

martedì 16 luglio 2019

Cina: la politica estera e i suoi variegati aspetti


Il ruolo delle imprese e degli enti commerciali nella politica estera cinese


Heino KLINCK[1]






[1] Colonnello dell’Esercito degli Stati Uniti, frequentatore della Sessione IASD Anno Accademico 2010-2011 

Il ruolo dell’impresa nella liberalizzazione dell’economia cinese post-Mao è stato centrale sin dalle fasi iniziali e, da allora, le grandi aziende cinesi si sono dovute evolvere, per diventare competitive a livello internazionale. I leaders cinesi sapevano che avrebbero dovuto costruire potenti compagnie a livello mondiale affinché l'economia del Paese potesse crescere in modo sostenibile. Nell’agosto del ‘98, l’allora Vice Premier Wu Bangguo affermò che: “La nostra posizione nazionale nell’ordine economico internazionale sarà in gran parte determinata dalla posizione dei  nostri grandi gruppi e imprese.”[1]
Influenzato dall'esperienza del modello sud coreano chaebol e del giapponese keiretsu, Pechino decise di selezionare ciò che Nolan ha chiamato una Nazionale delle grandi imprese industriali, per alimentarle, favorirle e supportarle in modo da renderle  competitive a livello globale. Questi pochi eletti che The Economist ha definito  campioni nazionali, sono stati sostenuti con politiche industriali favorevoli, prezzi immobiliari ridotti, prestiti preferenziali e quotazioni  privilegiate in borsa.[2] Tra i prescelti comparivano la Sinopec (China National Petrochemical Corporation) e la CNPC (China National Petroleum and Gas Corporation), per il settore petrolifero e petrolchimico; l’AVIC (Aviation Industries of China) per il settore aerospaziale; le città di Shanghai, Harbin e Dongfang per gli apparati elettrici; le città di Yiqi, Erqi e Shanghai, per il settore auto; la China Mobile e la China Unicom per il settore delle telecomunicazioni.[3]
In Cina, alcuni settori industriali e commerciali sono considerati il cuore dell'economia nazionale e, pertanto, la legge prescrive che tutte le imprese ivi operanti siano di proprietà dello Stato o da esso controllate, a prescindere dalla struttura azionaria (tab.1). I settori in argomento sono: energetico (generazione e distribuzione); petrolifero, carbonifero, petrolchimico; gas naturale; macchinario; automobilistico; ferroso, acciaifero e metallifero; edile; informazione; telecomunicazioni; armamenti aerei e marittimi.[4]


Tabella 1: Imprese cinesi collegate al governo
Società
Attività
Produzione e distribuzione di petrolio
Telefonia mobile
Esplorazioni petrolifere
Informatica
Fonte: BusinessWeek, agosto 22/29, 2005
La crescente diffusione di entità commerciali al di fuori dei confini nazionali  è divenuta un elemento importante per la Cina dove gli attori di politica estera non si limitano al governo, al PCC e ai militari, ma si estendono, nell’attuale panorama, alle aziende di Stato, agli istituti finanziari e alle società del settore energetico. Questo fenomeno non riguarda esclusivamente la Cina, ma i suoi effetti sono molto piu’ appariscenti, poichè esiste una relazione simbiotica tra imprese, governo e leaders del partito. Inoltre, la particolare attenzione della Cina ad assicurarsi il flusso di materie prime provenienti da sedi offshore è accompagnata da  implicazioni commerciali di carattere politico, economico e di sicurezza.  L’ imperativo di far  crescere l'economia cinese con i suoi associati ODI, come descritto in precedenza, comporta anche l'importante ruolo di politica estera svolto dalle aziende commerciali.  La diplomazia del  “libretto di assegni” di Pechino si basa sulla presenza economica all'estero e quindi le imprese interessate sono un perno fondamentale  intorno al quale ruota la diplomazia.
Le aziende cinesi coinvolte nei settori di importanza strategica per lo Stato, ovvero  il petrolio, i minerali e la difesa, hanno un ruolo di rilievo nella politica estera cinese. Pertanto, quando si procede a formulare la politica di sicurezza energetica, i leaders delle grandi aziende di Stato (SOE) competenti in materia partecipano in qualità di membri al ciclo decisionale ufficiale. I dirigenti di queste aziende ricadenti sotto il governo centrale come la China National Petroleum Corporation (CNPC), ad esempio, sono nominati dal Dipartimento Organizzazione del Comitato Centrale del PCC e hanno rango di ministro o vice ministro e sono membri supplenti del Comitato centrale.[5]
La partecipazione dei vertici delle aziende SOE sia al sistema statale sia a quello partitico costituisce un importante legame politico, detto  guanxi, che consente loro di contribuire alle decisioni politiche relative agli specifici settori di attività ed interesse. A volte, il confine tra azienda e governo è davvero molto labile. Negli ultimi anni, ad esempio, due funzionari degli Esteri sono stati assegnati agli uffici della CNPC ubicati in un particolare paese, per poi divenire funzionari diplomatici in quello stesso paese in cui avevano prestato servizio come funzionari CNPC.[6]  Ciò sarebbe pressoché impossibile nel corpo diplomatico di altri paesi, perché la maggior parte delle economie sviluppate lo  considererebbe un inaccettabile conflitto di interessi.
Le aziende sono strumenti frequentemente usati per attuare la politica estera di Pechino come nel caso degli aiuti ai paesi del terzo mondo che, molto spesso, consistono nel realizzare grandi progetti infrastrutturali con imprese e finanziamenti bancari forniti dalla stessa Cina. Molte strade, stadi e ospedali in Africa, Asia Centrale, Sud Pacifico e nel bacino dei Caraibi sono stati costruiti dalla diplomazia del dollaro cinese. L'ambito e la portata delle attività commerciali cinesi all'estero dettano certamente fino a che punto esse devono essere considerate elementi di politica estera, com’e’ di solito molto evidente nel caso delle aziende energetiche cinesi in Africa e in Asia centrale.
Inoltre, altri accordi concernenti le risorse naturali sembrano rafforzare l’interdipendenza tra imprese e governo. In Afghanistan, nel 2007, la China Metallurgical Construction Corporation acquistò la miniera di rame Aynak e i media diedero ampia informazione riguardante le forti pressioni cinesi sul governo afgano e le presunte tangenti versate per ottenere il sostegno dei principali leaders afgani. L’affare da 3,5 miliardi di dollari prevedeva un impegno cinese a lungo termine per sviluppare infrastrutture ferroviarie, energetiche e sanitarie del paese.[7]
Tutte le imprese cinesi hanno un’organizzazione del PCC parallela alla struttura societaria, nel rispetto di un requisito standard che permette al PCC di essere sempre ben presente, vigile e visibile nelle attività commerciali. Sebbene decenni di riforme abbiano prodotto un’evoluzione delle aziende di Stato in molti settori, il ruolo del partito risulta ancora determinante. Il Chief Executive Officer (CEO) di un’azienda di Stato deve considerare alcuni fattori politici che non rientrano tra le competenze delle multinazionali e degli amministratori delegati di altri paesi. I CEO delle più grandi SOE sono in realtà nominati dal Dipartimento Organizzazione Centrale del PCC.  La Commissione di Supervisione e Amministrazione degli Assetti Statali (CSAAS)  controlla registra e valuta le attività di circa 200 imprese statali. La CSAAS ha ruotato senza alcun preavviso la leadership tra alcune compagnie telefoniche rivali (China Telecom, China Unicom e China Mobile).[8] Ciò assicura che le attività delle aziende cinesi, sia in patria sia all'estero, siano in linea con gli obiettivi del governo e del PCC che decide la regolare rotazione dei funzionari tra governo e cariche aziendali.[9]
Come indicato nel precedente esempio relativo ai diplomatici cinesi, l’influenza dell’apparato centrale è evidente anche in altri settori. Nell'ottobre 2003, ad esempio, Wei Liucheng divenne Governatore Provinciale dell'isola di Hainan dopo essere stato, nel suo precedente incarico, Amministratore Delegato, Presidente del Consiglio e Segretario di Partito della China National Offshore Oil Corporation.[10]
Il significativo legame tra partito e settore privato è ancora più evidente nel caso  di una delle società di maggior successo, l’Haier Group, produttore di elettrodomestici. Probabilmente questa società non ha una rilevanza strategica, ma negli Stati Uniti e’ molto famosa per i piccoli frigoriferi ideali sia per i vini sia per gli alloggi universitari,  e ha dunque un ruolo di rilievo dettato dall’enorme successo internazionale.  Pertanto, il suo presidente, Zhang Ruimin, è stato nominato membro supplente del PCC dal Comitato Centrale del 2002, divenendo uno dei pochi imprenditori che ricoprono un simile incarico, segno evidente delle sue connessioni politiche.[11]
La Export Import Bank of China (Eximbank) e la China Development Bank (CDB) sono le principali banche cinesi controllate dal governo. LEximbank è indirizzata all’espansione del commercio internazionale, mentre la CDB ha il compito di promuovere lo sviluppo delle infrastrutture economiche in Cina. Entrambe sostengono direttamente la politica governativa del going global, attraverso l’erogazione di prestiti, garanzie e crediti per le esportazioni a favore delle imprese cinesi operanti all'estero.  Sia l’Eximbank sia la CDB sono concentrate sulle società interessate allo sfruttamento delle risorse e dei progetti di sviluppo delle infrastrutture all'estero; pertanto, hanno assunto un ruolo importante per il supporto alle aziende dedicate alle risorse minerali, al petrolio, alle telecomunicazioni e al lavoro all'estero.
L’Eximbank è l'unica banca cinese autorizzata a concedere prestiti agevolati ed è il principale finanziatore di prestiti ai governi stranieri; quindi, è anche uno dei principali attori nell’allocazione degli aiuti all’estero. Sul proprio sito web, nel 2007 ha così descritto la sua missione:“Attuare le politiche statali nel settore industriale, del commercio estero, diplomatico, economico, finanziario ...” [12]  Nel 2009,  ha elargito un prestito di  5 miliardi di dollari alla Banca per lo sviluppo del Kazakistan, per realizzare un progetto petrolifero. L’operazione era parte di un accordo che ha concesso alla CNPC una quota del 50% in uno dei più grandi progetti relativi al gas e al petrolio Kazaki. LEximbank è anche una banca di policy  del Consiglio di Stato, condizione che unita al suo ruolo di aiuti all’estero, le dà voce in capitolo nel processo di formazione della politica estera per quanto riguarda il commercio e gli investimenti.
La CDB, invece, nel 2004 ha concesso un prestito agevolato di 10 miliardi di dollari all’Huawei Technologies, produttore di apparati di telecomunicazione, al fine di favorirne l'espansione all'estero. Nel 2007 ha investito 5 miliardi per costituire il Fondo di Sviluppo Cina-Africa, teso a finanziare e migliorare i rapporti commerciali sino-africani.[13]  Nel 2009 ha concesso un prestito di 25 miliardi alle società russe Transneft e Rosneft, gestrici di oleodotti, che ha immediatamente permesso di raggiungere l’accordo inerente a un oleodotto russo-cinese che sino ad allora era stato oggetto di aspri e inutili negoziati risalenti addirittura al 1994. Sempre nel 2009, la CDB ha anche erogato un prestito di 10 miliardi al più grande produttore petrolifero brasiliano, la Petrobras, ricevendo in cambio una fornitura decennale di petrolio. Inoltre,  ha costituito una joint venture con una banca in Pakistan destinata a supportare le aziende cinesi coinvolte nelle infrastrutture e nella produzione, mentre  sul versante  occidentale ha stanziato 3 miliardi, nel 2007, per acquisire un’importante quota della banca inglese Barclays.[14] 
La particolare  rilevanza  e influenza della  CDB, che ha un suo braccio di ricerca di policy e si concentra sullo sviluppo economico, è ulteriormente sottolineata dal rango ministeriale del Presidente della Banca. 
E’ un evidente vantaggio che gran parte degli investimenti cinesi all’estero vengano effettuati da imprese statali. Le SOE non sono infatti obbligate alla trasparenza richiesta ai concorrenti occidentali, che viceversa sono tenuti a pubblicare relazioni annuali per gli azionisti; inoltre, possono avere accesso immediato al capitale governativo e possono permettersi una visione strategica a lungo termine, integrata nelle priorità governative, senza l’assillo di dover inseguire i profitti a breve termine e doversi preoccupare di indirizzi che non provengano dal governo e dal Partito.[15]

Capitolo 3 - Motivi del "Going Global"

Gli investimenti esteri sono diventati una realtà crescente dell'economia cinese. Alcuni sostengono che ciò rappresenti un ampio processo di liberalizzazione economica e di ristrutturazione in cui gioca un ruolo di primo piano il governo centrale anziché l'imprenditoria privata. La spinta di Pechino agli investimenti all'estero è radicata nelle caratteristiche fondamentali del mercato e nelle realtà della globalizzazione e della regionalizzazione, oltre alle considerazioni geopolitiche e strategiche.[16]
Vi è un’ampia letteratura sugli obiettivi e le motivazioni dell’ODI. L’United Nations’ Department of Economic and Social Development, Transnational Corporations and Management Division (UN TCMD) individua 5 categorie principali di investimenti realizzati da imprese di paesi in via di sviluppo: ricerca di mercati per l’ODI; focus sull’esportazione; ricerca di risorse, tecnologie ed efficienza.[17] Nel caso cinese, l'OCSE  fissa 5 grandi categorie di ricerca: risorse, mercati, risorse strategiche, diversificazione ed efficienza.[18] Zhan cita le seguenti motivazioni dell’ODI cinese: sicurezza e stabilità di approvvigionamento delle risorse naturali indisponibili in Cina nelle quantità richieste; incremento delle riserve; opportunità di aumento delle esportazioni; accesso alle tecnologie avanzate e al capitale umano altrimenti indisponibili in Cina; consolidamento di legami economici e politici tra la Cina e determinati paesi.[19]
Alcuni studi hanno cercato di sintetizzare le linee guida seguite dalle imprese cinesi nelle operazioni di investimento estero con i seguenti punti:
-       ricerca  di nuovi mercati per le aziende di commercio;
-       desiderio delle aziende manifatturiere di evitare la saturazione dei mercati nazionali e gli ostacoli agli scambi con altri paesi;
-        necessità di assicurarsi un accesso stabile e sicuro alle materie prime, alle fonti energetiche e alle risorse naturali;
-       necessità di acquisire competenze tecnologiche e manifatturiere avanzate;
-       esigenza di ottenere marchi riconosciuti a livello internazionale;
-       imparare  metodi avanzati di gestione;
-       sfruttare le politiche preferenziali di investimento all’estero;
-       ridurre i costi di produzione;
-       trasferire all’estero l’eccesso di produzione.[20] 
Tra la fine del 1988  e la metà del 1989, la Fudan University di Shanghai effettuò un'indagine, sotto la supervisione dell’Ufficio Cooperazione Economica Internazionale del MOFTEC, per accertare i motivi che avrebbero dovuto spingere la Cina ad investire all'estero. Il questionario  proponeva 18 alternative tra cui le prime sei erano: creare le condizioni per altre attività commerciali; aprire nuovi mercati; acquisire informazioni di prima mano sulla produzione estera e di mercato; promuovere le esportazioni di beni strumentali, materiali e del lavoro; acquisire tecnologie, capitali stranieri e capacità di gestione; sfruttare le condizioni preferenziali offerte dal governo.[21]
L’agenda politica ed economica a dimensione globale del governo cinese è un fattore chiave della spinta alle imprese per andare all'estero. Con l'espansione dei legami economici bilaterali e multilaterali, Pechino è in grado di aumentare il proprio peso politico e di influenzare sia le aree oggetto di accordo sia quelle limitrofe.  E' evidente che l’apertura economica della Cina all'esterno, come si può osservare nei suoi mezzi e fini, è chiaramente in linea con la strategia di rafforzare la presenza politica a livello globale. Infatti, i leaders politici ed economici (di Stato e di partito) operano in coordinamento tra loro per rafforzare i rapporti cinesi con le altre regioni e paesi.
Pertanto, si può concludere che ci sono diversi denominatori economici comuni che ispirano l’ODI cinese, riassumibili nella possibilità di  assicurarsi l'accesso ai mercati esteri, alle risorse naturali, alle tecnologie avanzate e alla proprietà intellettuale.
La ricerca di nuovi mercati è l’obiettivo principale della maggior parte degli investimenti all’estero, in linea con l'economia di esportazione stabilita in Cina sin dalla fine del 1970. Le imprese cinesi hanno bisogno di andare all'estero per garantirsi il costante accesso a clienti cui vendere i loro prodotti. Nel settore manifatturiero, la domanda interna cinese è al suo zenith e si riscontrano anche grandi eccessi di produzione in alcuni sub-settori quali  il tessile, il calzaturiero e le elettroforniture.  L'economia cinese dipende dalle esportazioni e le industrie prosperano in funzione delle commesse estere, come dimostrato dalla recente recessione economica globale che ha provocato immediati contraccolpi sulle fabbriche non appena gli ordini hanno iniziato a diradarsi. La grande dipendenza dai mercati del Nord America e dell'Europa occidentale si è ampliata ai mercati emergenti:Africa, America Latina, Eurasia e Sud-Est asiatico. Di conseguenza, le società di servizi cinesi hanno stabilito canali di esportazione in queste aree,  per sostenere  più efficacemente i produttori cinesi mediante prodotti in linea con le esigenze della clientela d'oltremare. Queste imprese avanzate fungono dunque da recettori di indicazioni di mercato. Un altro motivo che spinge inoltre le imprese cinesi ad espandersi all'estero e’ la possibilità  di evitare tariffe e barriere commerciali.
La disponibilità di risorse naturali procapite in Cina è relativamente bassa e, quindi, il Paese guarda all'estero per garantirsi un accesso costante alle risorse naturali.  Dall'inizio di going global, la ricerca di risorse naturali è in cima alle priorità governative relative all’ODI. Il petrolio e il gas naturale necessari per alimentare l'industria e l'economia nazionale sono oggetto di crescente attenzione, ma anche rame, stagno, alluminio, ferro, legname e altre materie prime vengono sempre più alla ribalta, giacché  le imprese cinesi desiderano assicurarsi l'accesso a lungo termine alle materie impiegate nella loro economia di esportazione.
La ricerca di assets strategici è un tema centrale per le società cinesi che si sono recate all'estero per acquisire un marchio, una tecnologia, un’expertise o qualcosa di materiale o concettuale difficilmente producibile in patria o senza aiuti esterni. Le imprese cinesi del settore aeronautico, spaziale, elettronico e ingegneristico hanno cercato di stabilirsi all'estero per canalizzare il ritorno in patria di tecnologie fondamentali per migliorare le capacità produttive cinesi. Idem dicasi per le attività di ricerca e sviluppo.  Nel 1988, ad esempio, la Shougang Corporation comprò il 70% del Masta Engineering Company, un'azienda americana tra le più note a livello internazionale per la progettazione e la costruzione di impianti metallurgici. Grazie all’acquisizione di questa  quota di maggioranza, la Shougang si trovò in condizione di accedere, praticamente da un giorno all'altro, a tutti i piani, progetti, brevetti e tecnologie della Masta raggiungendo in un colpo solo livelli  di capacità altrimenti impossibili da ottenere in tempi così brevi. [22]
Un altro esempio è rappresentato dall’acquisto di un’icona automobilistica, la svedese Volvo, che nel 2010 lo sconosciuto Zhejiang Geely Holding Group ha rilevato per 1,8 miliardi. Il Gruppo ha così acquisito non solo il know-how su come gestire una catena di approvvigionamento internazionale e una rete globale di concessionari, ma anche la proprietà intellettuale in materia di sicurezza che ha reso la Volvo leader indiscusso del settore e che ora consente all’industria cinese di sanare una delle sue più gravi carenze nella produzione di vetture.[23] Ed infatti il portavoce del Ministero del Commercio ha esplicitamente detto che l'accordo con la Volvo offre quelle capacità tecnologiche che l’industria automobilistica cinese ha vanamente agognato per lungo tempo.[24]
Un elemento chiave che ancora manca alla crescente capacità economica cinese è l’affermazione ed il riconoscimento di un nome a livello internazionale. Con l'acquisto di marchi stranieri affermati come IBM o Maytag, le aziende cinesi sono in grado di acquisire in 24 ore la notorietà internazionale di una marca e la proprietà intellettuale di imprese estere che consentono un salto tecnologico per l'acquirente cinese.
In sintesi, le imprese stanno cercando di rafforzare il loro loro accesso alle risorse naturali necessarie per continuare ad alimentare la rapida crescita economica della Cina. L’acquisizione di gas e petrolio esteri è in cima alle priorita’ governative e quindi le aziende statali come Petrol Cina, Sinopec e CNOOC si stanno rapidamente espandendo oltremare in cerca di assets che possano sostenere la crescita economica nazionale. Infine, occorre anche considerare che l'ingresso di Pechino nel WTO ha sì aperto il mercato cinese alle aziende straniere e ha creato una maggiore concorrenza interna, ma ha anche spianato la strada per l'estero ai cinesi, che stanno costruendo le proprie capacità per competere in modo più efficace e redditizio sia in patria sia all’estero. 

Capitolo 4 - I settori dell'ODI cinese e i relativi Attori

I dati 2009 indicano che, nell’ultimo decennio, il valore delle acquisizioni cinesi all'estero (fusioni e acquisizioni internazionali) ha toccato i 187 miliardi di dollari, proiettando il paese al 3° posto nella classifica mondiale degli investitori, dopo USA e Francia. E’un incremento notevole rispetto al 12° posto del 2000. Il 52% dell’ODI cinese è concentrato nella regione Asia-Pacifico, ma la Cina risulta anche il 2° investitore in Australia e Canada, nonché 1° al mondo nel settore energetico e 2° nelle materie prime.[25]
Secondo il MOFCOM, all’estero sono presenti circa 14,400 aziende cinesi, in gran parte a partecipazione statale  e focalizzate sul settore energetico e delle risorse naturali sin dall’avvio della campagna  going global.
Le risorse naturali hanno un ruolo centrale nell’ODI cinese. Pechino già soffre di una grave carenza per molte di esse e non è affatto disposta a basare la sua crescita economica sulla capacità dei mercati di garantire la regolarità di flusso delle risorse di cui ha bisogno, poiché teme che l'offerta non sia in grado di tenere il passo con la sua crescente domanda e che la concorrenza mondiale per accaparrarsi risorse sempre più limitate possa soltanto ulteriormente aggravare la situazione. Negli anni ‘90, il governo cinese iniziò a spingere le imprese petrolifere statali ad effettuare significativi investimenti oltremare in risorse petrolifere e gas, nonché nelle reti di trasporto necessarie per l’approvvigionamento cinese.
La Cina ha iniziato a importare petrolio nel 1993, con un 6% del fabbisogno poi salito al 42% nel 2005, al 49% nel 2008 e al 50% nel 2009 (tab. 2). La previsione di dipendenza dall’estero indica il 70% nel 2020. [26] Nel 2007, la Cina annunciò che le compagnie petrolifere nazionali avrebbero investito in nove paesi: Ecuador, Kuwait, Libia, Marocco, Niger, Norvegia, Oman, Qatar, e Bolivia.[27] Gli investimenti iniziali furono devoluti a progetti poco rischiosi di riabilitazione e sviluppo dei giacimenti. Poi le attività sono state ampliate. La Sinopec si è concentrata sulla raffinazione; la CNPC e la CNOOC si sono dedicate all’esplorazione e alla produzione (tab. 3).[28] 


Fonte: BP Statistical Review of World Energy, dati storici -  www.bp.com.
Tabella 3: Paesi in cui le imprese cinesi operano una o più concessioni
Società
Paesi
CNPC
Algeria, Azerbaijan, Ciad, Ecuador, Guinea Equatoriale, Indonesia, Irak, Kazakistan, Mauritania, Niger, Nigeria, Perù, Sudan, Siria, Thailandia, Turkmenistan, Venezuela
CNOOC
Guinea Equatoriale, Indonesia, Kenya, Birmania, Filippine
Sinopec
Australia, Arabia Saudita, Ecuador
Sinochem
Emirati Arabi Uniti
Fonti: Siti web delle Società e US Energy Information Administration
Il 2009 ha visto un livello particolarmente elevato di attività nel settore petrolifero. La SINOPEC ha comprato la svizzera Addax Petroleum per 7,56 miliardi di dollari.[29] A marzo, la CNPC ha acquistato per 390 milioni la canadese Verenex Energy, proprietaria al 50% di un importante giacimento libico. Un mese prima, la China Development Bank e la China Petroleum and Oil Company hanno investito 10 miliardi nella brasiliana Petrobras,  operatrice di uno dei più grandi giacimenti di petrolio sottomarini al mondo, scoperto di recente. Solo due giorni prima dell'affare Petrobras, la Cina ha prestato 15 miliardi alla Rosneft e 10 miliardi alla Transneft, le principali ditte russe nel settore degli oleodotti.[30] Questi contratti prevedono che i prestiti vengano restituiti non in contanti, ma sottoforma di  greggio a prezzi di gran lunga inferiori rispetto a quelli di mercato.
In termini di risorse minerarie, la Cina possiede solo il 58% della media mondiale di ciò che è necessario per soddisfare le sue esigenze.[31] La grande crescita e lo sviluppo negli ultimi trent’anni sono illustrati dalla percentuale di consumo delle risorse globali. Poiché la Cina fabbrica molti dei beni di consumo mondiali, essa si affida alle materie prime per alimentare la crescita delle industrie esportatrici. Diverse fonti citano la necessità cinese di materie prime. Un articolo opportunamente intitolato La Cina mangia il mondo sottolineava molto bene questo fenomeno storico e affermava che la quota cinese nel consumo mondiale di alluminio, rame, minerali ferrosi e nichel era raddoppiata dal 7% del 1990 al 15% del 2000, sino a raggiungere il 20% nel 2004.[32] Un altro rapporto del 2005 riportava i seguenti consumi: cemento: 47%; cotone: 37%; riso: 32%; carbone: 30%: acciaio grezzo: 26%: alluminio:21%: rame:20%; grano:16%; petrolio:8%.[33] Un terzo rapporto affermava che il consumo di rame era passato dal 10% del ‘97 al 23% del 2007, con un tasso di incremento annuo della domanda pari al 12,5%per la Cina, mentre il resto del mondo si ferma all’1,5%.[34]
Negli ultimi anni, i funzionari cinesi hanno visto la crisi finanziaria globale come un'opportunità per  acquisire partecipazioni nelle forniture internazionali di risorse naturali strategiche (tab. 4). La leadership di Pechino si rende perfettamente conto che in futuro il paese avrà bisogno di tali risorse e quindi sta orientando gli investimenti in questi settori, per sfruttare il momento di riduzione dei prezzi. E’ eloquente in proposito l’attenzione che la Cina ha riservato negli ultimi due anni all’Australia, sottolineata dagli sforzi compiuti dall’Alluminum Corporation of China (Chinalco), dalla China Minmetals e dallo Hunan Valin Iron and Steel Group of China per acquisire, rispettivamente, rilevanti partecipazioni nelle australiane Rio Tinto, Oz Metals e Fortescue Metals Group.[35] Nonostante le grandi riserve cinesi di carbone, la Yanzhou Coal Mining Company ha acquistato per 2,9 miliardi la miniera di carbone operata dall’australiana Felix Resources Limited,[36]
Tabella 4: Profilo delle società minerarie cinesi operanti all'estero
Società
Aluminum Corporation of China (Chinalco)
Bauxite e  alluminio
SOE
Baosteel Group Corporation
Ferro e acciaio
SOE
Nanchuan / Bosai
Bauxite
Privata
China Machinery and Electrical Equipment Export and Import Company (CMEC)
Progettazione, costruzione, centrali elettriche, energia, estrazione mineraria
SOE
China Metallurgical Group Corporation (MCC)
Progettazione, costruzione, estrazione mineraria
SOE
China Minmetals Corporation
Estrazione e commercializzazione metallifera
SOE
China National Geological and Mining Corp (CGM)
Produzione e commercializzazione metallifera
SOE
China Non-Ferrous Metals Mining Group (CNMC)
Progettazione, costruzione, estrazione mineraria
SOE
Jinchuan
Nichel e platino
SOE
Luanhe Industrial Group
Acciaio e minerario
Privata
Shenhua Group Corporation
Carbone e produzione di energia
SOE
Shougang Group
Ferro e acciaio
SOE
Sinosteel
Acciaio e minerario

Tonghua Iron and Steel
Ferro e acciaio
SOE
Wuhan Iron and Steel
Ferro e acciaio
SOE
Yankuang
Carbone
SOE

Si può affermare che le acquisizioni cinesi nei settori del petrolio e di altre risorse naturali sono state guidate da Pechino per diversi motivi. In primo luogo, il governo cinese ha chiaramente individuato il bisogno, se non addirittura la dipendenza da  risorse naturali indisponibili in patria in quantità adeguate, tant’è vero che questa dipendenza è aumentata negli ultimi anni. Una relazione complementare riporta che la dipendenza della Cina dall’importazione di petrolio è cresciuta dal 31% del 2000 al 41% nel 2010 e dovrebbe raggiungere il 58% entro il 2020. La percentuale di dipendenza dall’importazione di rame è cresciuta dal 48% del 2000 al 72% del 2010 e dovrebbe attestarsi all’82% nel 2020. La necessità di importare zinco è passata dallo 0% del 2000 al 53% del 2010 e dovrebbe collocarsi al 69% nel 2020.[37]  Queste risorse sono necessarie per sostenere la crescita economica complessiva.
Le imprese cinesi hanno concentrato gli sforzi anche sulle acquisizioni di aziende ad alta tecnologia all'estero che, come visto in precedenza, costituiscono tema fondamentale della strategia going global, mentre altri imperativi sono da ricercare nell’affermazione del marchio, nel  capitale umano e nella possibilità di compiere balzi in avanti nella catena del valore.  Il caso più evidente che incorpora tutte le motivazioni appena elencate, è rappresentato dalla Lenovo che, tra il 2004 e il 2005, ha acquistato, al prezzo di 1,75 miliardi di dollari, la Divisione Personal Computer dell’IBM, ivi compresi la produzione, la ricerca e lo sviluppo. La Legend, come si chiamava la società prima di essere ribattezzata Lenovo, aveva raggiunto il suo picco nel 2002, toccando il 30% della quota di mercato cinese relativo ai PC. L'acquisizione dell’IBM è stata poi in parte dettata dalla constatazione che la compagnia cinese stava progressivamente perdendo quote di mercato interno a causa dell’arrivo  in Cina di nuovi attori quali le società americane Dell e Hewlett-Packard.
L'accordo ha immediatamente fornito alla Lenovo le tecnologie e le capacità supplementari necessarie per trasformarsi in un attore globale nell’industria dei PC. Ciò ha comportato l'acquisizione di talenti gestionali di livello internazionale, un marchio di valore, l'accesso a canali e clienti globali, nonché un consolidato sistema di gestione e una presenza operativa a livelli planetari.  L'accordo prevedeva lo sfruttamento quinquennale della licenza del marchio, l'acquisizione di marchi riconosciuti a livello mondiale come il ThinkPad, un’alleanza strategica con la quale la IBM vende prodotti Lenovo ad aziende nel mondo e un accordo per la fornitura di servizi di supporto IBM alla Lenovo a livello mondiale. Il presidente della Lenovo, Yang Yuanging, ha annunciato che l'acquisizione ha permesso all'azienda di accelerare i suoi piani di espansione globale di 10 o 20 anni, mentre la crescita organica sarebbe costata più di 2 miliardi di dollari.[38]
Anche il fattore tempo ha svolto un ruolo significativo nell’ODI cinese.  La recente recessione globale ha fornito alla maggior parte degli investitori cinesi l'opportunità di investire in risorse per il futuro, bloccando i prezzi ai valori attuali e talvolta anche a soglie più competitive. Ad esempio, l’accordo precedentemente citato con le russe Rosneft e Transneft ha permesso alla Cina di bloccare per 20 anni i prezzi del petrolio a circa 20 dollari al barile, ovvero ad un valore  di gran lunga inferiore rispetto ai tassi prevalenti.[39]  Ampie prove si riscontrano anche tra quelle imprese americane ed europee che hanno vissuto gravi difficoltà finanziarie e si sono trovate a dipendere da iniezioni di capitale governativo per garantirsi la sopravvivenza commerciale.  Anche queste imprese sono diventate oggetto di investimenti cinesi che stanno sfruttando la possibilità di “pesca in profondità".[40]  Il 3 dicembre 2009 la Xian Aircraft Industry Group  (XAC) ha acquistato la quota di controllo della società austriaca di componenti aerei Fischer Advanced Composite Components (FACC).  Dopo un aumento di capitale da 40 a 80 milioni di euro, la XAC detiene il 95,625% di tutte le azioni FACC,[41]   una società sottoposta ad un notevole stress finanziario che non sarebbe mai stata in grado di sostenersi senza un’assistenza esterna.  Di conseguenza, a fronte di una diminuzione del 20% dell’ODI mondiale verificatasi nel 2008 , nello stesso periodo l’ODI cinese e’ giunto addirittura a raddoppiarsi.[42] 



[1] Peter Nolan and Jin Zhang, “The Globalization Challenge for Large Firms from Developing Countries: the Case of China’s Oil and Aerospace Industries,” University of Cambridge, 3.
[2] “The Struggle of the Champions,” The Economist, January 6, 2005.
[3] Nolan and Zhang, “The Globalization Challenge for Large Firms from Developing Countries: the Case of China’s Oil and Aerospace Industries,” 3.
[4] Derek Scissors, “Deng Undone,” Foreign Affairs 88, no. 3 (May/June 2009): 28.

[5] Linda Jakobson and Dean Knox, “New Foreign Policy Actors in China,” SIPRI Policy Paper #26, September 2010.
[6] Jakobson and Knox, “New Foreign Policy Actors in China,” 26.
[7] Jakobson and Knox, “New Foreign Policy Actors in China,” 27.
[8] Frederik Balfour, “The State’s Long Apron Strings,” Business Week, August 22, 2005, 61.
[9] Scissors, “Deng Undone,” 28.
[10] Wood and Brown, “China ODI: Buying into the Global Economy,” 30.
[11] Yibing Wu, “China’s Refrigerator Magnate,” The McKinsey Quarterly, no. 3 (2003): 109.
[12] China Eximbank website, http://english.eximbank.gov.cn//.
[13] China Mobile Bids to Take Her First Global Step,” China Daily, March 15, 2005.
[14] Bill Powell, “Enter the Dragon,” Time, August 2, 2007, http://www.time.com/time/magazine/article/0,9171,1649318,00.html.
[15] Congressional Research Service Report, China’s Foreign Policy:What Does it Mean for U.S. Global Interests?, report prepared by  Kerry Dumbaugh, July 18, 2008, 13.
[16] Mark Yaolin Wang, “The Motivations Behind China’s Government Initiated Industrial Investments Overseas,” Pacific Affairs, Summer 2002.
[17] UN-TCMD, Transnational Corporations from Developing Countries: Impact on their Home Countries, (New York:  United Nations, 1993), 11-14.
[18] Wood and Brown, “China ODI: Buying into the Global Economy,” 29.
[19] Zhan, “Transnationalization and Outward Investment:  the case of Chinese Firms.” 
[20] Zhang, “Going Global:  The Why, When, Where, and How f Chinese Companies’ Outward Investment intentions,” 13.
[21] Ye Gang, “Chinese Transnational Companies,” Shanghai Research Institute of Economy and Trade.
[22] Zhan, “Transnationalization and Outward Investment:  the case of Chinese Firms.” 
[23] “Geely Buys Volvo,” The Economist, April 3, 2010, 60-61.
[24] “Geely’s US$2B Volvo Deal a Test Run for Foreign Takeovers,” South China Morning Post, February 6, 2010, 8.
[25] “FACTBOX:  China’s outbound M&A in 2009 and the past decade,” Thomson Reuters, January 20, 2010, http://in.reuters.com.
[26] Wood and Brown, “China ODI: Buying into the Global Economy,” 34.
[27] Au Loong Yu and Kevin Li, “Preliminary Report on China‟s Going Global Strategy,” Globalization Monitor Limited, February 2009, 27-28
[28] Andrews-Speed and Vinogradov, “China’s Involvement in Central Asian Petroleum,” 389.
[29] Schuler-Zhou, Schueller, and Brod, “Chinas Going Global – Finanzmarktkrise bietet Chancen fuer chinesische Investoren im Ausland,”  3.
[30] Bill Powell, “Buying Binge,” Time, March 16, 2009, 26-27.
[31] Wood and Brown, “China ODI: Buying into the Global Economy,” 34.
[32] Andy Rothman, “China Eats the World: The Sustainability of Chinese Commodities Demand,” Credit Lyonnais Securities Asia, March 2005.
[33] Pete Engardio, “A New World Economy,” Business Week, August 22, 2005, 43.
[34] Johannes Heinritzi, “Noch Viel Aufzuholen,” Focus-Money, November 2007, 77
[35] Powell, “Buying Binge,” 26.
[36] Schueler-Zhou, Schueller, and Brod, “Chinas Going Global – Finanzmarktkrise bietet Chancen fuer chinesische Investoren im Ausland,” 3.

[37] Wood and Brown, “China ODI: Buying into the Global Economy,” 34
[38] “Going Global Poses New Challenges for Chinese Companies,” Singapore Management   
[39] Powell, “Buying Binge,” 27.
[40] Dexter Roberts and Frederik Balfour, “China’s Shopping Spree,” BusinessWeek, July 27, 2009
[41] FACC website, http://www.facc.at/en/ueberuns/index.asp?dat=history.
[42] Ken Davies, “While Global FDI Falls, China’s Outward FDI Doubles,” Columbia FDI Perspectives, www.vcc.columbia.edu/documents/DaviesPerspectives-final.pdf.