Asia

Per la traduzione in una lingua diversa dall'Italiano.For translation into a language other than.

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

Metodo di ricerca ed analisi adottato

Per il medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

Cerca nel blog

lunedì 15 giugno 2015

Russia: la minaccia viene da Oriente

Cecenia e Tagikistan
Il Califfo e le paure di Mosca
Giovanna De Maio
04/06/2015
 più piccolopiù grande
Il sedicente Stato Islamico avanza e fa paura, ma a preoccupare non sono solo i successi sul territorio. Il reclutamento dei foreign fighters rende l’Is un nemico dai contorni sempre più sfumati che arriva a lambire anche i confini di alcune aree delicate sotto il profilo politico e strategico.

È il caso di Cecenia e Tagikistan che hanno chiesto aiuto a Mosca trovando un interlocutore reattivo. Le preoccupazioni del Cremlino si riferiscono all’unità della Russia e alla sua proiezione nello spazio post-sovietico. Dopo l’Ucraina, evidentemente, Mosca non vuole perdere altri pezzi.

L’Islam in Russia
La storia dell’Islam in Russia è plurisecolare. Da Caterina la Grande ai bolscevichi, gli scontri avevano soltanto affievolito la resistenza. Difatti, all’indomani del crollo dell’Urss le tradizioni islamiche della periferia sud dell’impero sovietico sono tornate a farsi sentire.

Si stima che i musulmani rappresentino circa il 14% della popolazione russa attuale, una minoranza la cui presenza si avverte. Se solo una quindicina di anni fa sembrava impossibile, oggi alla Duma si è riaperto il dibattito sulla poligamia, probabilmente fomentato dalla notizia di cronaca del matrimonio di una ragazzina di 17 anni con un ufficiale ceceno di trent’anni più vecchio.

L’atteggiamento di Mosca verso l’Islam è sempre stato piuttosto tollerante, almeno a parole. L’unità del Paese, così come impostata dal presidente Vladimir Putin, non si basa sulla confessione religiosa, ma su fattori di coesione quali l’uso della lingua russa e l’interesse nazionale. Per questo motivo Mosca ha spesso chiuso gli occhi in Cecenia e in Dagestan sulla poligamia o sul divieto di vendere alcolici. L’obiettivo dichiarato è indebolire l’opposizione che accusa Mosca di reprimere la cultura islamica.

Cecenia, un esperimento non riuscito
Il tema della convivenza delle diverse confessioni islamiche è particolarmente sentito in Cecenia. Attraverso la persona di Ramzan Kadyrov, l’uomo del presidente Putin in Cecenia, Mosca ha lottato contro le correnti più radicalmente indipendentiste, fautrici dell’introduzione della sharia. I fatti, però, non permettono di definirlo un esperimento riuscito.

Kadyrov è un personaggio particolare, di recente finito sotto la lente dei media: prende parte a ben due film, un thriller di Hollywood e un documentario che lo riguarda.

Curiosamente, pochi giorni fa, l’ideatore del documentario, l’attivista di Open Russia Vladimir Kara-Murza, ha avuto un malore e ci sono buone probabilità che sia stato avvelenato. Il reportage di Murza racconta la corruzione dell’élite cecena e descrive Kadyrov come un leader irrazionale, incurante dello spreco dei fondi pubblici, oltre a indicare un presunto coinvolgimento di combattenti ceceni nel Donbas ucraino.

Le paure di Kadyrov sulla possibilità che giovani ceceni si uniscano all’Is non sembra infondata. Egli doveva essere il catalizzatore di un bilanciamento tra la lealtà a Mosca e le tradizioni islamiche. Tuttavia, proprio per il legame con Mosca non è riuscito a rappresentare che una parte della popolazione, allontanando brutalmente gli oppositori.

Tagikistan , nel mirino di talebani e jihadisti
Ex repubblica socialista sovietica, il Tagikistan è ora una repubblica semipresidenziale indipendente che confina con l’Afghanistan. Secondo alcune fonti d’intelligence, i talebani afghani di concerto con i militanti dell’Is, ne avrebbero preso di mira il confine. Il presidente tagiko Emomali Rahmon ha chiesto aiuto a Putin.

Per l’occasione, Mosca ha rispolverato il Csto (Collective Security Treaty Organization), organizzazione nata come apparato militare di sei nazioni della Comunità di Stati indipendenti (tra cui il Tagikistan). Sotto l’egida del Csto sono state condotte esercitazioni militari congiunte e testata la sua forza di reazione rapida.

Tuttavia molti esperti non concordano sull’esistenza di una reale minaccia per il Tagikistan. Al contrario sostengono che gli incidenti di frontiera siano stati sporadici e che, cavalcando il timore dell’Is, il governo tagiko si assicuri un flusso ininterrotto di armi da Mosca (oltre al trasferimento già avvenuto di 1,2 miliardi di dollari).

In cambio, Mosca accresce la sua influenza sul Tagikistan, dove si riverseranno 9000 soldati entro il 2020 e che già oggi è lo Stato che ospita la più grande divisione armata russa al di fuori dei confini della federazione.

Gli interessi di Mosca
Dopo l’Ucraina, il Cremlino non può permettersi altri arretramenti in quello che storicamente considera l’estero vicino. L’avanzata dell’Is non costituisce tanto una minaccia d’attacco diretto, quanto piuttosto di erosione delle già contestate basi della presenza russa nel Caucaso e in Tagikistan.

Contenere gli effetti della propaganda jihadista ha notevole importanza, non solo in vista dell’unità del Paese. Per Mosca è fondamentale mantenere e incrementare le proprie posizioni strategiche in aree sensibili, nell’ottica di costituire uno dei centri del tanto agognato ordine multipolare post guerra fredda, corretto e riveduto dalla lente del Cremlino.

Giovanna De Maio è dottoranda di ricerca presso l'Università degli Studi di Napoli L'Orientale; è stata stagista per la comunicazione presso lo IAI.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3089#sthash.Y92mOF4Y.dpuf

Asia: verso nuovi orizzonti

Verso la Terza Via
Le profezie di Bandung e la sibilla cinese
Elisabetta Esposito Martino
29/05/2015
 più piccolopiù grande
La Primavera del 1955 vide germogliare un nuovo modello di rapporti internazionali che presero forma durante la conferenza di Bandung, un evento, il primo dopo secoli, in cui l’Occidente non catalizzava le attenzioni e non fungeva da arbitro, incrinando la suddivisione in sfere d’influenza che stava caratterizzando il secondo dopoguerra.

La Conferenza, presieduta dall’indonesiano Sukarno, riunì 29 stati dell’Asia e dell’Africa e permise ai più importanti leader dell’epoca, tra i quali il cinese Zhou Enlai, l’indiano Nehru e l’egiziano Nassèr, di confrontarsi per proclamare a gran voce la necessità di combattere ogni forma di colonialismo sia occidentale che sovietico, di avviare piani strategici di cooperazione economica e culturale, di sostenere i diritti fondamentali e l’autodeterminazione dei popoli, affinché milioni di persone passassero indenni dal colonialismo all’indipendenza e si potesse pensare alla realizzazione di una pace sostanziale e duratura.

Durante la Conferenza di Bandung la presa di coscienza della diversità delle priorità delle popolazioni di Africa e Asia e della necessità della cooperazione tra i paesi in via di sviluppo non solo accelerò il processo di decolonizzazione, ma permise di seminare un vero spirito internazionalistico capace di superare i meri traguardi razziali o regionali, fino a coniugare l’indipendenza e il rispetto delle identità nazionali con l’uguaglianza ed i diritti umani.

Le Profezie di Bandung
Inizia a Bandung la crisi del modello politico europeo che, nel terzo millennio, sta coinvolgendo i sistemi politici ed economici di tutto l’Occidente, determinando la frantumazione di molti valori che la crisi economica degli ultimi anni ha spazzato via, insieme a una fetta di benessere e di ricchezza, scolorendo con il pensiero debole le idee che avevano sostenuto la civiltà europea, già tradite dal colonialismo e dall’imperialismo.

Risale a Bandung il lento ma ineluttabile allontanamento dalle strutture costituzionali veicolate dai vecchi colonizzatori e lentamente deterioratesi a causa dell’adozione di schemi autoritari, sovraordinati a masse frammentate che, non avendo partecipato né all’evoluzione politica né, tanto meno, ai progressi sociali ed economici, hanno maturato una crescente disaffezione agli ideali importati.

Tale disillusione, tanto più radicata quanto maggiore è stato lo sfruttamento e la mancata realizzazione degli obiettivi, conduce interi popoli di larghe fasce dell’Asia e dell’Africa al tragico bivio che porta verso i barconi dei profughi o verso le milizie islamiche.

Comincia ad offuscarsi a Bandung il sogno di cambiamento della Rivoluzione d’Ottobre e a delinearsi una “terza via” che, alla Conferenza del Cairo del 1961, prese forma nel “movimento dei non allineati” in cui si prefiguravano altri modelli di comunismo, quello di Tito e quello di Mao, in un terzo mondo che comprendeva l’India, l’Africa nera, i Paesi Arabi, l’America del Sud, fino ai ghetti neri degli Stati Uniti e alle baraccopoli delle grandi metropoli, il cui sviluppo, avrebbe potuto cambiare il destino di tutto il mondo.

La Bandung del 2015
Pochi giorni fa i delegati di 109 paesi dell’Asian African Summit, insieme a quelli di 16 stati osservatori e di 25 organizzazioni internazionali, si sono dati nuovamente appuntamento a Bandung, per celebrare il 60º anniversario della storica conferenza ed hanno riacceso i riflettori sul sud del mondo che, pur impantanato in nuove forme di colonialismo ed imperialismo, aspira ancora ad un reale sviluppo.

Il tentativo è quello di rivedere la tradizionale cooperazione, abbandonando la logica degli aiuti per implementare quella del trasferimento tecnologico, e di elaborare strategie di raffreddamento dei contrasti interetnici, interculturali ed interreligiosi, coniugando crescita economica e sviluppo sostenibile nel rispetto dei diritti umani.

La Cina, che, dalla fondazione della Rpc, si affacciò per la prima volta nel cortile di casa proprio a Bandung, dove iniziò a tessere una tela di relazioni internazionali, paese povero tra i poveri, si trova oggi ad assurgere ad arbitro dei destini del mondo.

Il seme gettato a Bandung ha fruttato per i cinesi un rigoglioso progresso che rischia di riproporre nuovi colonialismi ed imperialismi pur veicolando, nella nuova Bandung, il dogma della global politics che vuole sia tolto il timone della guida del mondo all’economia e sia dato alla politica.

La sibilla cinese
La seconda Bandung ha suggellato la fine del colonialismo, chiuso definitivamente nel 1999 con il ritorno alla Cina di Macao, dopo che, nel 1997, c’era stato il passaggio alla Cina dei territori di Hong Kong, cui il Regno Unito aveva concesso troppo tardivamente istituzioni democratiche.

Le interazioni che si stanno sperimentando nelle Regioni Amministrative Speciali, ampiamente seminate da ideali occidentali, e le modalità con cui le diversità si armonizzeranno e integreranno sul substrato del sistema economico che sta trainando il mondo, costituiscono la vera sfida del terzo millennio, prima per lo Stato di mezzo e poi per tutto il pianeta globalizzato.

Il Dragone dovrà scegliere se attuare concretamente la coesistenza del sistema capitalistico e del sistema socialista, costruendo uno stato di diritto compiuto, da Hong Kong, a Macao, a tutta la Cina, oppure affrontare la rivoluzione sottotraccia che sta colorando di giallo le rive di Hong Kong, con altre modalità.

Non sappiamo se il mondo Occidentale, col suo patrimonio, “ibis redibis, non morieris in pugna”, cioè sopravvivrà a se stesso nel terzo millennio. Ma se il centro del mondo non tornerà più in Occidente ma “ibis redibis non, morieris in pugna”, cioè finirà per sempre sul campo di battaglia di una guerra ideologica iniziata a Bandung, lo dirà solo la sibilla cinese che potrà rammentare la storia di Alì dagli Occhi Azzurri, che Jean Paul Sartre raccontò a Pasolini e che l’artista cantò in una sua poesia, Profezia.

Una profezia che, come quella di Bandung, forse ci narrerà una nuova storia, quella di un altro Alì, ma dagli occhi a mandorla.

Elisabetta Esposito Martino è sinologa e costituzionalista. Responsabile Ufficio Affari generali dell'INdAM. Componente del Redress Committee del Progetto INdAM Cofund -VII Programma Quadro dell'Unione Europea.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3084#sthash.XM5p2x6f.dpuf

mercoledì 3 giugno 2015

Cina e Russia: interessi mediterranei in comune

Geopolitica marittima 
Russia e Cina fanno rotta su Mediterraneo e Libia
Fabio Caffio
14/05/2015
 più piccolopiù grande
Sempre più protesa verso l'Europa, la Cina ha inviato navi nel Mediterraneo in vista di manovre congiunte con la Russia. L'inedita "alleanza" rientra tra le contromisure russe alle sanzioni occidentali, ma esprime anche altro.

Cina e Russia sembrano intenzionate a giocare un ruolo in Mediterraneo nel quadro della crisi libica. Esse sono inoltre legate alla Grecia da rapporti marittimi di varia natura.

Alleanza navale
Due Fregate ed una nave appoggio cinesi hanno visitato lo scorso 8 maggio Novorossysk in concomitanza con le celebrazioni della vittoria sovietica nella II guerra mondiale.

Successivamente esse hanno iniziato, in aree di acque internazionali tra Creta, Cipro e la Siria, un'esercitazione navale congiunta con altre sei navi russe. Le manovre sono state dedicata alla protezione da rischi alla sicurezza marittima ed all'addestramento reciproco.

Fonti ufficiali cinesi hanno escluso che l'iniziativa implichi un coinvolgimento nelle vicende regionali. Non è tuttavia casuale che l'attività navale sia stata concomitante con i lavori del Consiglio di Sicurezza dell’Onu relativi alla risoluzione sul traffico di esseri umani dalla Libia suggerita dall’Italia e proposta da Regno Unito, Francia e Spagna.

Interessi mediterranei
La Russia aspira da secoli ad un controllo del Mediterraneo, mare che al tempo della guerra fredda era un luogo di confronto quotidiano con le forze della Nato. Corollario della sua presenza navale era la teoria della smilitarizzazione del bacino che i leader sovietici periodicamente enunciavano e che si legava a quella dell'uso esclusivo del Mar Nero.

La Cina è invece entrata di recente in Mediterraneo, in parallelo con l'espansione dei propri traffici commerciali verso l'Europa ed in concomitanza con la crisi libica del 2011 (quando la Marina cinese evacuò migliaia di connazionali) e con quella siriana del 2012 (quando appoggiò l'azione russa contro Nato e Usa).

Entrambi i Paesi hanno stretti rapporti con la Grecia: la Russia ha di recente rinsaldato gli antichi legami politico-culturali (in anni passati le navi russe restavano all'ancora nelle acque territoriali greche), assicurando il sostegno delle proprie imprese alle trivellazioni in acque elleniche; la Cina ha acquisito gran parte del porto del Pireo guadagnando una posizione privilegiata per i traffici mediterranei ma anche, forse, un ormeggio per la propria Marina.

Riserve contrasto scafisti 
Non è ancora chiaro come Russia e Cina giocheranno la partita del prossimo Consiglio di Sicurezza sulla Libia anche se è prevedibile che cercheranno di evitare gli errori derivanti dall'essersi astenuti nel 2011 al momento della creazione della No-fly zone con la risoluzione 1973.

La Russia ha già dichiarato che immagina, contro gli scafisti, un'azione simile a quella contro i pirati del Corno d'Africa basata sul rispetto della sovranità territoriale dello Stato costiero e sulla prevenzione e contrasto delle attività illecite in mare.

Anche la Cina tenderà a non appoggiare autonomi raid militari sul suolo libico in nome del principio di non interferenza, secondo una posizione già assunta al momento dell'emanazione della prima risoluzione antipirateria (la 1816 del 2008).

Egualmente è possibile che Pechino ponga limiti al controllo in mare di navi di altra bandiera (che i trafficanti possono usare in acque internazionali) come fatto per la risoluzione 2146 (2014) sull'embargo di armi e petrolio alla Cirenaica.

È quindi difficile pensare che l'Unione europea riesca a fare passare una risoluzione che autorizzi l'autonomo uso della forza in acque territoriali libiche in azioni preventive di "identificazione, cattura e distruzione" delle imbarcazioni usate dagli scafisti. A meno, ovviamente, che le operazioni navali costiere vengano svolte sotto il controllo delle autorità libiche.

Attivo ruolo marittimo 
In definitiva, Russia e Cina, uniti dalla stessa volontà di giocare attivamente un proprio ruolo nelle acque del Mediterraneo, cercheranno di assecondare le remore di tutte le fazioni libiche verso un intervento occidentale di polizia marittima internazionale.

In questa prospettiva è presumibile che una risoluzione dell’Onu depotenziata nei contenuti militari favorisca la partecipazione di Mosca e Pechino ad attività di pattugliamento navale anti-scafisti, condotte in maniera indipendente al di fuori del dispositivo Ue (che probabilmente si integrerà con quello Nato).

Questo è già avvenuto nel Corno d'Africa per le missioni Atalanta ed Ocean Shield e non si può dire sia stato un fattore negativo. Forse la Ue, in una prospettiva di realpolitik, avrebbe da guadagnare da un coinvolgimento, sia pur minimale, di Russia e Cina.

Fabio Caffio è Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto in diritto internazionale marittimo.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3067#sthash.9m74MMlV.dpuf