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Metodo di ricerca ed analisi adottato

Per il medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

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mercoledì 24 aprile 2019

venerdì 12 aprile 2019

Implicazioni strategiche delle industrie cinesi all'estero. V


Capitolo 5 - Implicazioni Soft Power delle aziende cinesi “Going Global”

Heino Klimk

Soft power è oggi un termine che analisti, diplomatici, accademici e politici utilizzano ampiamente nelle relazioni internazionali. Esso è definito come la capacità di ottenere ciò che si vuole attraverso la cooptazione e l’attrazione. L'idea di attrazione come forma di potere e influenza risale all’antico filosofo cinese Laozi del 7° secolo a.C.. Eppure, l'attuale termine soft power ha raggiunto una fama decisamente maggiore quando è stato coniato dal professor Joseph Nye di Harvard, in un libro del 1990 intitolato “Bound to Lead: The Changing Nature of American Power”.  Nye ha poi ulteriormente sviluppato  il concetto nel suo successivo libro del 2004, “Soft Power: the means to success in world politics”. I principali mezzi del soft power comprendono i valori di un attore, la cultura, le politiche e le istituzioni, o almeno il modo in cui esse sono interpretate in altri paesi. Inoltre, come ha scritto Nye, la misura in cui queste valute primarie sono in grado di attrarre o respingere gli altri attori del vuoi ciò che vuoi, è l'aspetto critico del soft power. Secondo Nye, “il soft power si fonda sulla capacità di plasmare le preferenze degli altri ... è la capacità di ottenere ciò che vuoi per attrazione piuttosto che con la coercizione o il pagamento ...”[1] 
Il Soft power è spesso associato all’ascesa della globalizzazione e alla teoria neoliberista delle relazioni internazionali.  Il successo del soft power si basa sulla reputazione dell'attore  all'interno della comunità internazionale e sul flusso di informazioni tra i vari attori.   La cultura popolare e i media sono regolarmente identificati come fonti di soft power, al pari della diffusione di una lingua nazionale o di una particolare serie di strutture normative. Un paese dotato di  grande soft power indurrà un atteggiamento positivo all'estero che, a sua volta, potrà spingere gli altri ad emularne la politica, facendo venir meno, quindi, la necessità di elevate spese  per l’hard power.
Il Soft power viene comparato all’Hard power, che è sempre stata la tradizionale misura predominante del potere nazionale, attraverso metodi quantitativi  come le dimensioni della popolazione, la capacità militare, la dimensione geografica, il prodotto interno lordo nazionale o altri fattori economici. Sebbene non sia facilmente misurabile in termini quantitativi, il grado di attrazione può essere misurato dai sondaggi d’opinione, dalle interviste alle elites e dai casi concreti oggetto di studi.  Il professor Nye afferma che il soft power e’ qualcosa di più della capacità di influenzare, dal momento che l’influenza può  dipendere dall’hard power dovuto alle minacce o ai pagamenti. Inoltre, il soft power non è soltanto persuasione o capacità di indirizzare le persone con la discussione, anche se ne è una parte importante. E' anche la capacità di attrarre, e l'attrazione spesso porta all’acquiescenza, al supporto e all'accettazione di politiche, programmi e obiettivi.
Il soft power non è proprietà esclusiva di un solo paese o attore.  Nella politica internazionale, è in parte generato da ciò che fa il governo attraverso la sua politica estera e la diplomazia. Tuttavia, la generazione di soft power è influenzata, sia in  positivo che in  negativo, anche da una miriade di attori non statali all'interno e all'esterno del paese. Tali attori influenzano il pubblico in generale e le élites di governo in altri stati, creando ambienti permissivi o, al contrario, restrittivi per le politiche di governo e gli obiettivi. Tra gli attori non-statali possono sicuramente essere ricompresi le imprese e le società all'estero. In alcuni casi, il soft power può aumentare le  probabilità che le élites sociali, economiche e politiche adottino o imitino le politiche che consentono ad un governo straniero di ottenere il risultato auspicato in un altro stato. In altri casi, invece, dove l’essere percepiti come troppo amici di un altro paese o governo può essere considerato  un handicap politico, la diminuzione o l'assenza di soft power può impedire a un governo di ottenere determinati obiettivi.
Molti osservatori esterni vedono l’applicazione cinese del soft power come parte di una grande strategia volta a convincere il mondo della pacificità delle intenzioni che spingono Pechino ad assicurarsi sia le risorse necessarie a proseguire la propria esponenziale crescita economica sia l’isolamento di Taiwan a livello internazionale.  Gli strateghi cinesi sono giunti alla conclusione che lo sviluppo del soft power è un componente critico per raggiungere questi obiettivi strategici a lungo termine, al pari della crescita economica e militare. In generale, gli strateghi cinesi affermano che l'utilità del soft power risiede nella capacità di promuovere un ambiente esterno favorevole alla crescita della Cina. Gli scrittori cinesi descrivono doviziosamente la grande strategia nazionale del loro paese citando continuamente una crescita pacifica, uno sviluppo pacifico e la costruzione di un mondo armonioso. La Scuola Centrale del Partito Comunista ha individuato tre fasi del processo di crescita della Cina:
-      Entro il 2010: stabilire una “posizione di leader” in Asia orientale, simboleggiata dalla apertura della zona di libero scambio ASEAN- Cina il 1° gennaio 2010;
-      Entro il 2020: raggiungere un ruolo di primo piano come “potere quasi-mondiale” nella regione Asia-Pacifico;
-      Entro il 2050: sviluppare un “livello di potenza mondiale.”[2] 
Il raggiungimento di questi stadi è strettamente legato alla crescita del “Comprehensive National Power” (CNP) della Cina. Il CNP fu sviluppato negli anni ’80  come quadro analitico idoneo a seguire e misurare il progresso nella posizione di potere complessivo della Cina in rapporto agli altri stati. In linea di massima, il CNP fu calcolato utilizzando misure tangibili quali le risorse naturali, la crescita economica, le capacità militari e lo sviluppo sociale, ma nei primi anni 2000, gli analisti hanno aggiunto il soft power come componente astratta del calcolo complessivo del CNP.[3]
Il 15 ottobre 2007,  durante i  lavori del 17° Congresso del PCC, il Presidente Hu Jintao  affermò pubblicamente che la Cina aveva bisogno di incrementare il proprio soft power.[4]  Le misure che furono messe in atto a tal fine videro la costituzione degli Istituti Confucio, il lancio di trasmissioni CCTV in varie lingue straniere, l’istituzione di un centro stampa del Ministero della Difesa e altri meccanismi. Chiaramente, la crescente presenza commerciale all'estero diventa anch’essa attrice in questa espansione del soft power. Infatti, la crescente capacità della Cina di incidere sugli attori statali deriva in gran parte dal suo ruolo di principale fonte di commercio,  investimento e aiuti ai paesi esteri.[5]
Si può ipotizzare che la Cina guadagni significativi vantaggi in termini di soft power, soprattutto nel confronto diretto con gli Stati Uniti, il Giappone e l'Unione Europea, poiché  gran parte dei suoi investimenti all'estero sono effettuati da aziende di Stato che differiscono sensibilmente dagli standards occidentali. Esse infatti mancano di trasparenza, ricevono ingenti finanziamenti statali e operano senza molte delle limitazioni imposte alle società con azionisti. Inoltre, hanno anche il vantaggio di guardare a più lungo termine, giacché le loro priorità sono integrate con quelle nazionali e non sono costrette a dimostrare profitti a breve termine. Storicamente, infatti, queste aziende non hanno mai rispettato una cadenza regolare per  pagare i dividendi ai loro azionisti.[6]
L’incremento delle attività commerciali cinesi all'estero ha certamente avuto un ruolo di rilievo nell’espansione del soft power. Molte aziende cinesi hanno iniziato la loro strategia going global penetrando i mercati dei paesi del terzo mondo in via di sviluppo. Questa strategia di ingresso sul mercato è stata in parte guidata dall’esigenza di attenuare il rischio evitando mercati già saturi di prodotti occidentali, per concentrarsi sul vantaggio competitivo del basso costo. I marchi cinesi non possono ancora competere con l’iconica statura globale della Coca-Cola, della Microsoft o di McDonald's.  I cinque protagonisti cinesi il cui nome sta incominciando ad essere conosciuto e a raccogliere una certa attenzione sono il produttore di PC Lenovo, la birreria Tsingtao, la fabbrica di elettrodomestici Haier, il colosso del network  Huawei e la casa automobilistica Chery.[7]  Tuttavia alcuni beni di consumo cinesi sono non solo graditi, ma addirittura preferiti  in molti paesi in via di sviluppo. Parte del loro fascino è dovuto soprattutto al costo relativamente basso in rapporto agli analoghi prodotti occidentali, che ha dato a quei consumatori la possibilità di accedere a beni che altrimenti sarebbero stati inaccostabili.  In luoghi come l'Africa e il Medio Oriente, infatti, i normali cittadini non avrebbero mai potuto permettersi televisori, frigoriferi o condizionatori d'aria, prima che i cinesi si  concentrassero in queste parti del mondo con aziende come l’Haier, la Galanz o la TCL.  In Liberia, ad esempio, i generatori più diffusi sono proprio i Tiger di fabbricazione cinese che, con il loro prezzo molto basso, relegano le più costose marche occidentali nell’ambito esclusivo delle missioni diplomatiche e delle agenzie di aiuto internazionale.  Facendo oggetti per la gente comune, la Cina “presto controllerà il cuore della gente comune dell'Africa.” [8]
Lo stesso vale per le infrastrutture di telecomunicazione. La Huawei e la ZTE hanno infatti consentito di realizzare in alcuni dei piu’ remoti angoli del mondo reti di comunicazione affidabili, soprattutto di telefonia mobile, che hanno indotto quei paesi ad abbandonare la rete fissa in favore dei cellulari, ormai sempre più diffusi. 
Di conseguenza, la popolazione di queste parti del mondo guarda  con molto favore alle aziende cinesi, poiché offrono prodotti e servizi che prima del loro avvento erano completamente  indisponibili,  in quanto le società occidentali ignoravano del tutto i loro mercati. Si può dedurre che tutto ciò ha fatto maturare una benevola predisposizione nei confronti di tali aziende e, molto probabilmente, della Cina in generale, consentendo di interpretare questo atteggiamento popolare come un chiaro esempio di soft power. I sondaggi dimostrano che la popolarità della Cina è elevata in molte aree in via di sviluppo, sia nel Sud-est Asiatico che in Africa e in America Latina, proprio a causa della percezione dei benefici economici derivanti dalle  relazioni con la Cina.
Allo stesso modo, anche i governi di questi paesi sono stati influenzati dal soft power delle aziende cinesi. Infatti, a fronte delle restrizioni di legge imposte alle imprese americane, come il Foreign Corrupt Practices Act ed altre sanzioni economiche, sul versante cinese non si riscontra alcun tipo di impedimento alle aziende cinesi per impiantare affari all’estero. Esse possono dunque prosperare in tutti i mercati evitati dalle imprese americane ed europee e, soprattutto, in quegli stati considerati pariah come lo Zimbabwe, il Sudan e la Birmania. Naturalmente, i governi di questi paesi apprezzano molto che la Cina incoraggi le proprie imprese ad operare sul loro territorio senza porre precondizioni  politiche.
Lo stesso vale per le varie offerte commerciali sponsorizzate dal governo di Pechino. L’influenza cinese all'estero è generalmente considerata benigna. Gli investimenti non sono accompagnati dalle condizioni politiche  spesso richieste dagli americani e dagli europei, ma sono soggetti soltanto a due requisiti: non intrattenere relazioni diplomatiche con Taiwan e supportare la Cina nelle organizzazioni internazionali. Pechino ha negoziato più di 400 accordi commerciali con i paesi latino-americani negli ultimi anni,dove ha investito oltre 50 miliardi di dollari; ha prestato particolare attenzione alle nazioni con riserve di petrolio e gas naturale come il Venezuela, il Kazakistan e la Nigeria; ha condonato prestiti per  oltre 1 miliardo di dollari alle nazioni africane, invogliandole con progetti di sviluppo. Nei paesi in cui ha effettuato consistenti investimenti nel settore energetico, come il Sudan, l’Angola e la Guinea Equatoriale, ha affiancato le compagnie petrolifere con imprese di costruzione inviate appositamente per  sviluppare le infrastrutture locali. In tal modo appare immediatamente evidente la differenza con gli sforzi americani ed europei che concentrano il loro soft power sulla promozione della democrazia e sull'incoraggiamento della buona governance all'estero, mentre la Cina promuove il suo soft power attraverso il commercio e gli scambi energetici, producendo risultati tangibili ed evidenti quali la costruzione di strade, stadi, scuole e ospedali.
La crisi finanziaria globale lascerà la Cina in una posizione relativamente più forte rispetto agli Stati Uniti e all’Europa. Mentre l'Occidente ha dovuto tagliare gran parte dei suoi investimenti esteri negli ultimi anni a causa di problemi economici interni, la Cina si è trovata in una posizione privilegiata per ampliare i propri investimenti ed è stata in grado di accedere alle risorse naturali dei paesi in via di sviluppo proprio quando  l'Occidente non poteva.
Come visto in precedenza, il soft power può essere influenzato anche negativamente. Nel mondo sviluppato, la reputazione aziendale della Cina è piuttosto offuscata. I prodotti cinesi sono mal considerati nella maggior parte dell'Europa e nel Nord America. Nel periodo di Natale 2010, ad esempio, in tutta Roma erano affissi cartelli che sconsigliavano l’acquisto di prodotti cinesi a causa della loro pessima qualità[9].  Innumerevoli episodi legati al cibo per cani avvelenato, a giocattoli con vernici al piombo, al dentifricio contaminato e ad altre imbarazzanti e pericolose esportazioni hanno macchiato la reputazione del “Made in China”. Alcune segnalazioni riportano addirittura che i fornitori boliviani hanno rimosso dai prodotti le etichette “Made in China” [10].
Sono sorti problemi anche in quei paesi del mondo in via di sviluppo che hanno un atteggiamento più positivo nei confronti della Cina.  Sui media locali abbondano i racconti di episodi negativi verificatisi in Africa: prodotti cinesi di scarsa qualità entrati in competizione sleale con quelli locali, tanto da rimpiazzarli;  progetti infrastrutturali realizzati con manodopera proveniente dalla Cina anziché con personale locale; totale noncuranza delle norme ambientali. Una serie di eventi che hanno fatto nascere le accuse di un neocolonialismo cinese e di politiche mercantili che guardano alla sottrazione di risorse piuttosto che a investimenti nel settore industriale.
L'immagine della Cina ha subito una battuta d’arresto anche nell’ambito aziendale dei vicini Stati asiatici. La Shanghai Automotive Industry Corporation (SAIC), il più grande produttore cinese di automobili, acquistò nel 2004 la quota di controllo della sud-coreana Ssangyong Motors, realizzando quello che allora era il più ambizioso acquisto all'estero per l'industria automobilistica cinese.[11] Cinque anni dopo, l'accordo andò in pezzi con la dichiarazione di fallimento della Ssangyong. La Corea del Sud, a torto o a ragione, ritenne che la responsabilità fosse da attribuire all’azienda cinese, tacciata di sfruttamento e accusata di non aver rispettato le promesse, poiché il suo unico interesse era l'acquisizione della tecnologia sud-coreana. Quell’episodio si è sommato ad una rottura altrettanto aspra tra due aziende elettroniche, la cinese BOE Technology Group e la sud-coreana Hydis,  e ha provocato l’irrigidimento dell'opinione pubblica sud-coreana nei casi di competizione delle aziende cinesi con quelle nazionali[12].
Negli Stati Uniti, le indicazioni per il soft power cinese non sono favorevoli. Nel 2010 un sondaggio dalla Columbia University ha evidenziato che il 45% degli americani non è favorevole agli investimenti cinesi negli USA.  Sebbene, infatti, nei primi sei mesi del 2010 tali investimenti siano aumentati del 360% e abbiano prevedibilmente  comportato un aumento di posti di lavoro per gli americani, la percezione della Cina resta comunque quella di  uno stato concorrente.[13]
Chiaramente, il governo cinese è preoccupato per l'impatto di questi avvenimenti sulla propria strategia di soft power nel mondo.  Il vice premier cinese Wang Qishan ha perfino pubblicamente rimproverato il capo della Sany Heavy Industry Company Limited, una società ingegneristica molto attiva nei paesi in via di sviluppo, per non essere abbastanza sensibile alle differenze culturali.[14]  Proseguendo la sua politica di going global, Pechino ha promulgato nell’agosto 2006 nuove e stringenti regole per le imprese, sollecitandole a  prestare particolare  attenzione ai costumi locali, alle norme di sicurezza e all'ambiente di lavoro. Ciò sottolinea, dunque, quanto le implicazioni soft power delle imprese cinesi all'estero vengano considerate molto seriamente a livello centrale.
Nonostante il sistema politico cinese sia indiscutibilmente autoritario, il successo economico che ha portato il Paese a triplicare il prodotto interno lordo negli ultimi trent’anni, suscita molto interesse nei paesi in via di sviluppo. Tutto ciò ha una diretta correlazione con il soft power cinese, particolarmente rafforzata dalla crisi finanziaria del 2008. In alcune parti dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina, il cosiddetto Beijing Consensus, ovvero il modello di sviluppo basato su un governo autoritario accoppiato ad un’economia di mercato, è più popolare del Washington Consensus,  il modello dominante in precedenza fondato su un governo democratico associato ad un'economia di mercato.



[1] Joseph Nye, Jr., Soft Power: The Means to Success in World Politics (New York:  Public Affairs, 2004), X-XI.
[2] Joel Wuthnow, “The Concept of Soft Power in China's Strategic Discourse,” Issues & Studies, June 2008, 5-6.
[3] Wuthnow, “The Concept of Soft Power in China's Strategic Discourse,” 6.
[4] Richard Rosecrance and Gu Guoliang, Power and Restraint (New York: Public Affairs, 2009),  28.
[5] Congressional Research Service Report, China’s “Soft Power” in Southeast Asia, report prepared by Thomas Lum, Wayne M. Morrison, and Bruce Vaughn, January 4, 2008, 1.
[6] Dumbaugh, China’s Foreign Policy:What Does it Mean for U.S. Global Interests?, 13.
[7] Dexter Roberts, “How to Beat Made-in-China,” BusinessWeek Online, October 9, 2007, http://www.businessweek.com/globalbiz/content/oct2007/gb2007108_553610.htm.
[8] William Foreman, “China’s Influence Spreads Around World,”  Yahoo News, September 1, 2007, http://news.yahoo.com/s/ap/20070901/ap_on_re_as/china_global_impact.
[9] L’Autore risiedeva a Roma all’epoca dell’osservazione di questi cartelli.
[10] William Foreman, “China’s Influence Spreads Around World,”  Yahoo News, September 1, 2007, http://news.yahoo.com/s/ap/20070901/ap_on_re_as/china_global_impact.
[11] The Chinese government switched the initially planned buyer of Ssangyong from BlueStar Chemical to SAIC.
[12]    Choe Sang-Hun, “Soured Deal Embitters Shanghai and Seoul,” International Herald Tribune, February 25, 2009, 1&12.
[13]     Sheridan Prasso, “U.S. to China: Nimby,” Fortune, September 6, 2010, 22.
[14] Alan Wheatley, “China Inc’s Global Growing Pains,” January 21, 2010, http://www.reuters.com/article/idUSTRE60J1RO20100121.