Asia

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Metodo di ricerca ed analisi adottato

Per il medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

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lunedì 22 febbraio 2016

Cina: davanti al nuovo pontefice

Vaticano
Bergoglio, pragmatismo per conquistare la Cina
Nello del Gatto
18/02/2016
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È la Cina uno dei principali obiettivi pastorali e diplomatici di Papa Francesco che in più di una occasione si è detto pronto ad andare lì anche subito.

I rapporti tra le parti sono però difficili. I due paesi non hanno relazioni diplomatiche dal 1951, anche per il riconoscimento della Santa Sede di Taiwan che Pechino ritiene proprio territorio.

Uno scoglio che il Vaticano ha fatto intendere di poter superare in cambio di poter legittimamente “entrare” in un paese dove, secondo alcune stime, ci sono almeno il 2,3% di cristiani, in maggioranza protestanti, con circa 14 milioni di cattolici (tra membri della chiesa statale e fedeli al Papa).

Il solco insormontabile è la presenza dell’Associazione Patriottica Cattolica Cinese, la chiesa autocefala cinese che, non legata al papato, nomina, consacra e ordina vescovi e sacerdoti. È proprio sui vescovi che Roma e Pechino hanno le maggiori distanze.

La prima intervista di Bergoglio a un giornale asiatico
Il 2 febbraio, il quotidiano on line di Hong Kong Asia Times, ha pubblicato una intervista a papa Bergoglio, la prima a un giornale asiatico sulla Cina e i cinesi.

L’intervista segue la poco realistica (visto l’intervistato, capo di uno stato di vera teocrazia e ierocrazia e di una religione) premessa di non parlare di politica né di religione. Il tutto pienamente nel solco di una realpolitik tutta bergogliana verso la Cina (qualcuno dice anche nuova Ostpolitik) anche al prezzo dell’amaro in bocca di molti fedeli cinesi e lo sconcerto di diversi osservatori.

Nell’intervista Bergoglio loda la cultura e il popolo cinese e affronta temi come quello del figlio unico. Nessuna parola però sulla situazione dei cristiani in Cina, sulle chiese abbattute dal governo, sui fedeli arrestati, sui vescovi impossibilitati a svolgere il proprio mandato.

Come Taddeus Ma Daqin, vescovo di Shanghai dal 2012, che durante l’omelia dell’ordinazione annunciò fedeltà al Papa e da allora è rinchiuso “agli esercizi spirituali” a Sheshan. Oppure come Cosma Shi Enxiang, che ha passato 54 anni in carcere. Arrestato l’ultima volta nel 2001, non se ne sapeva nulla fino all’anno scorso, quando le autorità informarono la famiglia che era morto, senza mai restituire i suoi resti.

Il pragmatismo del Vaticano
L’intervista sarebbe perfetta in termini diplomatici se a parlare fosse un capo di stato interessato a entrare nel mercato cinese e quindi disposto a soprassedere sulle questioni dei diritti umani e sociali, più che il capo della Chiesa Cattolica.

Bergoglio è molto consequenziale in questo atteggiamento: non a caso non incontrò l’anno scorso a Roma il Dalai Lama e sono davvero poche le sue condanne alla situazione dei cristiani in Cina, tanto che il cardinale Joseph Zen Ze-kiun di Hong Kong, il più illustre esponente del Vaticano nell’area, ha più volte criticato questo silenzio di Roma.

Bergoglio ha spesso ribadito di muoversi nel solco della lettera che Benedetto XVI inviò ai cattolici di Cina nel 2007. Eppure, nel documento, il teologo tedesco scrisse chiaramente dell’incompatibilità della Santa Sede e della dottrina cattolica con la Chiesa patriottica cinese e il suo decantato e difeso autocefalismo.

Difesa che il governo cinese ha ribadito il 4 febbraio, in un editoriale del Global Times, quotidiano vicino al partito. Per i cinesi, il messaggio del papa è “una nota gentile”, ma il Vaticano “deve essere pragmatico”, riaffermando il concetto di indipendenza della propria chiesa da Roma: “La Cina - è scritto - dà grande importanza alla presente indipendenza delle istituzioni religiose da quelli fuori della Cina. Non ci si può aspettare che Pechino trovi un compromesso su questo punto”.

La Chiesa patriottica cinese
Una porta chiusa, che riporta tutto su un piano ancora più reale. Si parla di applicare alla Cina il modello vietnamita per la nomina dei vescovi, nel quale il Vaticano presenta al governo un nome e se Hanoi l’approva, la Santa Sede nomina ufficialmente il vescovo, altrimenti si ricomincia. Un modello che Pechino rigetta, perché vuole proporre i nomi che poi magari possano trovare il favore papale.

L’opposizione della Cina sta in due fattori: innanzitutto il governo centrale non può permettere a un paese straniero di interferire in nomine di funzionari di un apparato di governo quale è la chiesa patriottica (impensabile che cancellino l’associazione guidata da un funzionario del partito comunista); in secondo luogo, si teme per il peso sociale e politico che i pastori delle diocesi hanno, soprattutto in chiave anti governativa o a favore di rivendicazioni sociali e umane.

Bergoglio non ha finora scoperto le carte sulla sua idea di compromesso con i cinesi, punta a un incontro faccia a faccia con il presidente, per poi cominciare una vera trattativa.

L’intervista va in questo solco, mostrando Bergoglio come Matteo Ricci, il gesuita “euclideo” che per entrare alla corte degli imperatori Ming, si “vestì da mandarino” e acquistò molto credito a Pechino.

Questo vestito sicuramente agli occhi dei cinesi fa ottenere molta simpatia a Bergoglio, ma dire se otterrà quanto richiesto, è difficile. Un incontro è possibile, la cancellazione della chiesa patriottica è al momento impossibile.

Nello del Gatto, dopo aver lavorato come giornalista di nera e giudiziaria nella provincia di Napoli seguendo i più importanti processi di camorra, si è dedicato agli Esteri. Nel 2003 era alla stampa della presidenza italiana del consiglio dell'Ue; poi 6 anni in India come corrispondente per l'Ansa e successivamente a Shanghai con lo stesso ruolo (Twitter: @nellocats).
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venerdì 19 febbraio 2016

Orizzonte CINA. Febbraio 2016

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Bentornati al bimestrale OrizzonteCina (ISSN 2280-8035)


In questo numero* articoli su:
• Cina e Italia in Africa: il caso dell’Etiopia
• Prima base militare all’estero: anche la Cina sceglie Gibuti
• La Cina e Aden: la difesa dell’interesse nazionale nei mari lontani
• L’Africa tra Via della Seta cinese e partenariato con la Ue
• La prima generazione sino-italiana
• Tre trend fondamentali per il 2016
• Governance transmediale in Cina: il caso di Under the dome
• Ritorno a Confucio. La Cina di oggi fra tradizione e mercato, di Maurizio Scarpari| Recensione


* Per la consultazione degli articoli cliccare

martedì 2 febbraio 2016

Cina: una finestra in medio oriente

Cina
Pechino in Medio Oriente con la nuova 'Via della Seta'
Nello del Gatto
19/01/2016
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Per il suo primo viaggio estero del 2016, Xi Jinping ha scelto il Medio Oriente, dove il presidente cinese sarà, tra Arabia Saudita, Egitto ed Iran, fino al 23 gennaio. E non senza validi motivi.

Nella complessa liturgia non scritta del partito comunista cinese, nell’esegesi delle parole non dette e degli atti non svelati, il primo viaggio dell’anno identifica, per la dirigenza cinese, l’area di interesse per quell’anno.

Negli anni scorsi erano stati la Russia più volte e il Pakistan. Stavolta invece il segretario del partito comunista cinese ha deciso di recarsi in Arabia Saudita, Egitto ed Iran. Con una tempistica che, certamente, gli affida la palma di abile diplomatico tra i leader mondiali.

Tralasciando il paese dei faraoni (dove Pechino vuole sicuramente giocare un ruolo dopo l’ampliamento del canale di Suez, sia come porta verso il Medio Oriente e Africa, che l’Europa), le visite in Arabia e in Iran assumono in questo momento storico di forte tensione nell’area tra i due paesi ma, soprattutto, tra i due blocchi musulmani di sunniti e sciiti, una valenza importante.

Pechino e i conflitti mediorientali
La Cina è forse uno dei pochi paesi al mondo che ha visto i vari conflitti mediorientali da lontano. Pur sedendo nel consiglio di Sicurezza dell’Onu, il paese del dragone non ha mai preso posizione per un paese o per l’altro, lasciando il proscenio alle altre nazioni. Una scelta dettata più da una abile mossa politico-diplomatica che da altro.

Mentre i suoi “avversari” sullo scacchiere politico ed economico mondiali, gli Usa, sono sempre stati in prima fila, la Cina si è defilata, ma non se ne è lavata le mani, ribadendo la necessità di una soluzione diplomatica ai conflitti e la necessità della creazione di uno stato palestinese.

Questa posizione ha fatto sì che la Cina diventasse negli anni uno degli interlocutori privilegiati da questi paesi soprattutto come destinazione della loro materia prima per eccellenza, il petrolio, sempre più necessario alla Cina che cresce.

Anche per questi motivi, Pechino non ha mai criticato la situazione dei diritti civili in questi paesi (forse pure per evitare di attirare gli occhi sulla sua situazione interna con la filosofia: io non critico, voi neppure), si è proposta come mediatrice nella risoluzione del conflitto siriano ospitando emissari delle parti in guerra.

Inoltre la Cina, che al suo interno ha un problema terrorismo (dovuto a frange di uighuri che sono andati ad infoltire le fila del califfato) cerca di giocare anche su questo fronte un ruolo significativo.

China's Arab Policy Paper
L’importanza strategica che la Cina ripone in quest’area è stata ribadita dalla pubblicazione, la settimana scorsa, del China's Arab Policy Paper. In questo documento, unico nel suo genere, il governo di Pechino traccia brevemente la storia delle relazioni sino-arabe, dagli scambi attraverso l'antica Via della Seta alla fondazionedel Forum di cooperazione Cina-Stati Arabi nel 2004, prima di definire il piano di espansione di queste relazioni nel futuro.

Nel documento non si parla mai di un paese specifico (a parte la questione della Palestina), ma si fa invece riferimento a tutta l’area, il complesso di paesi arabi, cercando quindi un approccio generale e avendo come riferimento la Lega Araba, senza prediligere alcun rapporto bilaterale particolare.

I paesi arabi sono ovviamente i maggiori fornitori di petrolio in Cina, con l’Arabia che la fa da padrone. Ma la Cina è anche il miglior cliente dell’Iran. Nel documento, la cooperazione energetica è ovviamente il centro degli interessi bilaterali, con una politica che la Cina definisce “1+2+3”.

La cooperazione energetica sarà il "cuore" del rapporto. La costruzione di infrastrutture e la semplificazione del commercio e degli investimenti, sono i 2 punti centrali del nucleo. Il "3" si riferisce invece ad una lista di desideri futuri: cooperazione nel campo nucleare, energie nuove e pulite, e l’aerospaziale.

La cintura economica della Via della Seta e la via della seta marittima 
Inoltre,la Cina, ricordando come storicamente i paesi dell’area (ma anche quelli che non fanno parte della Lega come l’Iran) sono suoi partner commerciali lungo l’antica Via della Seta, intende spingere sempre di più la nuova strategia di sviluppo che ha chiamato “La cintura economica della via della seta e la via della seta marittima del 21mo secolo”, conosciuta anche come “One Belt, One Road”.

L’Iran che da pochissimo, grazie alla rimozione delle sanzioni, si sta aprendo moltissimo, fornendo al mondo una incredibile occasione di mercato, per la Cina è sicuramente un obiettivo importante.

Non a caso proprio Pechino ha giocato un ruolo di mediatore tra Teheran e Washington. Sia in Iran che in Arabia i giganti petroliferi cinesi cercheranno non solo accordi economici, ma anche la possibilità di potenziare strutture estrattive e di raffinazione. Insomma una visione, quella cinese, che attraverso un approccio globale al mondo arabo intende assicurarsi l’approvvigionamento energetico necessario al suo sviluppo.

Nello del Gatto, dopo aver lavorato come giornalista di nera e giudiziaria nella provincia di Napoli seguendo i più importanti processi di camorra, si è dedicato agli Esteri. Nel 2003 era alla stampa della presidenza italiana del consiglio dell'Ue; poi 6 anni in India come corrispondente per l'Ansa e successivamente a Shanghai con lo stesso ruolo.
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