Asia

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Metodo di ricerca ed analisi adottato

Per il medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

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domenica 18 giugno 2017

Hon Kong. Venta anni infelici

Un compleanno non troppo felice per gli abitanti di Hong Kong, quello celebrato il 1° luglio scorso, a vent’anni dal ritorno dell’ex colonia britannica alla Cina continentale. In una città divisa tra sostenitori dell’indipendenza e della democrazia – che ancora rimpiangono le manifestazioni di piazza della rivoluzione degli ombrelli del 2014 -, e nazionalisti – quegli hongkonghesi che rivendicano con orgoglio la loro “cinesità” -, è stato accolto l’ospite d’onore: il presidente cinese Xi Jinping. L’anniversario, inoltre, ha offerto anche l’occasione per l’insediamento della nuova chief executive Carrie Lam, la filo cinese che ha ottenuto il comando dell’esecutivo della città lo scorso marzo.
Ingenti misure di sicurezza sono state applicate per la tre giorni della visita del leader della Repubblica popolare: per proteggere Xi e assicurare un clima di “festa” sono scese in campo oltre 11.000 forze dell’ordine hongkonghesi.
Nelle arterie della città si è respirata un’aria pesante e tesa. Da mesi, infatti, gli indipendentisti avevano promosso manifestazioni in segno di protesta contro il governo di Pechino e il nuovo ordine politico configuratosi con la recente vittoria di Carrie Lam. E gli arresti, ovviamente, non si sono fatti attendere.
La visita di Xi
Per Xi Jinping è stata la prima visita ad Hong Kong da quando è salito al potere: il presidente è apparso determinato nel difendere – se non promuovere – il sentimento di unione che vi è tra Pechino e l’ex colonia britannica. Durante una breve conferenza stampa tenutasi nella pista dell’aeroporto, Xi ha elencato le motivazioni della sua visita, finalizzata a mostrare la presenza concreta e solidale del governo cinese nella Regione amministrativa speciale di Hong Kong, definendone il futuro politico ed economico nel rispetto della formula “un Paese, due sistemi”, come sancito dalla Hong Kong Basic Law.
Ad anticipare le intenzioni di sinizzazione dell’hub finanziario è stato il Global Times, la costola del Quotidiano del Popolo, che ha sottolineato il ruolo di “super connettore” che Hong Kong può avere nello sviluppo e nel successo della Belt and Road Initiative, la Nuova Via della Seta. E di certo non sarà passato inosservato il nuovo gioiello delsoft power cinese: un video realizzato dall’agenzia di stampa Xinhua che celebra, in chiave rap, il successo del sistema “un Paese, due sistemi”.
Il prosieguo della visita del presidente ha fornito l’occasione per mostrare i muscoli della macchina militare cinese e, forse, per intimidire i moti indipendentisti dell’ex colonia britannica: Xi ha visitato la base militare di Shek Kong (nelle vicinanze di Shenzhen) e ha risposto al saluto delle 3.1000 truppe dell’Esercito popolare di liberazione con un “Salve, compagni!”, mentre sfilava su una jeep scoperta.
Contemporaneamente, i media raccontavano anche del breve arresto degli esponenti della League of Social Democrats e del partito Demosisto (erede del movimento degli ombrelli), tra cui Joshua Wong, per aver manifestato la sera prima davanti alla Golden Bauhinia Statue, la statua d’oro che raffigura l’orchidea simbolo di Hong Kong (che proprio Pechino aveva regalato alla città dopo il ritorno alla madrepatria).
La strategia di Carrie Lam
La cerimonia di insediamento della nuova chief executive, organizzata non a caso nella giornata della celebrazione del ventennale del trasferimento della sovranità da Londra a Pechino, ha visto il passaggio di testimone dal governatore uscente Leung Chun-ying, elogiato da Xi per la gestione dei tumulti studenteschi del 2014, a Carrie Lam.
In un abito dalla foggia cinese, Carrie Lam ha illustrato, sotto gli occhi di Xi Jinping, il suo manifesto politico nel tentativo di arginare la rottura che si è creata tra la popolazione, in particolare la fascia più giovane, e l’establishment. La Lam ha invitato ad entrare a far parte della nuova squadra di governo ciascun rappresentante politico interessato a risolvere i problemi strutturali della città, a prescindere dallo schieramento. Il rapporto con Pechino e i moti indipendentisti passano in secondo piano se si considerano le problematiche che nel quotidiano affliggono gli hongkonghesi: la speculazione immobiliare, l’incremento della disoccupazione giovanile, la perdita del primato fiscale e commerciale, solo per citarne alcuni.
Dopo il giuramento della leader della Regione amministrativa speciale, il presidente cinese, nel suo discorso, ha fugato ogni dubbio sull’approccio di Pechino alla questione di Hong Kong, sottolineando la necessità di rafforzare il sistema educativo e scolastico attraverso lo studio e la comprensione della Basic Law e degli elementi culturali e storici nazionali. Xi ha sottolineato che le sfide allo status quo di Hong Kong non saranno tollerate e che qualsiasi azione che possa mettere in pericolo la sovranità e la stabilità della Cina sarà considerata “assolutamente inammissibile”.
L’ex colonia nella morsa cinese 
Hong Kong non è più l’oca d’oro del secolo scorso, quando Margaret Thatcher e Zhao Ziyang firmarono, nel 1984, la Dichiarazione congiunta sino-britannica, decretando il passaggio dalla sovranità britannica a quella cinese secondo la formula “un Paese, due sistemi”, nel 1997.
Allora il potere economico dell’hub finanziario avrebbe garantito la realizzazione delle riforme economiche di Deng Xiaoping. Un quadro che è tuttavia cambiato: se nel 1997 il Pil hongkonghese costituiva il 18,5% di quello cinese, attualmente ne rappresenta circa il 2,9%. La Regione amministrativa speciale dipende prevalentemente dalla Cina continentale per l’approvvigionamento alimentare, mentre l’80% della spesa turistica proviene dalle tasche dei cinesi della terraferma.
Le preoccupazioni di una prevaricazione di Pechino culminano nelle incertezze sulla vitalità di Hong Kong come centro finanziario e commerciale. Nel decennio scorso, ad esempio, il terminal container di Hong Kong era il più importante ed attivo al mondo; ora, il porto ha perso il suo primato mondiale, scendendo al quinto posto della classifica, dietro Shanghai, Singapore, Shenzhen e Ningbo.
I duri colpi inflitti all’economia della metropoli asiatica e la graduale erosione dei diritti civili portano Hong Kong sotto il cappello politico del Partito comunista cinese. Forse è proprio questo il successo della formula “un Paese, due sistemi” celebrata dal presidente Xi, tanto che le immagini delle gloriose proteste sotto gli ombrelli gialli sembrano già materiale d’archivio.

Nucleare sotto la lente

lla prova delle sanzioni
Corea del Nord: tra povertà e sviluppo nucleare
Francesco Celentano
31/05/2017
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La questione nordcoreana, in queste settimane oggetto dell’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, solleva una serie di problematiche insite nell’ordinamento internazionale, anzi tutto concernenti la liceità delle attività volte ad attivare o implementare programmi nucleari creati ufficialmente, come spesso spiegato dal regime alla guida della Corea del Nord, quale strumento di autotutela da potenziali attacchi esterni e che risultano, invece, come affermato nel marzo 2016 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, “a clear threat to international peace and security”.

In questa cornice s’inserisce il ruolo sanzionatorio svolto dall’Onu che, nel caso di specie, ha implementato, dal 2006, mediante atti di soft law e risoluzioni vincolanti del Consiglio di Sicurezza, i propri sforzi per portare Pyongyang ad assumere un comportamento più dialogante fondato sulla diplomazia e non sulla minaccia dell’utilizzo di armi nucleari.

Sviluppo nucleare e arretratezza economico-sociale
La storia del nucleare nordcoreano inizia negli Anni ‘60 sotto la supervisione sovietica. A tal proposito giova ricordare che sino agli Anni ’90 Pyongyang appariva tendenzialmente dialogante, tanto da aderire, nel 1985, al Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) entrato in vigore nel 1970. Nel 1993, però, il regime comunicò la decisione di recedere dal Trattato, poi sospesa in cambio d’ingenti aiuti ricevuti dagli Stati Uniti di Bill Clinton e ufficializzata, infine, nel 2003.

Oltre che per il programma nucleare, il Paese asiatico, indipendente dall’ex potenza coloniale giapponese dal 1945, è noto soprattutto per il peculiare regime al governo, divenuto dinastico nel corso dei decenni, incentrato sulla famiglia Kim.

Al regime spetta il diritto, auto assegnatosi, di controllare l’esistenza dei 25 milioni di abitanti che, dal 1946, ricevono razioni di cibo stimate dalla Fao, in un rapporto del 2016, in 540 grammi al giorno, in cambio del lavoro nei campi e nelle fabbriche di proprietà dello Stato, godendo, tra l’altro, di un insolito diritto/dovere all’istruzione fortemente influenzata dall’esecutivo e basata sul culto della personalità del Kim di turno al potere.

I report pubblicati dalle agenzie specializzate Onu, Fao e Unicef in primis, descrivono un Paese arretrato non solo economicamente, ma anche, e soprattutto, culturalmente. Nel 2013, infatti, l’Unicef segnalava come, nonostante i progressi della scienza medica, la Corea del Nord fosse lo Stato con il tasso di mortalità infantile tra i più alti, mentre malaria e tubercolosi sono ancora all’ordine del giorno.

Arretratezza anche in agricoltura che, come segnalato dalla Fao nel già citato report, pur essendo l’attività economica principale, occupante più del 35% della popolazione, è svolta ancora senza l’ausilio di macchinari e di prodotti utili a garantire il rapido riutilizzo delle terre, risultando, tra l’altro, gravemente insufficiente rispetto al fabbisogno nazionale.

Una storia decennale di sanzioni internazionali
In questo desolante quadro socio-economico, il 14 ottobre 2006, dopo alcuni esperimenti nucleari condotti dalla Corea del Nord, il Consiglio di Sicurezza ha approvato la risoluzione 1718 con cui s’imponevano controlli doganali, il congelamento di risorse finanziarie all’estero e un embargo pressoché assoluto sulle armi chimiche e nucleari. Tale scelta sanzionatoria è stata poi ribadita in numerosi altri provvedimenti adottati dal Consiglio negli ultimi anni.

Il 2 marzo 2016, con la risoluzione 2270, ripresa ed ampliata a novembre dello stesso anno con la risoluzione 2321, il Consiglio, riaffermando la volontà di non colpire la popolazione, che secondo i Paesi componenti del consesso “have great unmeet needs”, ha imposto nuove sanzioni individuali, previsto la chiusura di società finanziarie estere che possano aiutare le operazioni militari del regime, implementato la vigilanza doganale e, tra le altre decisioni, previsto un nuovo e definitivo divieto di vendita di armi anche leggere.

La risoluzione ha previsto, inoltre, l’inedita possibilità di espellere i diplomatici nordcoreani qualora si ritenga che, grazie al loro status, eludano le previsioni sanzionatorie. Intanto, il rappresentante nordcoreano nell’Assemblea generale scriveva all’ex segretario generale Onu Banki-Moon che il programma nucleare sarebbe stato regolarmente implementato in quanto unica tutela dai fini espansionistici statunitensi che “minacciano costantemente” il territorio dello Stato.

Un futuro incerto
Questo complicato quadro giuridico e geopolitico si arricchisce, però, di una significativa novità: la recente elezione del democratico Moon Jae-in quale nuovo presidente della Corea del Sud, che sembra possa aprire uno spiraglio in questa decennale diatriba recentemente aggravata dalle rigide posizioni della nuova presidenza Usa.

Moon, infatti, ha previsto nel proprio programma elettorale il riavvio delle trattative con il Nord, richiamando il ricordo dei poco fruttuosi ma inediti Six Party Talks, fra le due Coree, Cina, Russia, Usa e Giappone, rendendosi pronto ad offrire aiuti, fino ad ora unico strumento utile quanto meno per avviare un dialogo, e promettendo di rivedere gli accordi decennali che pongono gli Stati Uniti quale Paese protettore del Sud, con una presenza di oltre ventimila soldati causa costante di dichiarazioni belligeranti del Kim di turno al potere.

A tal proposito non va dimenticato che il caso iraniano, simile per molti aspetti, ha raggiunto un punto di svolta, sia pur tra numerose criticità e tanti distinguo, grazie al dialogo. Qualcosa di troppo spesso escluso a priori, invece, nella vicenda nordcoreana.

Francesco Emanuele Celentano è dottorando di ricerca in Diritto internazionale e dell’Unione europea presso l’Università di Bari (Twitter @Cesco_Cele).