Asia

Per la traduzione in una lingua diversa dall'Italiano.For translation into a language other than.

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

Metodo di ricerca ed analisi adottato

Per il medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

Cerca nel blog

martedì 27 maggio 2014

India: propsettive divese con il nuovo governo


India 146
Le elezioni per il rinnovo della Camera Bassa indiana (Lok Sabha), che si sono concluse lo scorso 12 maggio, hanno decretato la vittoria della Coalizione Democratica Nazionale (NDC) guidata dal Bharatya Janata Party (BJP). Il successo del BJP, capeggiato dal leader nazionalista Narenda Modi, ha segnato un risultato storico per la politica interna indiana. Infatti, per la prima volta in trent’anni, il partito di Modi, nominato Primo Ministro il 21 maggio, è riuscito a ottenere da solo la maggioranza assoluta dei voti, aggiudicandosi ben 283 seggi dei 543 totali. La competizione elettorale ha segnato la sconfitta del Partito del Congresso e ha portato a galla la forte disaffezione nei confronti della precedente classe dirigente che si è dimostrata incapace di tradurre il forte sviluppo economico in benessere diffuso ad ampie fasce della popolazione. Al contrario, gli ottimi risultati economici conseguiti dalla politica di Modi nello Stato del ! Gujarat, di cui è stato governatore, hanno contribuito al suo successo elettorale. Tuttavia, il conservatorismo religioso e la vicinanza ai movimenti induisti radicali del Primo Ministro destano non poca preoccupazione: ad oggi, infatti, non è ancora chiaro il suo coinvolgimento nei pogrom antimusulmani che si sono verificati, nel 2002 nello Stato da lui governato. La larga vittoria del BJP, che offre al partito la possibilità di garantire la stabilità del proprio mandato anche senza l’appoggio degli alleati minori, potrebbe determinare un inasprimento delle posizioni del governo. Tale cambiamento potrebbe rappresentare un fattore di criticità anche per la delicata gestione dei rapporti tra l’India e il nostro Paese. Durante la campagna elettorale, infatti, Modi aveva fortemente criticato il Partito del Congresso per l’atteggiamento conciliatorio verso i due Fucilieri di Marina, attualmente detenuti in India. Benché non sia da escludere che la retorica di Modi nei ! confronti dei due Marò sia stata un mero espediente elettorale, i numeri di cui il BJP dispone in Parlamento potrebbero determinare una gestione unilaterale della crisi diplomatica da parte del nuovo partito di maggioranza.

Fonte Cesi Roma

venerdì 16 maggio 2014

Vietnam: rivolte contro le indutrie cinesi


Vietnam 145
Nel corso di violente proteste contro il governo cinese verificatesi il 15 maggio nella provincia centrale di Ha Tinh, 20 operai hanno perso la vita e un complesso industriale siderurgico è stato dato alle fiamme. A distanza di un giorno dalle prime rivolte che hanno interessato il sud del Paese, circa 15 fabbriche di proprietà cinese o gestite da cittadini cinesi espatriati sono state incendiate e oltre 250 stabilimenti danneggiati. Alla base delle proteste vi è la decisione del governo cinese di installare, lo scorso 1 maggio, una piattaforma esplorativa e di effettuare trivellazioni sul fondale nei pressi delle isole Paracel, nel Mar Cinese Meridionale, che il Vietnam considera sua zona economica esclusiva (ZEE). Alle proteste di Hanoi, rimaste inascoltate, la Cina ha poi risposto con l’invio di 80 navi militari per pattugliare le acque al largo delle coste vietnamite.
Gli episodi di violenza degli scorsi giorni hanno contribuito a ! innalzare ulteriormente la tensione tra Pechino e Hanoi, la quale ha comunque mantenuto una politica di basso profilo limitandosi alla richiesta di ritiro della piattaforma e all’invio di motovedette per mostrare la sua presenza nell’area contesa. Tuttavia, qualora la Cina continui a ledere i diritti esclusivi di sfruttamento della ZEE

Fonte CESI 145

Thailandia: destituito il primo ministro ad interim

Thailandia
Thailandia 145

La scorso 7 maggio, la Corte Costituzionale thailandese ha reso nota la sentenza che decreta la destituzione del Primo Ministro ad interim Yingluck Shinawatra, leader del movimento politico “Pheu Thai” (“Per i Thailandesi”), risultato essere il primo partito nelle elezioni generali del 2011. L’accusa è quella di abuso di potere, in relazione alla rimozione illegittima di un impiegato statale, fatto risalente a tre anni fa. La decisione si inserisce nel quadro di un conflitto istituzionale che negli ultimi anni ha visto numerose volte la Suprema Corte entrare in conflitto con l’esecutivo in carica. Già in altre occasioni, infatti, la massima autorità giudiziaria del Paese si era pronunciata in contrasto con le direttive politiche del governo. Tuttavia, il recente verdetto non sembra essere sostenuto da una chiara previsione costituzionale ed è stato oggetto di forti contestazioni da parte dei sostenitori di Shinawatra.
Da div! ersi mesi la Thailandia è un Paese politicamente paralizzato, sin da quando, lo scorso dicembre, il Parlamento è stato sciolto in seguito a un’ondata di tumulti popolari antigovernativi che hanno colpito principalmente Bangkok. Lo scontro politico-isituzionale in atto fa da cornice, in realtà, a un generale malcontento per gli scandali di corruzione e malgoverno che hanno costellato il decennio di dominio politico della famiglia Shinawatra.
La decisione del governo, lo scorso dicembre, di convocare le elezioni politiche per febbraio si è rivelata un flop, a causa del riuscito boicottaggio dell’opposizione e della dichiarazione di invalidità del voto emessa dalla Corte Costituzionale. La situazione è precipitata ulteriormente nelle ultime settimane, duranti le quali gli scontri di piazza tra le “Red Shirts”, i sostenitori di Shinawatra, per lo più provenienti dalle aree rurali del Paese, e le “Yellow Shirts”, gli oppositori, riuniti nel “Comitato per l! e riforme Popolari” (PDRC), hanno fatto scivolare pericolosamente la Thailandia nel caos e minacciano seriamente di far slittare la nuova convocazione elettorale prevista per il mese di luglio.
Ciò che ad oggi appare l’unico esito probabile della disputa in atto è la progressiva perdita di legittimazione delle già fragili istituzioni democratiche, in una realtà statuale che ha conosciuto 10 colpi di stato negli ultimi 60 anni di storia del Paese.
 Fonte CESI 145

Siria: ritirate le truppe ribelli da Homs


Siria 145
L’implementazione degli accordi siglati nei primi giorni di maggio tra la Siria del Presidente Bashar Al-Assad e il vasto fronte di opposizione ha portato al ritiro delle truppe ribelli da Homs, a tre anni esatti dall’inizio dell’assedio nella città-simbolo della guerra civile siriana. Nell’ambito del “cessate il fuoco” previsto dagli accordi, circa 1.200 ribelli hanno abbandonato l’area della “Old City”, fatta eccezione per il distretto di Waer, nell’area nord-occidentale, ancora sotto il controllo degli insorti. La “tenuta” di Homs si potrebbe rivelare estremamente preziosa per il regime di Assad, nell’ottica di rafforzare la fascia occidentale che dalla capitale Damasco passa per Qalamoun, Qusayr, e giunge sino alla città di Latakia.
La messa in sicurezza del confine libanese, dunque, potrebbe consentire alle truppe fedeli al regime di concentrarsi sulle restanti aree contese, situate prevalentemente nel nord ! del Paese, tra cui figurano la città Aleppo e la regione di Latakia, dove nelle ultime settimane si è concentrata una vasta offensiva delle truppe lealiste nel tentativo di riguadagnare alcune posizioni strategiche che, nelle scorse settimane, erano state conquistate dai ribelli.
Al momento, per il regime di Assad le prospettive a breve-medio termine appaiono quelle di uno spostamento graduale del nucleo centrale del conflitto verso il nord del Paese, al fine di ricucire lo strappo creato dall’avanzata ribelle e di trarre guadagno da eventuali successi militari a fini propagandistici.

Fonte CESI 145

lunedì 12 maggio 2014

Filippine: un sguardo sulla prospettiva marittima Invito 28 maggio ore 12,30


Documento senza titolo
www.cesi-italia.org - Tel. +39 06 85 35 63 96 - Fax: +39 06 85 35 63 96 - Email: info@cesi-italia.org
CESI logo esteso colore
  
Le relazioni Italia-Filippine
una prospettiva marittima
sea-shepherd-caccia-balene-navi-protesta-2-770x485


La Conferenza "Le relazioni Italia - Filippine: una prospettiva marittima", organizzata dal Ce.S.I Centro Studi Internazionali in partnership con l'Ambasciata delle Filippine in Italia vuole essere un approfondimento delle relazioni tra due Paesi che da sempre condividono un legame importante a livello strategico ed economico con il mare.  Grazie alla presenza di illustri esperti sarà possibile analizzare nel dettaglio il valore del contesto marittimo e delle questioni economiche e di sicurezza ad esso legate. La Conferenza vuole, inoltre, illustrare le possibilità di cooperazione tra le autorità nazionali italiane e quelle filippine evidenziando l'esperienza e le capacità italiane nel monitoraggio e nella prevenzione dei rischi del traffico marittimo nel Mediterraneo oltre ad esaminare gli ! standard d'impiego per operatori marittimi previsti dall'Unione Europea e le differenze esistenti con quelli adottate dalle Filippine. 
Tra gli altri parteciperanno S.E Virgilio A. Reyes, Ambasciatore delle Filippine in Italia, Henry Bensurto (West Philippines Sea Center), Andrea Margelletti (Centro Studi Internazionali), Andrea Perugini (Ministero Affari Esteri), Giuseppe Loffreda (Esperto di Diritto della Navigazione).
L'iniziativa organizzata dal Ce.S.I. - Centro Studi Internazionali, in collaborazione con l'Ambasciata delle Filippine, avrà luogo mercoledi 28 maggio dalle ore 10.00 alle ore 12.30 presso la Sala delle Bandiere, Parlamento Europeo, via IV Novembre 149, Roma.
28 maggio 2014, ore 10:00
Sala delle Bandiere - Rappresentanza del Parlamento Europeo 

Via IV Novembre 149 - Roma
Video presenti in questa mail

Caricamento ...
Si è verificato un errore contattando il server. Riprovare più tardi.
Caricamento ...
Si è verificato un errore contattando il server. Riprovare più tardi.


lunedì 5 maggio 2014

Cina: Tra Russia ed Europa. La crisi in Ukraina

La crisi di Crimea: la Cina tra la Russia e l’Occidente
Da Geopolitica 110. ISAG

Fin dallo scorso novembre, quando a Kiev sono iniziate le proteste in Piazza dell’Indipendenza (Maidan Nezalezhnosti) contro il Presidente Janukovyč, la questione ucraina ha progressivamente attratto l’attenzione delle principali potenze mondiali, evidenziando una netta contrapposizione tra due poli: da un lato l’Occidente, in particolare l’Unione Europea e gli Stati Uniti, dall’altro la Russia. Tuttavia, poco o nulla si è detto a proposito della posizione diplomatica della Cina, potenza globale emergente per eccellenza, partner economico oramai imprescindibile per l’Occidente e tradizionale alleato politico e militare della Russia.
Dopo il 1991, con il superamento dell’esperienza sovietica, Cina e Russia hanno via via intrapreso un percorso diplomatico con molti punti in comune, ergendo a baluardo della loro politica l’incondizionata tutela dell’integrità territoriale degli Stati. Con particolare riguardo agli anni 2000, tale principio è andato di pari passo all’affermazione della dottrina della non ingerenza negli affari interni degli altri Stati. Non a caso, in seno alle Nazioni Unite, Cina e Russia si sono più volte spese a difesa di Paesi dove le pressioni e il coinvolgimento occidentali si facevano insistenti, come il Sudan1 e più recentemente la Siria2.
A livello ufficiale, agli albori della crisi crimeana, il Governo cinese, tramite l’agenzia di stampa di stato, Xinhua, sembrava orientarsi verso un appoggio, seppur di basso profilo, alle istanze russe, invitando l’Occidente ad abbandonare le anacronistiche velleità di Guerra Fredda e affrontare la questione “con” e non “contro” la Russia. A dare peso all’argomentazione, la stessa fonte di stampa teneva a sottolineare come, in virtù della sua influenza storica e culturale nel Paese, il diritto di Mosca a tutelare le comunità russofone in Crimea fosse “comprensibile”3. Nelle settimane precedenti al referendum, tuttavia, Pechino ha ricalibrato il suo punto di vista, sostenendo, insieme agli Stati Uniti, che ogni soluzione alla crisi dovrà rispettare la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina4.
Alla luce di quanto detto, la Cina sembra oggi attestarsi su una posizione piuttosto ambigua e transitoria riguardo alla crisi crimeana, da un lato sostenendo l’importanza dei principi fondamentali del diritto e della diplomazia internazionali, dall’altro “tenendo in considerazione i fattori storici e contemporanei della questione ucraina”5. Tradotto nei fatti, Pechino si è limitata ad esortare le parti a riprendere la strada del dialogo e riportare la contesa nel campo diplomatico, e proprio in questo senso sarebbe da leggere l’astensione del 15 marzo scorso nel voto sulla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza che mirava a dichiarare l’illegittimità del referendum in Crimea. Dietro quella che potrebbe apparire una mera implementazione del principio di non ingerenza negli affari di altri Stati, sembra dunque celarsi un gioco diplomatico molto più articolato, che vede Pechino districarsi tra Occidente e Russia senza voler e poter rinunciare al mantenimento di buoni rapporti con ambedue i contendenti.
Partendo dall’analisi dei rapporti con Mosca, il Presidente Xi Jinping è consapevole che le tensioni in Crimea non fanno che spingere Putin nelle braccia di Pechino e aprono la strada a un sempre più consistente riavvicinamento politico ed economico tra Russia e Cina, oramai isolate nei rispettivi scacchieri diplomatici regionali6. Tale prospettiva non sembra affatto infondata, dal momento che la nuova leadership cinese ha in passato espresso apprezzamento per la politica di Putin e il primo viaggio ufficiale di Xi Jinping è stato proprio a Mosca7. A dimostrazione di ciò, lo scorso ottobre i due Paesi hanno firmato una serie di accordi energetici, che prevedono tra l’altro la fornitura di gas russo alla Cina per una cifra di 85 miliardi di dollari8.
In secondo luogo, da un punto di vista strettamente geostrategico, una diplomazia statunitense impegnata a pieno regime sul fronte ucraino non dispiacerebbe affatto ai cinesi, desiderosi di allentare la pressione politica e militare americana in Asia orientale. Da un lato, Pechino ne beneficerebbe direttamente, potendosi ritagliare uno spazio di manovra più ampio nelle contese marittime, dall’altro un minore impegno dell’amministrazione Obama nella regione, distratta dalle crisi in Crimea e in Siria, andrebbe a ridimensionare i propositi di rebalancing politico, diplomatico e militare verso l’area Asia-Pacifico enunciati dal Presidente americano in Australia nel novembre 2011. Come conseguenza, alla luce dell’inconsistenza delle garanzie americane, gli alleati di Washington nella regione, quali la stessa Australia, il Giappone, la Corea del Sud e i Paesi dell’ASEAN9 potrebbero rivedere la loro intransigenza verso Pechino.
Da ultimo, l’acquiescenza cinese verso il colpo di mano di Putin in Crimea si potrebbe interpretare come un importante banco di prova per la credibilità della stessa risolutezza occidentale nel difendere lo status quo. In altri termini, a Pechino ci si potrebbe domandare: se Putin ha svelato il bluff americano ed europeo e si è preso la Crimea, chi potrà fermarci sulle isole Diaoyu o sulle Spratly?
Elencate le ragioni politiche e strategiche per cui la Cina appoggerebbe cautamente le manovre di Putin in Crimea, restano ora da analizzare i fattori che spingono Pechino a mantenere, invece, una posizione neutrale e distaccata nella contesa tra Mosca e l’Occidente. In questa prospettiva, la diplomazia statunitense preme affinché prevalga a Pechino la tradizionale politica del non intervento, soprattutto alla luce dell’impatto che gli eventi crimeani potrebbero avere nel complicato quadro della sicurezza interna cinese10. Non sorprende, infatti, che il referendum del 16 marzo in Crimea sia stato accolto con freddezza dagli ambienti governativi cinesi, consapevoli che un riconoscimento ufficiale delle istanze secessioniste avrebbe irrimediabilmente infiammato le già nutrite aspirazioni indipendentiste in Tibet, nello Xīnjiāng e nella Mongolia Interna. Pertanto, se è vero che la Cina non si oppone all’annessione russa, al tempo stesso la dimensione secessionista della crisi in atto in Ucraina va a toccare un nervo storicamente scoperto nella politica cinese e costringe Pechino a mantenersi vicina all’Occidente nel ribadire il rispetto del diritto internazionale e, più nello specifico, dell’integrità territoriale degli Stati.
Inoltre, sarebbe plausibile ritenere che la Cina possa scorgere nel blitz russo in Crimea un’indiretta minaccia alla sua grand strategy di espansione dell’influenza politica ed economica verso l’Asia Centrale, ribattezzata “March West11. Negli ultimi cinque anni, la presenza cinese in Asia centrale è cresciuta vertiginosamente, come dimostrato dalla conclusione di importanti accordi tra Cina e Kazakistan per un valore attorno ai 30 miliardi di dollari12. In questo progetto egemonico sembra credibile che la Cina individui proprio nel dinamismo di Putin una potenziale insidia a lungo termine.
In terzo luogo, è verosimile che il protrarsi della crisi ucraina e la possibilità dell’implementazione di nuove sanzioni e contro-sanzioni tra Occidente e Russia possano minare le già fragili fondamenta dell’economia globale, peraltro in una fase storica in cui la stessa Cina è alle prese con un rallentamento della crescita. È dunque un interesse primario di Pechino mantenere buoni rapporti con le cancellerie occidentali e tale sembra essere il proposito principale del tour europeo di Xi Jinping che, accompagnato da una delegazione di 200 uomini d’affari, sarà impegnato dal 22 marzo al 1 aprile in una serie di visite ufficiali tra Olanda, Francia, Germania e Belgio13.
Tirando le somme, la cauta posizione di neutralità cinese davanti alla crisi in atto in Crimea appare essere il naturale riflesso di una situazione in cui l’establishment di Pechino si trova a giocare due partite parallele con Mosca e con l’Occidente. Le solide radici dell’alleanza con la Russia e la comune visione geostrategica antagonistica rispetto all’egemonia statunitense sono alla base del benevolo assenso cinese all’operazione militare russa. Al tempo stesso, la Cina non può e non intende sacrificare la fruttuosa cooperazione economica con l’Occidente, basti pensare che nel solo 2013 il valore dell’interscambio commerciale tra Cina e Stati Uniti ha superato i 660 miliardi di dollari14. Inoltre, il crescente malcontento delle realtà indipendentiste interne al Paese stesso rischierebbe di acuirsi qualora Pechino si schierasse apertamente in favore del secessionismo filo-russo in Crimea. Pertanto, se al momento non sembrano esserci ragioni per cui la Cina dovrebbe abbandonare la sua sapiente equidistanza, sembra plausibile ritenere che ulteriori manovre militari russe all’interno del territorio ucraino, soprattutto nelle aree sensibili di Donetsk, Odessa e Kharkhiv, rischierebbero di alterare gli equilibri e raffreddare il legame Pechino-Mosca, aprendo nuovi scenari diplomatici in cui la Cina si troverebbe costretta a mostrare le carte.

Silvio Mudu è laureato magistrale in Scienze Internazionali e Diplomatiche (Università degli Studi di Siena).

1 Carin Zissis, Darfur crisis continues , Council on Foreign Relations, 4 Maggio 2006.
2 Holly Yan, Why Russia, Iran and China are standing by the regime, CNN, 30 Agosto 2013.
3 Lu Yu, West should work with, not against, Russia in handling Ukraine crisis, Xinhua, 3 Marzo 2014.
4 U.S., China officials agree Ukraine's territorial integrity important, Reuters, 6 Marzo 2014.
5 Hannah Beech, Russian Intervention in Crimea Puts China in Awkward Spot, Time, 4 Marzo 2014.
6 La crisi in Crimea ha di fatto interrotto il ventennale dialogo tra Russia e Unione Europea, mentre la Cina si trova a fronteggiare l'ostilità di buona parte dei Paesi vicini nelle contese marittime del Mar Cinese Meridionale e Orientale.
7 Jane Perlez, New Leader of China Plans a Visit to Moscow, The New York Times, 21 Febbraio 2013.
8 Russia, China ink $85 billion oil deal, The BRICS Post, 22 Ottobre 2013.
9 Association of South-East Asian Nations, organizzazione politica, economica e culturale che comprende Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Thailandia, Brunei, Vietnam, Laos, Birmania, Cambogia.
10 Tough choice: Crisis in Ukraine pushes China into limbo, Russia Today, 14 Marzo 2014.
11 Yun Sun, March West: China's Response to the U.S. Rebalancing, Brookings, 31 Gennaio 2014.
12 Perlez, China Looks West as It Bolsters Regional Ties, The New York Times, 7 Settembre 2013.
13 Chinese President Xi Jinping begins key Europe visit, BBC News, 22 Marzo 2014.
14 Russia Today, 14 Marzo 2014. 

domenica 4 maggio 2014

Stan-countries: acque agitate per la crisi ad occidente

Crisi ucraina
Il terremoto di Kiev scuote l’Asia centrale
Cono Giardullo
21/04/2014
 più piccolopiù grande
Le diplomazie delle ex-repubbliche sovietiche del Centro Asia hanno avuto un bel da fare negli ultimi mesi, data la crisi ucraina. L’annessione della Crimea alla Federazione russa tramite referendum ha costretto i cinque stati (Kazakhstan, Kyrgyzstan, Uzbekistan, Tajikistan e Turkmenistan) a barcamenarsi tra dichiarazioni di sostegno e di malcelata critica verso la rinata politica espansionista di Mosca.

A mostrarlo è stato quanto accaduto in occasione della risoluzione dell’Assemblea generale Onu del 27 marzo che ha dichiarato invalido il referendum summenzionato. Kyrgyzstan, Tajikistan e Turkmenistan non hanno preso parte alla votazione, subendo nel contempo forti pressioni dai diplomatici russi.

Uzbekistan, Tajikistan, Kyrgyzstan
L’Uzbekistan, pur evitando qualsiasi riferimento diretto alla Federazione russa, si è detto preoccupato riguardo al possibile deterioramento della situazione. Tashkent ha chiaramente espresso la necessità di evitare qualsivoglia minaccia all’integrità territoriale ucraina.

Il Tajikistan, fortemente dipendente dall’economia russa, e il Turkmenistan, regime ben più autoritario di quello dell’ex-presidente ucraino Yanukovich, non si sono espressi. Il Kazakhstan, con una minoranza etnica russa pari al 22% dell’intera popolazione, ha fatto sapere che il presidente Nursultan Nazarbaev, al telefono con Putin, ha espresso comprensione per la preoccupazione russa di proteggere i diritti delle minoranze etniche in Ucraina.

Molti credevano che il Kyrgyzstan potesse assumere una posizione forte, critica nei confronti di Mosca. Il paese è infatti la speranza democratica della regione e ha vissuto due rivoluzioni: nel 2005 e nel 2010, rivolte popolari contro leader fortemente corrotti. Il presidente kyrgyzo Almazbek Atambaev ha per primo espresso le sue condoglianze alle famiglie uccise a Kiev durante gli scontri, dichiarandosi fiducioso per il futuro del popolo ucraino.

L’11 marzo, il Ministro degli esteri ha emesso un comunicato stampa condividendo l’inquietudine della comunità internazionale per l’escalation di tensione in Ucraina, descrivendo il presidente Viktor Yanukovich come esautorato de facto del potere presidenziale. Asseritamente, la minaccia di Mosca di espellere i migranti kyrgizi in Russia (tra 600,000 e 1 milione) ha costretto lo stesso Ministro a emettere un nuovo comunicato, il 20 marzo, con il quale Bishkek riconosceva i risultati del referendum in Crimea. Questi rappresentano il volere assoluto della maggioranza della popolazione della Repubblica autonoma.

Dipendenza economica dalla Russia
I paesi più poveri, Tajikistan e Kyrgyzstan, devono fare i conti con la dipendenza economica dalle rimesse dei migranti in Russia. Secondo la Banca Mondiale, il Tajikistan è al primo posto al mondo per contribuzione delle rimesse al Gdp nazionale (48%), seguito dal Kyrgyzstan (31%). È chiaro che i governi temono il declino dell’economia russa e il ritorno dei migranti in patria, dove i tassi di disoccupazione sono elevatissimi.

Il Kyrgyzstan ha inoltre venduto alcuni tra i suoi asset strategici a compagnie russe. Se nel 2013, la compagnia KyrgyzGas è stato venduta al gigante russo Gazprom per un dollaro, causa debiti, e la compagnia russa RusHydro è divenuta azionista centrale della compagnia kyrgyza idro-energetica, si fanno sempre più insistenti le voci di una futura acquisizione dell’aeroporto Manas da parte della russa Rosneft, quando gli americani abbondoneranno la base il prossimo luglio.

Unione doganale eurosiatica e influenza Cina
Nel frattempo un nuovo movimento politico di opposizione si è creato, allo scopo di respingere i tentativi di Mosca di “annettere” Bishkek all’Unione doganale euroasiatica. Sui social network il dibattito è infuriato, e se la stragrande maggioranza degli utenti parteggia per l’integrità territoriale ucraina, i media russi si sforzano di convincere la maggioranza della popolazione del contrario.

Nel frattempo l’influenza economica cinese sulla regione è in continuo aumento. La Cina è oggi una valida e potente alternativa alla Russia. La repubblica popolare è divenuta, infatti, il principale partner commerciale della regione. Xi Jinping, in visita lo scorso settembre in Asia Centrale, ha siglato nel giro di una settimana un accordo con il Turkmenistan per triplicare la quantità di esportazioni di gas verso la Cina entro il 2020; ha portato a termine accordi per 15 miliardi di dollari in Uzbekistan e ha firmato contratti per 30 miliardi in Kazakhstan.

A Bishkek, ha perfino ideato una partnership strategica con il Kyrgyzstan e donato 3 miliardi di dollari per progetti energetici e di miglioramento delle infrastrutture.

Certamente la Cina guarda con attenzione alla minoranza uigura in Kazakhstan e in Kyrgyzstan e il ritiro delle truppe americane a fine 2014 dall’Afghanistan le impone di accrescere i suoi sforzi in materia di sicurezza e di lotta a quelli che considera come i tre mali supremi: estremismo, separatismo e terrorismo.

Cono Giardullo è consigliere politico presso la Delegazione dell’Unione europea a Bishkek.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2610#sthash.hekmdFnD.dpuf

CIna: un futuro non roseo?

Cina
Lo spettro del collasso ambientale
Cao Yuè
25/04/2014
 più piccolopiù grande
La Cina è oggi il maggiore consumatore di energia al mondo, il principale importatore di petrolio, nonché il primo emettitore di gas serra. Circa il 70% dell’economia cinese è alimentato dal carbone.

Le conseguenze ambientali sulla salute di questa impressionante crescita si sono manifestate con chiarezza negli ultimi anni: le cosiddette “apocalissi dell’aria” in molte città, gli scandali sui raccolti e le falde acquifere contaminati, l’abbassamento delle aspettative di vita e le morti premature tra la popolazione evidenziati da recenti studi sono gli esempi più lampanti.

Preoccupata da questi problemi, e dalla potenziale instabilità sociale, la leadership cinese ha adottato misure eccezionali per combattere il degrado ambientale. Nel 2009, al vertice sul clima di Copenaghen, la Cina si è impegnata a ridurre del 40-45% l’intensità di carbonio e a raggiungere l’obiettivo del 15% del consumo totale di energia ottenuta da combustibili non-fossili entro il 2020.

Dodicesimo piano quinquennale
Il dodicesimo piano quinquennale (2011-2015) ha confermato questa nuova direzione enunciando una strategia generale di sviluppo low-carbon: il piano abbozza i contorni dei primi mercati per i crediti di emissione, colloca le nuove energie, la conservazione dell’energia, la protezione ambientale e i veicoli a energia pulita tra le sette “industrie strategiche” sostenute dal governo, e - soprattutto - si pone come obiettivo un tasso di crescita del Pil più basso (7%), con un minore utilizzo di energia.

Quali risultati sono stati finora ottenuti? 
Dall’entrata in vigore del piano: a causa della più moderata crescita economica, la domanda di energia della Cina è cresciuta solo del 3,9% nel 2012 - il tasso di crescita più basso del decennio -, diminuendo così l’intensità energetica del 3,6%. L’emissione di CO2 è aumentata del 3,2% nel 2012 rispetto ad un aumento del 9,3% nel 2011, riducendo l’intensità di carbonio del 4,3%.

Inoltre, l’offerta di energia da combustibili non fossili è aumentata di circa il 9%, grazie alla crescita del volume di elettricità generata da centrali eoliche e idroelettriche. In aggiunta, dal giugno 2013, la Cina ha lanciato esperimenti-pilota di mercati delle emissioni a Shenzhen, Shanghai e Pechino.

Sfide future
Nonostante la Cina sembri essere sulla buona strada per quanto riguarda la riduzione dell’intensità di carbonio, grandi sfide permangono all’orizzonte. Innanzitutto, il vero problema, rappresentato dal ruolo delle imprese di stato (State-owned enterprises, Soe) non è affrontato di petto.

Le Soe attive nel settore energetico rappresentano i monopoli di mercato più imponenti del paese e influenzano i processi del policy-making, dato il rango ministeriale ricoperto da molti presidenti delle stesse aziende. Gli alti prezzi dell’energia e delle risorse sono determinati dal potere monopolistico delle imprese di Stato, non dal mercato.

In secondo luogo, bisogna considerare che l’urbanizzazione della Cina è ancora in corso. Nel 2009 McKinsey ha stimato che la popolazione urbana raggiungerà un miliardo di persone entro il 2030, e che entro il 2025 ci saranno 221 città con almeno un milione di abitanti, e 23 con oltre cinque. la domanda di energia della Cina aumenterà del 40% tra il 2011 e il 2035, arrivando a rappresentare il 40% della crescita di domanda mondiale, mentre le emissioni di CO2 cresceranno del 28% durante lo stesso periodo.

In terzo luogo, la Cina presenta un’enorme sovraccapacità nelle industrie del cemento, del vetro, del trasporto marittimo e dell’acciaio, in seguito al calo della domanda estera determinato dalla crisi economica globale. Perciò, dato che più della metà del consumo energetico cinese è di natura industriale, bisognerebbe compiere i necessari passi per non aumentare le scorte.

In quarto luogo, lo sviluppo delle nuove energie procede a singhiozzo. In seguito alla guerra commerciale dei pannelli fotovoltaici, la National Development Reform Commission (Ndrc) nel luglio 2013 ha emesso un documento per spostare il focus dell’industria sul mercato interno, e promuovere impianti diffusi di generazione di energia.

Questo piano non sta però procedendo come sperato. A causa del rapido sviluppo dell’industria, molte centrali eoliche sono state costruite in aree con abbondanza di elettricità generata dal carbone e, quindi, sono state tagliate fuori dalla rete di distribuzione. La stessa associazione stima uno spreco in 20 miliardi di KW/ora nel 2012, con una perdita totale di 10 miliardi di yuan (1,2 miliardi di euro).

Gas sostituto del carbone?
Infine, permangono sostanziali ostacoli alla sostituzione del carbone con il gas nel consumo energetico. Il paese è un importatore netto di gas convenzionale (possiede infatti solamente l’1% delle riserve globali), e l’industria dello shale gas (gas di scisto) deve ancora decollare. Perciò, per aumentare rapidamente la quota di gas nel suo mix energetico, la Cina deve assicurarsi una fornitura di gas stabile ed economica dall’estero. Il percorso di decarbonizzazione si presenta quindi come irto di ostacoli.

La sfida più complessa rimane quella della trasmissione delle politiche dal centro alle istituzioni locali, cui spetta garantirne l’attuazione. Molte cose potrebbero andare storte in questo processo. Su questo sarà giudicata negli anni avvenire la leadership guidata da Xi Jinping e Li Keqiang.

Articolo pubblicato su OrizzonteCina, rivista online sulla Cina contemporanea a cura di Torino World Affairs Institute e Istituto Affari Internazionali.

Cao Yuè è research assistant, T.wai.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2615#sthash.5NrPKEaj.dpuf