Thailandia
La scorso 7 maggio, la Corte Costituzionale thailandese ha reso nota la sentenza che decreta la destituzione del Primo Ministro ad interim Yingluck Shinawatra, leader del movimento politico “Pheu Thai” (“Per i Thailandesi”), risultato essere il primo partito nelle elezioni generali del 2011. L’accusa è quella di abuso di potere, in relazione alla rimozione illegittima di un impiegato statale, fatto risalente a tre anni fa. La decisione si inserisce nel quadro di un conflitto istituzionale che negli ultimi anni ha visto numerose volte la Suprema Corte entrare in conflitto con l’esecutivo in carica. Già in altre occasioni, infatti, la massima autorità giudiziaria del Paese si era pronunciata in contrasto con le direttive politiche del governo. Tuttavia, il recente verdetto non sembra essere sostenuto da una chiara previsione costituzionale ed è stato oggetto di forti contestazioni da parte dei sostenitori di Shinawatra.
Da div! ersi mesi la Thailandia è un Paese politicamente paralizzato, sin da quando, lo scorso dicembre, il Parlamento è stato sciolto in seguito a un’ondata di tumulti popolari antigovernativi che hanno colpito principalmente Bangkok. Lo scontro politico-isituzionale in atto fa da cornice, in realtà, a un generale malcontento per gli scandali di corruzione e malgoverno che hanno costellato il decennio di dominio politico della famiglia Shinawatra.
La decisione del governo, lo scorso dicembre, di convocare le elezioni politiche per febbraio si è rivelata un flop, a causa del riuscito boicottaggio dell’opposizione e della dichiarazione di invalidità del voto emessa dalla Corte Costituzionale. La situazione è precipitata ulteriormente nelle ultime settimane, duranti le quali gli scontri di piazza tra le “Red Shirts”, i sostenitori di Shinawatra, per lo più provenienti dalle aree rurali del Paese, e le “Yellow Shirts”, gli oppositori, riuniti nel “Comitato per l! e riforme Popolari” (PDRC), hanno fatto scivolare pericolosamente la Thailandia nel caos e minacciano seriamente di far slittare la nuova convocazione elettorale prevista per il mese di luglio.
Ciò che ad oggi appare l’unico esito probabile della disputa in atto è la progressiva perdita di legittimazione delle già fragili istituzioni democratiche, in una realtà statuale che ha conosciuto 10 colpi di stato negli ultimi 60 anni di storia del Paese.
Da div! ersi mesi la Thailandia è un Paese politicamente paralizzato, sin da quando, lo scorso dicembre, il Parlamento è stato sciolto in seguito a un’ondata di tumulti popolari antigovernativi che hanno colpito principalmente Bangkok. Lo scontro politico-isituzionale in atto fa da cornice, in realtà, a un generale malcontento per gli scandali di corruzione e malgoverno che hanno costellato il decennio di dominio politico della famiglia Shinawatra.
La decisione del governo, lo scorso dicembre, di convocare le elezioni politiche per febbraio si è rivelata un flop, a causa del riuscito boicottaggio dell’opposizione e della dichiarazione di invalidità del voto emessa dalla Corte Costituzionale. La situazione è precipitata ulteriormente nelle ultime settimane, duranti le quali gli scontri di piazza tra le “Red Shirts”, i sostenitori di Shinawatra, per lo più provenienti dalle aree rurali del Paese, e le “Yellow Shirts”, gli oppositori, riuniti nel “Comitato per l! e riforme Popolari” (PDRC), hanno fatto scivolare pericolosamente la Thailandia nel caos e minacciano seriamente di far slittare la nuova convocazione elettorale prevista per il mese di luglio.
Ciò che ad oggi appare l’unico esito probabile della disputa in atto è la progressiva perdita di legittimazione delle già fragili istituzioni democratiche, in una realtà statuale che ha conosciuto 10 colpi di stato negli ultimi 60 anni di storia del Paese.
Fonte CESI 145
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