Asia

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Metodo di ricerca ed analisi adottato

Per il medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

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sabato 21 febbraio 2015

Cina: il newletter "Orizzonti Cina"

  






Bentornati alla newsletter 
OrizzonteCina (ISSN 2280-8035) 
nella nuova grafica! In questo numero articoli su:

• Avanzare per non arretrare: dinamiche di una fase cruciale per le riforme
• A un anno dalla terza Sessione Plenaria: riforme economiche al palo
• Governo del Partito o stato di diritto?
• Economia di mercato, stato di diritto e ruolo guida del Partito comunista

 cinese
• Consolidare il potere su tutti i fronti: la via di Xi Jinping all'"autoritarismo 

resiliente"
• L'eterno mito del ritorno a casa: i cinesi d’oltremare che lasciano il 

"sogno italiano" per quello cinese
• La migrazione cinese in Italia. Strategie di adattamento, 

imprenditorialità, e mobilità sociale
• Una prospettiva storica sullo studio dei media cinesi
• L’internazionalizzazione delle università cinesi:

 una questione globale
• Racconti di templi e di divinità. La religione popolare cinese tra spazi

 sociali e luoghi dell'aldilà (recensione)



(per avere direttamente  Orizzonti Cina scrivere a:
 orizzonticina@iai.it)

Afganistan: orizzonti oscuri sulla stabilità del paese

Dopo Isaf
'Prospettiva generale' e Afghanistan, previsioni e analisi di una guerra non vinta
Claudio Bertolotti
14/02/2015
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La conclusione della missione Isaf ha portato a compimento la più duratura operazione di combattimento condotta dagli Stati Uniti e dall’Alleanza atlantica.

Un impegno che proseguirà ora in altre forme: da un lato la nuova missione “train, advise e assist” della Nato, la Resolute Support, dall’altro l’operazione di “combattimento” statunitense nel solco dell’esperienza di Enduring Freedom.

Un processo di analisi incentrato sugli sviluppi dell’Afghanistan impone di valutare gli elementi in grado di influire su un paese che si appresta ad affrontare il proprio futuro con maggiore autonomia grazie a:
- il sostegno della comunità internazionale e l’interesse alla stabilità degli attori regionali;
- il compromesso politico tra i gruppi di potere legati alla diarchia Ghani-Abdullah (il primo presidente, e il secondo Chief executive officer, sorta di primo ministro de facto ma non - ancora - de jure);
- la permanenza di una residua forza internazionale.

A questi fattori si contrappongono la volontà occidentale di chiudere un impegno durato troppo a lungo, e uno stato afgano debole, inefficiente, corrotto e guidato da una burocrazia incompetente.

Stabilità afghana minacciata
Le minacce alla stabilizzazione sono la prosecuzione delle conflittualità alle quali le sole forze di sicurezza afghane non saranno in grado di far fronte, in particolare contro gruppi di opposizione armata sempre più forti e capaci di riconquistare molte delle aree in precedenza tenute dalla coalizione e dai contingenti inquadrati nella missione Isaf.

Molte le opportunità potenziali: l’impegno dei donor internazionali, le ricchezze del sottosuolo, il ruolo di zona di transito dei traffici commerciali regionali e la cooperazione economica con Iran e Cina. Nel contesto di cooperazione e sostegno all’Afghanistan attualmente vengono confermati il ruolo di Italia, Germania, Turchia e Stati Uniti, come attori dell’impegno Nato post-2014.

A fronte delle opportunità, l’assenza di truppe internazionali e la volontà dei gruppi di opposizione di destabilizzare il paese rappresentano le maggiori minacce.

Lo zampino del Califfo
In particolare, è necessario porre l’attenzione su un altro preoccupante fattore che ha recentemente fatto la sua comparsa, l’autoproclamatosi “stato islamico”.

Nel tentativo di penetrazione in Asia meridionale, il “califfato” è riuscito a stimolare la scissione del movimento dei taliban pakistani e ad avviare attività operative all’interno dell’Afghanistan, inducendo all’insorgere di dinamiche che potrebbero portare, da un lato, all’istituzione di una “libera alleanza di mujaheddin” dal forte impatto mediatico e, dall’altro, a nuovi rapporti di conflittualità e competitività tra gli stessi gruppi insurrezionali.

Rischio collasso
Sul piano politico-sociale le principali variabili sono la capacità del governo afghano di mantenere un equilibrio tra i gruppi di potere, il power-sharing tra questi ultimi, e, non ultime, le elezioni politiche previste per settembre.

Sulla sicurezza influirà principalmente il fenomeno insurrezionale, che potrebbe determinare il collasso dello stato afghano. Nel complesso, il prossimo biennio sarà contraddistinto da un aumento delle conflittualità, una riduzione delle capacità statali, e una maggiore instabilità politico-sociale.

È altresì probabile uno stato afghano debole politicamente e incapace di gestire il balance of power, vulnerabile alle pressioni dei Gruppi di opposizione armata , instabile sul piano della sicurezza interna, incapace di gestire i finanziamenti internazionali.

Senza mezzi termini o formule edulcorate, se l’Occidente non sosterrà adeguatamente le deboli istituzioni afgane e si avrà il collasso dello stato, allora la sfida in Afghanistan sarà persa, vanificando l’attività contro-insurrezionale condotta nell’ultimo decennio.

Il governo di Kabul è infatti debole e sul lungo periodo non sarà in grado di resistere all’offensiva insurrezionale condotta senza soluzione di continuità, se non avrà aiuto dall’esterno.

La prospettiva è che quanto più la Nato ridurrà la presenza sul terreno e il supporto alle forze afghane, tanto più le aree periferiche cadranno sotto l’influenza, prima, e il controllo, poi, dei gruppi di opposizione armata: dalla periferia verso il centro.

La riduzione delle forze statunitensi, in particolare, garantirà ai gruppi insurrezionali una maggiore capacità di concentrare unità e condurre azioni di massa. La prosecuzione delle azioni di combattimento si presenta come una scelta strategica dagli effetti a breve termine.

In sintesi, lo stato afghano - limitato nella governance, dipendente sul piano economico e non in grado di contrastare il fenomeno insurrezionale - punta ora a un compromesso politico che dovrà muovere verso un accordo con gli insorti afghani. Le premesse si muovono sui binari della realpolitik, con buona pace delle ambizioni democratiche.

Claudio Bertolotti, analista strategico, ricercatore senior presso il Centro militare di Studi Strategici e docente di “Analisi d’area”, è stato capo sezione contro-intelligence e sicurezza di Isaf in Afghanistan. È membro dell’Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies (Itstime) e ricercatore per l’Italia alla “5+5 Defense iniziative, 2015” dell’Euro-Maghreb Centre for Research and Strategic Studies (CEMRES).

Il 19 febbraio alle 9.30, presso la sede del Centro Alti Studi per la Difesa (Roma, Palazzo Salviati), il Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS) presenterà le proprie analisi e previsioni strategiche contenute nelle pubblicazioni “Prospettiva Generale 2015” (di cui il presente articolo è una sintesi) e “Global Outlook 2015”.
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venerdì 13 febbraio 2015

Cina: una crescita costante

Asia
La nuova normalità dell’economia cinese
Nello del Gatto
10/02/2015
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La “nuova normalità” dell’economia cinese scuote un po’ Pechino, ma continua a fare invidia ai paesi di tutto il mondo. La crescita attuale è “solo” al 7,4%, il dato è il più basso dal 1990, quando la Cina crebbe al 3,8% a causa delle sanzioni imposte dopo i fatti di Piazza Tiananmen.

Ed è anche la prima volta dal 1998 (i dati sono pubblici solo dal 1995) che la crescita cinese è inferiore al target fissato dal governo che, per il 2014, era del 7,5%. La crescita ha totalizzato 63,64 trilioni di yuan (10,26 trilioni di dollari) che non permettono alla Cina il soprasso sugli Stati Uniti come pronosticato, lasciando il paese del dragone al secondo posto tra le migliori economie al mondo.

La crescita cinese rallenta
È comunque la prima volta che la Cina supera i 10 trilioni e le sono serviti 14 anni mentre agli Usa 30 per raggiungere il risultato nel 2001.

Nonostante il record a 10 trilioni, il reddito pro-capite cinese è rimasto basso, intorno al novantesimo posto nel mondo, con 200 milioni di cinesi che vivono sotto la soglia di povertà. La riduzione della crescita ha portato anche le province cinesi a ridurre i loro target, alcuni anche di 5 punti, riportando tutto ad una situazione più normale.

Le autorità cinesi si sono affrettate a parlare di una “nuova normalità” della loro economia, dopo una crescita che ha superato il 10% dal 2000 al 2012, quando poi è stata registrato un Pil al 7,7% mantenuto anche nel 2013.

E le previsioni non sono rosee: secondo il Fondo monetario internazionale, la Cina dovrebbe crescere del 6,8% (-0,3 punti) nel 2015 e nel 2016 del 6,3% (-0,5 punti). L’annuncio della normalità serve anche a calmierare posizioni e preoccupazioni: in primis quella della ricaduta occupazionale, temuta non poco da Pechino, ma anche quella del debito pubblico.

Mercato immobiliare e dell’acciaio in calo
Le cause del rallentamento della crescita cinese derivano in primo luogo da un cambiamento della stessa da un sistema basato sulle esportazioni dovute ai bassi prezzi di produzione, a un sistema basato sul consumo interno.

Il mercato immobiliare è in calo. Si tratta di uno dei fattori più importanti dell’economia cinese, nel quale gli investimenti l’anno scorso sono cresciuti del 10,5%, molto al di sotto del 9,8% di crescita del 2013. Ora le vendite sono in calo del 7,6% e con l’aumento dello spazio non venduto del 26,1%.

Il calo dell’immobiliare porta quello dell’acciaio: anche se la produzione ha raggiunto il record di 822,7 milioni di tonnellate l’anno scorso (circa la metà della produzione globale) la crescita è stata solo dello 0,9%, il dato più basso dal 1981.

Nel 2014, sono calati gli investimenti in infrastrutture, scesi a un tasso di crescita del 15,7%, contro un aumento su base annua del 19,6% nel 2013.

I dati diffusi dall’istituto nazionale di statistica hanno dimostrato una ripresa dell’economia cinese nell’ultima parte dell’anno, con buoni segnali da vendite al dettaglio e la produzione industriale: la stessa ha registrato un calo rispetto al 2013, all’8,3% su base annua, in calo rispetto al 9,7% del 2013.

Taglio dei tassi di interesse
Le autorità erano già preoccupate, non a caso a novembre hanno deciso di tagliare i tassi di interesse. Difficile che, come fatto nel 2008, butteranno soldi nel sistema, perché aumenterebbero già il notevole debito (240% del Pil), ma continueranno a cercare di stimolare la domanda interna cercando sempre più di lasciare un modello industriale pesante verso uno più efficiente aumentando i consumi interni.

Il nuovo anno non è cominciato sotto il buon auspicio. L’attività manifatturiera ha rallentato il suo corso, con il dato più basso dall’ottobre 2012 a 49,8, sotto di 0,3 rispetto a dicembre. Un dato superiore al 50 indica espansione, mentre al di sotto indica contrazione. Stessa performance anche per i servizi, che comunque si mantengono nella zona di crescita.

Liquidità e bolle speculative
Il pericolo è soprattutto la liquidità. Le province sono gravemente indebitate sin dal 2008 e si cerca di trovare un metodo per favorire le aziende. La Banca centrale cinese ha deciso di tagliare il coefficiente della riserva obbligatoria delle banche di 50 punti base proprio per dare più liquidità a sostegno delle imprese.

La banca centrale ha anche deciso di ridurre di ulteriori 50 punti per alcune banche commerciali, impegnate soprattutto verso alcuni settori strategici come l’agricoltura.

Si temono però bolle speculative. A provocarle potrebbero essere denaro non reale immesso nel mercato (si sta allargando lo scandalo di banche false e di sistemi finanziari malati) e un innalzamento dell’inflazione che rende il potere di acquisto basso.

Il dragone, ha bisogno di riforme strutturali importanti per normalizzare la sua economia. Si sta cercando di migliorare soprattutto l’accesso al mercato. Dopo alcune sperimentazioni di innovazioni economiche e finanziarie nell’area di libero scambio di Shanghai (aperta a settembre 2013), le autorità hanno ora deciso di estendere queste novità a tutto il paese.

Il governo ha ben chiaro che senza riforme strutturali l’economia cinese avrà sempre una parte malata, ma non può riformare di colpo. I tempi cinesi sono lunghi.

Nello del Gatto, dopo aver lavorato come giornalista di nera e giudiziaria nella provincia di Napoli seguendo i più importanti processi di camorra, si è dedicato agli Esteri. Nel 2003 era alla stampa della presidenza italiana del consiglio dell'Ue; poi 6 anni in India come corrispondente per l'Ansa e successivamente a Shanghai con lo stesso ruolo.
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