Dopo Isaf 'Prospettiva generale' e Afghanistan, previsioni e analisi di una guerra non vinta Claudio Bertolotti 14/02/2015 |
La conclusione della missione Isaf ha portato a compimento la più duratura operazione di combattimento condotta dagli Stati Uniti e dall’Alleanza atlantica.
Un impegno che proseguirà ora in altre forme: da un lato la nuova missione “train, advise e assist” della Nato, la Resolute Support, dall’altro l’operazione di “combattimento” statunitense nel solco dell’esperienza di Enduring Freedom.
Un processo di analisi incentrato sugli sviluppi dell’Afghanistan impone di valutare gli elementi in grado di influire su un paese che si appresta ad affrontare il proprio futuro con maggiore autonomia grazie a:
- il sostegno della comunità internazionale e l’interesse alla stabilità degli attori regionali;
- il compromesso politico tra i gruppi di potere legati alla diarchia Ghani-Abdullah (il primo presidente, e il secondo Chief executive officer, sorta di primo ministro de facto ma non - ancora - de jure);
- la permanenza di una residua forza internazionale.
A questi fattori si contrappongono la volontà occidentale di chiudere un impegno durato troppo a lungo, e uno stato afgano debole, inefficiente, corrotto e guidato da una burocrazia incompetente.
Stabilità afghana minacciata
Le minacce alla stabilizzazione sono la prosecuzione delle conflittualità alle quali le sole forze di sicurezza afghane non saranno in grado di far fronte, in particolare contro gruppi di opposizione armata sempre più forti e capaci di riconquistare molte delle aree in precedenza tenute dalla coalizione e dai contingenti inquadrati nella missione Isaf.
Molte le opportunità potenziali: l’impegno dei donor internazionali, le ricchezze del sottosuolo, il ruolo di zona di transito dei traffici commerciali regionali e la cooperazione economica con Iran e Cina. Nel contesto di cooperazione e sostegno all’Afghanistan attualmente vengono confermati il ruolo di Italia, Germania, Turchia e Stati Uniti, come attori dell’impegno Nato post-2014.
A fronte delle opportunità, l’assenza di truppe internazionali e la volontà dei gruppi di opposizione di destabilizzare il paese rappresentano le maggiori minacce.
Lo zampino del Califfo
In particolare, è necessario porre l’attenzione su un altro preoccupante fattore che ha recentemente fatto la sua comparsa, l’autoproclamatosi “stato islamico”.
Nel tentativo di penetrazione in Asia meridionale, il “califfato” è riuscito a stimolare la scissione del movimento dei taliban pakistani e ad avviare attività operative all’interno dell’Afghanistan, inducendo all’insorgere di dinamiche che potrebbero portare, da un lato, all’istituzione di una “libera alleanza di mujaheddin” dal forte impatto mediatico e, dall’altro, a nuovi rapporti di conflittualità e competitività tra gli stessi gruppi insurrezionali.
Rischio collasso
Sul piano politico-sociale le principali variabili sono la capacità del governo afghano di mantenere un equilibrio tra i gruppi di potere, il power-sharing tra questi ultimi, e, non ultime, le elezioni politiche previste per settembre.
Sulla sicurezza influirà principalmente il fenomeno insurrezionale, che potrebbe determinare il collasso dello stato afghano. Nel complesso, il prossimo biennio sarà contraddistinto da un aumento delle conflittualità, una riduzione delle capacità statali, e una maggiore instabilità politico-sociale.
È altresì probabile uno stato afghano debole politicamente e incapace di gestire il balance of power, vulnerabile alle pressioni dei Gruppi di opposizione armata , instabile sul piano della sicurezza interna, incapace di gestire i finanziamenti internazionali.
Senza mezzi termini o formule edulcorate, se l’Occidente non sosterrà adeguatamente le deboli istituzioni afgane e si avrà il collasso dello stato, allora la sfida in Afghanistan sarà persa, vanificando l’attività contro-insurrezionale condotta nell’ultimo decennio.
Il governo di Kabul è infatti debole e sul lungo periodo non sarà in grado di resistere all’offensiva insurrezionale condotta senza soluzione di continuità, se non avrà aiuto dall’esterno.
La prospettiva è che quanto più la Nato ridurrà la presenza sul terreno e il supporto alle forze afghane, tanto più le aree periferiche cadranno sotto l’influenza, prima, e il controllo, poi, dei gruppi di opposizione armata: dalla periferia verso il centro.
La riduzione delle forze statunitensi, in particolare, garantirà ai gruppi insurrezionali una maggiore capacità di concentrare unità e condurre azioni di massa. La prosecuzione delle azioni di combattimento si presenta come una scelta strategica dagli effetti a breve termine.
In sintesi, lo stato afghano - limitato nella governance, dipendente sul piano economico e non in grado di contrastare il fenomeno insurrezionale - punta ora a un compromesso politico che dovrà muovere verso un accordo con gli insorti afghani. Le premesse si muovono sui binari della realpolitik, con buona pace delle ambizioni democratiche.
Claudio Bertolotti, analista strategico, ricercatore senior presso il Centro militare di Studi Strategici e docente di “Analisi d’area”, è stato capo sezione contro-intelligence e sicurezza di Isaf in Afghanistan. È membro dell’Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies (Itstime) e ricercatore per l’Italia alla “5+5 Defense iniziative, 2015” dell’Euro-Maghreb Centre for Research and Strategic Studies (CEMRES).
Il 19 febbraio alle 9.30, presso la sede del Centro Alti Studi per la Difesa (Roma, Palazzo Salviati), il Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS) presenterà le proprie analisi e previsioni strategiche contenute nelle pubblicazioni “Prospettiva Generale 2015” (di cui il presente articolo è una sintesi) e “Global Outlook 2015”.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2964#sthash.VVrMO64a.dpufUn impegno che proseguirà ora in altre forme: da un lato la nuova missione “train, advise e assist” della Nato, la Resolute Support, dall’altro l’operazione di “combattimento” statunitense nel solco dell’esperienza di Enduring Freedom.
Un processo di analisi incentrato sugli sviluppi dell’Afghanistan impone di valutare gli elementi in grado di influire su un paese che si appresta ad affrontare il proprio futuro con maggiore autonomia grazie a:
- il sostegno della comunità internazionale e l’interesse alla stabilità degli attori regionali;
- il compromesso politico tra i gruppi di potere legati alla diarchia Ghani-Abdullah (il primo presidente, e il secondo Chief executive officer, sorta di primo ministro de facto ma non - ancora - de jure);
- la permanenza di una residua forza internazionale.
A questi fattori si contrappongono la volontà occidentale di chiudere un impegno durato troppo a lungo, e uno stato afgano debole, inefficiente, corrotto e guidato da una burocrazia incompetente.
Stabilità afghana minacciata
Le minacce alla stabilizzazione sono la prosecuzione delle conflittualità alle quali le sole forze di sicurezza afghane non saranno in grado di far fronte, in particolare contro gruppi di opposizione armata sempre più forti e capaci di riconquistare molte delle aree in precedenza tenute dalla coalizione e dai contingenti inquadrati nella missione Isaf.
Molte le opportunità potenziali: l’impegno dei donor internazionali, le ricchezze del sottosuolo, il ruolo di zona di transito dei traffici commerciali regionali e la cooperazione economica con Iran e Cina. Nel contesto di cooperazione e sostegno all’Afghanistan attualmente vengono confermati il ruolo di Italia, Germania, Turchia e Stati Uniti, come attori dell’impegno Nato post-2014.
A fronte delle opportunità, l’assenza di truppe internazionali e la volontà dei gruppi di opposizione di destabilizzare il paese rappresentano le maggiori minacce.
Lo zampino del Califfo
In particolare, è necessario porre l’attenzione su un altro preoccupante fattore che ha recentemente fatto la sua comparsa, l’autoproclamatosi “stato islamico”.
Nel tentativo di penetrazione in Asia meridionale, il “califfato” è riuscito a stimolare la scissione del movimento dei taliban pakistani e ad avviare attività operative all’interno dell’Afghanistan, inducendo all’insorgere di dinamiche che potrebbero portare, da un lato, all’istituzione di una “libera alleanza di mujaheddin” dal forte impatto mediatico e, dall’altro, a nuovi rapporti di conflittualità e competitività tra gli stessi gruppi insurrezionali.
Rischio collasso
Sul piano politico-sociale le principali variabili sono la capacità del governo afghano di mantenere un equilibrio tra i gruppi di potere, il power-sharing tra questi ultimi, e, non ultime, le elezioni politiche previste per settembre.
Sulla sicurezza influirà principalmente il fenomeno insurrezionale, che potrebbe determinare il collasso dello stato afghano. Nel complesso, il prossimo biennio sarà contraddistinto da un aumento delle conflittualità, una riduzione delle capacità statali, e una maggiore instabilità politico-sociale.
È altresì probabile uno stato afghano debole politicamente e incapace di gestire il balance of power, vulnerabile alle pressioni dei Gruppi di opposizione armata , instabile sul piano della sicurezza interna, incapace di gestire i finanziamenti internazionali.
Senza mezzi termini o formule edulcorate, se l’Occidente non sosterrà adeguatamente le deboli istituzioni afgane e si avrà il collasso dello stato, allora la sfida in Afghanistan sarà persa, vanificando l’attività contro-insurrezionale condotta nell’ultimo decennio.
Il governo di Kabul è infatti debole e sul lungo periodo non sarà in grado di resistere all’offensiva insurrezionale condotta senza soluzione di continuità, se non avrà aiuto dall’esterno.
La prospettiva è che quanto più la Nato ridurrà la presenza sul terreno e il supporto alle forze afghane, tanto più le aree periferiche cadranno sotto l’influenza, prima, e il controllo, poi, dei gruppi di opposizione armata: dalla periferia verso il centro.
La riduzione delle forze statunitensi, in particolare, garantirà ai gruppi insurrezionali una maggiore capacità di concentrare unità e condurre azioni di massa. La prosecuzione delle azioni di combattimento si presenta come una scelta strategica dagli effetti a breve termine.
In sintesi, lo stato afghano - limitato nella governance, dipendente sul piano economico e non in grado di contrastare il fenomeno insurrezionale - punta ora a un compromesso politico che dovrà muovere verso un accordo con gli insorti afghani. Le premesse si muovono sui binari della realpolitik, con buona pace delle ambizioni democratiche.
Claudio Bertolotti, analista strategico, ricercatore senior presso il Centro militare di Studi Strategici e docente di “Analisi d’area”, è stato capo sezione contro-intelligence e sicurezza di Isaf in Afghanistan. È membro dell’Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies (Itstime) e ricercatore per l’Italia alla “5+5 Defense iniziative, 2015” dell’Euro-Maghreb Centre for Research and Strategic Studies (CEMRES).
Il 19 febbraio alle 9.30, presso la sede del Centro Alti Studi per la Difesa (Roma, Palazzo Salviati), il Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS) presenterà le proprie analisi e previsioni strategiche contenute nelle pubblicazioni “Prospettiva Generale 2015” (di cui il presente articolo è una sintesi) e “Global Outlook 2015”.
Nessun commento:
Posta un commento