Asia

Per la traduzione in una lingua diversa dall'Italiano.For translation into a language other than.

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

Metodo di ricerca ed analisi adottato

Per il medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

Cerca nel blog

martedì 12 maggio 2015

Philippine perspectives on the South China Sea dispute, Friday 22 May 2015

The Institute of Advanced Studies in Geopolitics and Auxiliary Sciences (IsAG) is glad to invite you to the lecture of Hon. Antonio T. Carpio Philippine perspectives on the South China Sea dispute, which will be held on Friday 22 May 2015, from 11 to 13, at the "Aula di Geografia" of the Faculty of Humanities of the Sapienza University in Rome, P.le Aldo Moro 5.


Please click here for the full program. Hon. Antonio T. Carpio is Senior Associate Justice of the Supreme Court of the Philippines. Will attend the lecture also H.E. Domingo P. Nolasco, Ambassador of the Republic of the Philippines in Italy. The lecture will be accompanied by a cartographic exhibit on ancient maps and followed by a light lunch for the audience.


Registration required by online form (click here).

Nord Corea: l'astio istituzionalizzato

Nord Corea
Tra proliferazione nucleare e isolamento internazionale
Francesco Celentano
08/05/2015
 più piccolopiù grande
Il caso, poco presente nelle cronache, della Corea del Nord è oggi oggetto di dibattito nella comunità internazionale alla luce dei recenti sviluppi attinenti la crescente attività in campo nucleare e la costante violazione dei diritti umani perpetuata dal regime al potere, non democratico.

Punto di partenza imprescindibile per comprendere a pieno la situazione nordcoreana è senz’altro il quadro storico, politico ed istituzionale del Paese.

La Repubblica democratica nasce formalmente nel 1948 con il ritiro delle truppe sovietiche che, fino a quel momento, avevano occupato la parte settentrionale della penisola coreana, in accordo con gli Stati Uniti che, a loro volta, controllavano la parte meridionale.

L’astio istituzionalizzato
Risultarono vani i tentativi delle Nazioni Unite e dei paesi vincitori della guerra di riunificare l’intera penisola sotto un unico stato. Nel 1950 la situazione degenerò, e dopo lo scoppio della Guerra di Corea, l’Onu si fece promotore di un armistizio istituendo altresì una zona “cuscinetto” che delimitasse i due paesi.

La storia del Paese asiatico è già sufficiente per comprendere le ragioni per cui il regime al governo ha, di fatto, istituzionalizzato l’astio verso il Giappone e contro gli Stati Uniti accusati di essere i responsabili della mancata riunificazione delle due Coree.

L’organizzazione statale è altrettanto sintomatica delle problematiche di cui il Paese soffre da tempo. Il potere appartiene, almeno formalmente, al popolo che lo esercita per mezzo dell’Assemblea suprema e che in base alla costituzione gode di piene libertà e diritti di uguaglianza basilari.

Il potere reale, però, appartiene da sempre in maniera dinastica a un componente della famiglia Kim, prima al “Presidente eterno” Kim Il Sung (morto nel 1994), formalmente ancora in carica, poi a suo figlio Kim Jong Il (morto nel 2011) ed in fine al nuovo giovane ‘capo assoluto’ dello Stato, Kim Jong Un, detto anche “Grande Successore”, internazionalmente noto per aver effettuato svariati test nucleari dopo il suo insediamento minacciando i nemici di sempre.

Rapporti conflittuali
In questa cornice si inserisce il conflittuale rapporto del Paese asiatico con le Nazioni Unite, di cui è membro dal 1991, con il triste primato di unico Paese a non aver mai recepito nessuna delle 167 raccomandazioni ricevute nel corso degli anni, per la maggior parte inerenti la violazione dei diritti umani (di cui si occupa un’apposita commissione istituita in seno al Consiglio per i diritti umani) e la costante corsa allo sviluppo nucleare intrapresa dai Kim.

Per quanto concerne più specificatamente la questione della proliferazione nucleare, il Paese ha in più occasioni palesato la volontà di dotarsi di armi nucleari, come naturale prosecuzione di un cammino di militarizzazione intrapreso sin dalla costituzione.

Decisiva in tal senso è stata la scelta politica, fatta dal figlio del fondatore della Repubblica (Kim Jong Il), di ritirarsi dal Trattato di non proliferazione nucleare, dopo averne per anni posticipato l’entrata in vigore nel proprio ordinamento e aver intanto goduto di aiuti finanziari che gli erano stati concessi in cambio dell’adesione iniziale.

Considerati i presupposti, potrebbero, quindi, essere decisive le aperture del nuovo leader Kim Jong-Un, il quale, dopo una prima e bellicosa fase tesa a legittimare il proprio potere interno, ha deciso di aprire a trattative che portino al cessare delle sanzioni e alla ripresa degli aiuti economici, il tutto all’indiscutibile condizione di una garanzia formale di non aggressione americana.

Aperture decisive?
In tal senso un ruolo chiave gioca anche lo storico alleato cinese che, nel 2011, si è fatto promotore dei cosiddetti Six-Party Talks, negoziati diplomatici che coinvolgono, oltre a Cina e Nord Corea, anche Russia, Usa, Corea del Sud e Giappone, in cui si è nuovamente parlato di ingenti aiuti umanitari in cambio del totale blocco del programma nucleare del Paese.

Proposta ancora una volta rigettata dalle autorità nordcoreane, non disposte a cedere a quella che definiscono un’imposizione ingiusta e non giuridicamente fondata, non essendo più Paese aderente al Trattato di non proliferazione.

In questi anni di “contezioso diplomatico” con il resto del mondo, il regime è riuscito a trasformare l’isolamento internazionale impostogli dall’esterno in un punto di forza della propria politica propagandistica, escludendo qualsiasi tipo di rapporto con il mondo esterno ed esercitando sulla popolazione un’influenza priva di ogni opposizione.

Proprio grazie a questa politica, oggi, non si ha certezza delle reali condizioni in cui versa la popolazione e soprattutto delle conseguenze generate dalle sanzioni economiche imposte nell’ultimo ventennio.

Pare dunque che la situazione politica, economica e sociale, del Paese più isolato del mondo, sia destinata a rimanere un enigma che nei prossimi anni continuerà, con ragionevole certezza, a dominare il dibattito sulla proliferazione nucleare e sulla violazione dei diritti umani nel vasto continente asiatico, che, continua a crescere dal punto di vista economico e ad arretrate sempre di più dal punto di vista delle tematiche attinenti la democratizzazione degli Stati che lo compongono.

Francesco Celentano, neolaureato in Giurisprudenza e praticante legale, si sta specializzando nello studio del diritto internazionale, già oggetto della sua tesi di laurea redatta durante un periodo di ricerca presso l'ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3059#sthash.NgGtyGMt.dpuf

Cina: i rapporti con la Unione Europea

Ue-Cina
40 anni di relazioni, tappe e risultati
Nicola Casarini
06/05/2015
 più piccolopiù grande
Sono passati 40 anni da quando, il 6 maggio 1975, la Comunità europea riconobbe ufficialmente la Repubblica popolare cinese a seguito del disgelo delle relazioni tra Washington e Pechino avvenuto qualche anno prima con il viaggio del presidente americano Richard Nixon in Cina.

All’epoca, la notizia del riconoscimento diplomatico tra Bruxelles e Pechino non fece le prime pagine dei giornali. La Comunità europea stava muovendo i primi passi e la politica estera era ancora di esclusiva competenza dei Paesi membri.

La Cina, a sua volta, era un Paese povero e in preda alle lotte di potere per la successione a Mao che, già malato, morira’ nel settembre del 1976. Quante cose sono cambiate da allora.

Oggi, le relazioni tra Europa e Cina sono tra le più importanti al mondo, avendo acquisito un significato strategico tale da renderle oggetto di attenta osservazione – e talvolta apprensione – da parte degli Stati Uniti.

Basti pensare alle recenti critiche di Washington verso i quattro grandi Paesi Ue - Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia - per aver aderito in qualità di soci fondatori alla nuova banca di sviluppo della Cina, la Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib).

2003: la grande intesa
Il vero punto di svolta nelle relazioni tra Bruxelles e Pechino s’è verificato nel 2003, quando venne siglato il partenariato strategico e vennero adottate una serie di iniziative dal forte contenuto politico. Innanzitutto, le due parti si accordarono sui termini dello sviluppo congiunto di Galileo, il sistema di navigazione satellitare europeo alternativo al Gps americano.

A fianco di una maggiore cooperazione nel settore aerospaziale, vennero gettate le basi per il miglioramento delle relazioni nel campo della sicurezza e dell’industria della difesa. A tal fine, alcuni grandi Paesi europei - Germania e Francia in testa, ma anche Italia e Spagna - proposero di iniziare le discussioni sulla levata dell’embargo sulla vendita di armi alla Cina.

Secondo i sostenitori della levata dell’embargo, una tale iniziativa avrebbe dato significato strategico a un interscambio commerciale in continua crescita. Fu infatti in quegli anni - in concomitanza con l’allargamento della Ue ai Paesi dell’Europa centro-orientale - che Bruxelles divenne il più importante partner commerciale di Pechino, mentre la Cina divenne il secondo più importante partner commerciale della Ue, subito dopo gli Stati Uniti.

Gli europei furono, comunque, incapaci di trovare l’unità sulla questione dell’embargo e il Consiglio europeo del giugno 2005 decise di rimandarne sine die la sua soluzione, cosa che lasciò con l’amaro in bocca i dirigenti di Pechino.

L’elemento strategico del partenariato Ue-Cina non s’è però limitato alle questioni tecnologiche e della difesa - seppur importanti - ma ha coinvolto anche l’euro.

Nell’autunno del 2003 ci fu, infatti, un accordo tra gli europei e la Banca centrale cinese che portò Pechino a diversificare il suo paniere di riserve, aumentando in maniera graduale ma costante, negli anni a venire, la sua esposizione sulla moneta comune europea, diminuendo allo stesso tempo la sua esposizione verso il dollaro. Un processo che ha avuto importanti risvolti politici durante la recente crisi dei debiti sovrani.

Le relazioni Ue-Cina durante la crisi
Al contrario di alcuni settori dell’establishment finanziario americano che durante la recente crisi hanno speculato su una possibile disintegrazione della zona euro, la Cina ha continuato a sostenere - anche tramite interventi massicci sui mercati - la moneta comune europea.

Da agosto 2011, quando Standard & Poor’s ha declassato il rating sovrano degli Stati Uniti, la Cina ha accelerato il suo disinvestimento dal dollaro aumentando al contempo la sua esposizione sull’euro, portando la quota delle sue riserve detenute nella moneta comune europea dal 26% circa nel 2011, a circa un terzo agli inizi del 2015.

La Cina sembra riporre una sostanziale fiducia nella capacità di ripresa della zona euro e dei tentativi di riforma portati avanti da alcuni governi, in particolare quello italiano e francese.

Su questi paesi - in particolare l’Italia - si sono appuntati gli occhi di Pechino negli ultimi mesi. La Cina sta infatti investendo massicciamente nelle aziende europee con lo scopo di acquisire quel know-how e quelle tecnologie necessarie all’ammodernamento dell’industria cinese.

Focus sugli investimenti
Alla fine del 2014, la Cina aveva investito circa 54 miliardi di dollari in aziende quotate nelle borse europee, piazzandosi al quinto posto per entità degli investimenti, subito dietro al Giappone.

La Banca centrale cinese attraverso il suo braccio operativo - la State Administration of Foreign Exchange (Safe) - ha acquistato circa il 2% in otto tra le più importanti aziende italiane quotate in Borsa, tra le quali si annoverano:Fiat Chrysler Automobiles, Telecom Italia, Prysmian, Generali, Mediobanca, Saipem, Eni e Enel.

Il totale investito in Italia ammonta oggi a più di 6 miliardi di euro, corrispondente al 7% degli investimenti totali cinesi in Europa.

Il recente interesse per l’Italia e, più in generale, il sud Europa rientra nel più ampio progetto di Pechino di sviluppo della Via della Seta terrestre e della Via della Seta marittima del XXI secolo lanciato dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013.

La Ue è oggi il primo partner commerciale di Pechino e il Mediterraneo, con al centro l’Italia, è considerato il naturale punto di arrivo della Via della Seta marittima.

L’Italia ha, pertanto la possibilità di diventare un’interlocutrice importante di Pechino. In questo, un ruolo lo gioca sicuramente la nomina a capo della diplomazia europea di Federica Mogherini. C’è inoltre un crescente interesse per il governo Renzi e i suoi progetti di riforma del Paese.

Il quarantennale che la vice-presidente della Ue ha festeggiato nella capitale cinese coincide con uno snodo importante dell’Agenda strategica di cooperazione tra Unione europea e Cina valida fino al 2020 siglata a Pechino nel novembre 2013: la possibile chiusura del negoziato bilaterale Ue-Cina sugli investimenti giunto oramai al settimo round.

Una svolta che potrebbe aprire la via, come richiesto da Xi Jinping espressamente durante la sua prima visita in Europa e alle istituzioni europee l’anno scorso, a un Fta che introdurrebbe una dinamica nuova nelle relazioni sino-europee. Si creerebbe un asse euroasiatico altrettanto significativo, sul piano economico-commerciale, di quello Atlantico e dell’area del Pacifico.

Quarant’anni dopo, è la Ue a far da apripista nel dialogo con la Cina.

Nicola Casarini è responsabile di ricerca Asia allo IAI.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3055#sthash.ucgnlKMs.dpuf

martedì 5 maggio 2015

India: di nuovo interesse per l'industria italiana



Italia/India
Finmeccanica torna in gara per elicotteri
Antonio Armellini
30/04/2015
 più piccolopiù grande
Finmeccanica è stata ammessa nuovamente a partecipare ad una gara per la fornitura di elicotteri in India: la notizia è passata quasi sotto silenzio (ne ha parlato solo II Sole 24 Ore, direi) e invece è importante per diversi motivi che meritano di essere sottolineati.

È un segnale che la quarantena inflitta ad Agusta-Westland a seguito delle note vicende della fornitura di 12 elicotteri AW101 sta per finire. Tangenti o meno, la superiorità della macchina italo-britannica rispetto alla concorrenza europea ed americana era apparsa chiara all’epoca; l’India sta compiendo un grosso sforzo di modernizzazione delle proprie Forze Armate e si è resa conto che rinunciare all’apporto tecnologico di Agusta-Westland poteva risultare in un autogol.

Uno dei mercati della difesa più importanti al mondo
Il mercato indiano della difesa è diventato uno dei più importanti del mondo e la situazione geostrategica del paese fa sì che il suo ritmo di crescita sia destinato a durare a lungo.

Fincantieri è riuscita con una politica accorta a consolidare vieppiù le sue posizioni nel settore navale e, anche qui, le prospettive di crescita non mancano; lo stesso può dirsi per forniture di minore entità da parte di altri membri dell’ex galassia Iri, a partire da Oto Melara.

Gli AW101 avrebbero dovuto consentire al gruppo italiano di conseguire una posizione di forza nel settore degli elicotteri (sfruttando anche meglio le sinergie con il settore civile, dove Agusta-Westland godeva già di un buon nome); avrebbero soprattutto potuto costituire il biglietto d’ingresso per un vero salto di qualità in altri settori dove era rimasto ai margini.

Si trattava innanzitutto di supportare l’affidabilità tecnica con una maggiore credibilità politica (ovviando alle carenze del “sistema Italia” e a una certa discontinuità nella presenza); condizione essenziale questa, per porsi su un piano di parità con la concorrenza di altri paesi che, invece, a questi aspetti prestano giustamente attenzione.

Lo scandalo delle tangenti è stato devastante, perché ha cancellato d’un colpo un lavoro sul quale si era cominciato ad operare con il piede giusto.

Chi ritiene che il mercato della difesa in India (o altrove, se è per questo) possa diventare del tutto trasparente, passa probabilmente troppo del suo tempo nel mondo di Peter Pan: coloro che si dedicano a questo genere di operazioni stanno bene attenti a coprire le loro mosse e, se colti con le dita nella marmellata, ricorrono a ogni tipo di manovra diversiva.

L’esempio dei risultati raggiunti dalle mille commissioni d’inchiesta in Gran Bretagna a seguito del clamore legato al mega-contratto Bae all’Arabia Saudita, può dare utili ammaestramenti. Quando le tangenti, invece di restare nelle mani dell’illecito destinatario, tornano almeno in parte nel paese di partenza, e qui chi se ne ritenga ingiustamente deprivato comincia a protestare, i danni partono in tutte le direzioni.

Il mondo reale e quello di Peter Pan
La ricostruzione del profilo italiano in India dovrà passare attraverso ancora molte fasi, non sempre facili. Questa prima apertura non deve ingannare: il processo decisionale indiano è lungo e tortuoso e molto spesso - più che a fattori legati alla corruzione - le difficoltà possono nascere dalla diversa forma mentis di un paese che sembra occidentale nel modo di essere e di pensare, ma non lo è affatto.

François Hollande ha incassato con Narendra Modi a Parigi la fornitura di 36 Rafale, prima tappa di un mega-contratto che era parso in più momenti destinato a finire nelle sabbie mobili.

Per il Rafale - la cui produzione era verso la fine corsa -, si è trattato di un colpo di importanza fondamentale, per il quale la Francia ha dato prova di una abilità negoziale - ma soprattutto di una capacità di coordinamento politico a tutto campo - che dovrebbe costituire materia di studio qui da noi.

Il consorzio Eurofighter aveva un prodotto più competitivo sia tecnicamente che sul piano finanziario, ma lo ha promosso stancamente, forse nell’errato convincimento che una fornitura di simili dimensioni sarebbe inevitabilmente andata agli americani. I quali, anche loro, erano convinti di potercela fare, forti del credito acquisito dagli Usa a Delhi a seguito dell’accordo sul nucleare civile.

E invece, hanno tutti sottovalutato che quando gli indiani hanno la sensazione di finire nella morsa di un rapporto troppo stretto, scartano di lato: non Sarkozy però, che recandosi ripetutamente in India ha messo sul piatto tutta la sua influenza per portare a casa un risultato utile.

Il lobbying per l’Eurofighter per contro, era stato lasciato nelle mani dei tedeschi i quali hanno lasciato capire sin dalle prime battute di non essere intenzionati a dedicarvisi più che tanto; Finmeccanica avrebbe potuto cercare di correggere il tiro ma è caduta vittima del medesimo scetticismo. Con il risultato che si è visto e i cui goffi tentativi di recuperare posizioni ex post sono stati abilmente contrati dal presidente francese.

Finmeccanica aveva spinto qualche tempo fa il G222 e l’aereo era stato giudicato particolarmente adatto alle esigenze indiane. L’operazione non era andata avanti, perché all’eccellenza tecnica non aveva fatto seguito, allora, una spinta politica commisurata. Senza un raccordo efficace pubblico-privato - fra industria e istituzioni - farsi strada in India è difficile. I francesi lo sanno bene; saremo capaci di impararlo anche noi?

Antonio Armellini, Ambasciatore d’Italia, è commissario dell’Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO).