Nord Corea Tra proliferazione nucleare e isolamento internazionale Francesco Celentano 08/05/2015 |
Il caso, poco presente nelle cronache, della Corea del Nord è oggi oggetto di dibattito nella comunità internazionale alla luce dei recenti sviluppi attinenti la crescente attività in campo nucleare e la costante violazione dei diritti umani perpetuata dal regime al potere, non democratico.
Punto di partenza imprescindibile per comprendere a pieno la situazione nordcoreana è senz’altro il quadro storico, politico ed istituzionale del Paese.
La Repubblica democratica nasce formalmente nel 1948 con il ritiro delle truppe sovietiche che, fino a quel momento, avevano occupato la parte settentrionale della penisola coreana, in accordo con gli Stati Uniti che, a loro volta, controllavano la parte meridionale.
L’astio istituzionalizzato
Risultarono vani i tentativi delle Nazioni Unite e dei paesi vincitori della guerra di riunificare l’intera penisola sotto un unico stato. Nel 1950 la situazione degenerò, e dopo lo scoppio della Guerra di Corea, l’Onu si fece promotore di un armistizio istituendo altresì una zona “cuscinetto” che delimitasse i due paesi.
La storia del Paese asiatico è già sufficiente per comprendere le ragioni per cui il regime al governo ha, di fatto, istituzionalizzato l’astio verso il Giappone e contro gli Stati Uniti accusati di essere i responsabili della mancata riunificazione delle due Coree.
L’organizzazione statale è altrettanto sintomatica delle problematiche di cui il Paese soffre da tempo. Il potere appartiene, almeno formalmente, al popolo che lo esercita per mezzo dell’Assemblea suprema e che in base alla costituzione gode di piene libertà e diritti di uguaglianza basilari.
Il potere reale, però, appartiene da sempre in maniera dinastica a un componente della famiglia Kim, prima al “Presidente eterno” Kim Il Sung (morto nel 1994), formalmente ancora in carica, poi a suo figlio Kim Jong Il (morto nel 2011) ed in fine al nuovo giovane ‘capo assoluto’ dello Stato, Kim Jong Un, detto anche “Grande Successore”, internazionalmente noto per aver effettuato svariati test nucleari dopo il suo insediamento minacciando i nemici di sempre.
Rapporti conflittuali
In questa cornice si inserisce il conflittuale rapporto del Paese asiatico con le Nazioni Unite, di cui è membro dal 1991, con il triste primato di unico Paese a non aver mai recepito nessuna delle 167 raccomandazioni ricevute nel corso degli anni, per la maggior parte inerenti la violazione dei diritti umani (di cui si occupa un’apposita commissione istituita in seno al Consiglio per i diritti umani) e la costante corsa allo sviluppo nucleare intrapresa dai Kim.
Per quanto concerne più specificatamente la questione della proliferazione nucleare, il Paese ha in più occasioni palesato la volontà di dotarsi di armi nucleari, come naturale prosecuzione di un cammino di militarizzazione intrapreso sin dalla costituzione.
Decisiva in tal senso è stata la scelta politica, fatta dal figlio del fondatore della Repubblica (Kim Jong Il), di ritirarsi dal Trattato di non proliferazione nucleare, dopo averne per anni posticipato l’entrata in vigore nel proprio ordinamento e aver intanto goduto di aiuti finanziari che gli erano stati concessi in cambio dell’adesione iniziale.
Considerati i presupposti, potrebbero, quindi, essere decisive le aperture del nuovo leader Kim Jong-Un, il quale, dopo una prima e bellicosa fase tesa a legittimare il proprio potere interno, ha deciso di aprire a trattative che portino al cessare delle sanzioni e alla ripresa degli aiuti economici, il tutto all’indiscutibile condizione di una garanzia formale di non aggressione americana.
Aperture decisive?
In tal senso un ruolo chiave gioca anche lo storico alleato cinese che, nel 2011, si è fatto promotore dei cosiddetti Six-Party Talks, negoziati diplomatici che coinvolgono, oltre a Cina e Nord Corea, anche Russia, Usa, Corea del Sud e Giappone, in cui si è nuovamente parlato di ingenti aiuti umanitari in cambio del totale blocco del programma nucleare del Paese.
Proposta ancora una volta rigettata dalle autorità nordcoreane, non disposte a cedere a quella che definiscono un’imposizione ingiusta e non giuridicamente fondata, non essendo più Paese aderente al Trattato di non proliferazione.
In questi anni di “contezioso diplomatico” con il resto del mondo, il regime è riuscito a trasformare l’isolamento internazionale impostogli dall’esterno in un punto di forza della propria politica propagandistica, escludendo qualsiasi tipo di rapporto con il mondo esterno ed esercitando sulla popolazione un’influenza priva di ogni opposizione.
Proprio grazie a questa politica, oggi, non si ha certezza delle reali condizioni in cui versa la popolazione e soprattutto delle conseguenze generate dalle sanzioni economiche imposte nell’ultimo ventennio.
Pare dunque che la situazione politica, economica e sociale, del Paese più isolato del mondo, sia destinata a rimanere un enigma che nei prossimi anni continuerà, con ragionevole certezza, a dominare il dibattito sulla proliferazione nucleare e sulla violazione dei diritti umani nel vasto continente asiatico, che, continua a crescere dal punto di vista economico e ad arretrate sempre di più dal punto di vista delle tematiche attinenti la democratizzazione degli Stati che lo compongono.
Francesco Celentano, neolaureato in Giurisprudenza e praticante legale, si sta specializzando nello studio del diritto internazionale, già oggetto della sua tesi di laurea redatta durante un periodo di ricerca presso l'ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra.
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La Repubblica democratica nasce formalmente nel 1948 con il ritiro delle truppe sovietiche che, fino a quel momento, avevano occupato la parte settentrionale della penisola coreana, in accordo con gli Stati Uniti che, a loro volta, controllavano la parte meridionale.
L’astio istituzionalizzato
Risultarono vani i tentativi delle Nazioni Unite e dei paesi vincitori della guerra di riunificare l’intera penisola sotto un unico stato. Nel 1950 la situazione degenerò, e dopo lo scoppio della Guerra di Corea, l’Onu si fece promotore di un armistizio istituendo altresì una zona “cuscinetto” che delimitasse i due paesi.
La storia del Paese asiatico è già sufficiente per comprendere le ragioni per cui il regime al governo ha, di fatto, istituzionalizzato l’astio verso il Giappone e contro gli Stati Uniti accusati di essere i responsabili della mancata riunificazione delle due Coree.
L’organizzazione statale è altrettanto sintomatica delle problematiche di cui il Paese soffre da tempo. Il potere appartiene, almeno formalmente, al popolo che lo esercita per mezzo dell’Assemblea suprema e che in base alla costituzione gode di piene libertà e diritti di uguaglianza basilari.
Il potere reale, però, appartiene da sempre in maniera dinastica a un componente della famiglia Kim, prima al “Presidente eterno” Kim Il Sung (morto nel 1994), formalmente ancora in carica, poi a suo figlio Kim Jong Il (morto nel 2011) ed in fine al nuovo giovane ‘capo assoluto’ dello Stato, Kim Jong Un, detto anche “Grande Successore”, internazionalmente noto per aver effettuato svariati test nucleari dopo il suo insediamento minacciando i nemici di sempre.
Rapporti conflittuali
In questa cornice si inserisce il conflittuale rapporto del Paese asiatico con le Nazioni Unite, di cui è membro dal 1991, con il triste primato di unico Paese a non aver mai recepito nessuna delle 167 raccomandazioni ricevute nel corso degli anni, per la maggior parte inerenti la violazione dei diritti umani (di cui si occupa un’apposita commissione istituita in seno al Consiglio per i diritti umani) e la costante corsa allo sviluppo nucleare intrapresa dai Kim.
Per quanto concerne più specificatamente la questione della proliferazione nucleare, il Paese ha in più occasioni palesato la volontà di dotarsi di armi nucleari, come naturale prosecuzione di un cammino di militarizzazione intrapreso sin dalla costituzione.
Decisiva in tal senso è stata la scelta politica, fatta dal figlio del fondatore della Repubblica (Kim Jong Il), di ritirarsi dal Trattato di non proliferazione nucleare, dopo averne per anni posticipato l’entrata in vigore nel proprio ordinamento e aver intanto goduto di aiuti finanziari che gli erano stati concessi in cambio dell’adesione iniziale.
Considerati i presupposti, potrebbero, quindi, essere decisive le aperture del nuovo leader Kim Jong-Un, il quale, dopo una prima e bellicosa fase tesa a legittimare il proprio potere interno, ha deciso di aprire a trattative che portino al cessare delle sanzioni e alla ripresa degli aiuti economici, il tutto all’indiscutibile condizione di una garanzia formale di non aggressione americana.
Aperture decisive?
In tal senso un ruolo chiave gioca anche lo storico alleato cinese che, nel 2011, si è fatto promotore dei cosiddetti Six-Party Talks, negoziati diplomatici che coinvolgono, oltre a Cina e Nord Corea, anche Russia, Usa, Corea del Sud e Giappone, in cui si è nuovamente parlato di ingenti aiuti umanitari in cambio del totale blocco del programma nucleare del Paese.
Proposta ancora una volta rigettata dalle autorità nordcoreane, non disposte a cedere a quella che definiscono un’imposizione ingiusta e non giuridicamente fondata, non essendo più Paese aderente al Trattato di non proliferazione.
In questi anni di “contezioso diplomatico” con il resto del mondo, il regime è riuscito a trasformare l’isolamento internazionale impostogli dall’esterno in un punto di forza della propria politica propagandistica, escludendo qualsiasi tipo di rapporto con il mondo esterno ed esercitando sulla popolazione un’influenza priva di ogni opposizione.
Proprio grazie a questa politica, oggi, non si ha certezza delle reali condizioni in cui versa la popolazione e soprattutto delle conseguenze generate dalle sanzioni economiche imposte nell’ultimo ventennio.
Pare dunque che la situazione politica, economica e sociale, del Paese più isolato del mondo, sia destinata a rimanere un enigma che nei prossimi anni continuerà, con ragionevole certezza, a dominare il dibattito sulla proliferazione nucleare e sulla violazione dei diritti umani nel vasto continente asiatico, che, continua a crescere dal punto di vista economico e ad arretrate sempre di più dal punto di vista delle tematiche attinenti la democratizzazione degli Stati che lo compongono.
Francesco Celentano, neolaureato in Giurisprudenza e praticante legale, si sta specializzando nello studio del diritto internazionale, già oggetto della sua tesi di laurea redatta durante un periodo di ricerca presso l'ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra.
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