Le elezioni per il rinnovo della Camera Bassa indiana (Lok Sabha), che si sono concluse lo scorso 12 maggio, hanno decretato la vittoria della Coalizione Democratica Nazionale (NDC) guidata dal Bharatya Janata Party (BJP). Il successo del BJP, capeggiato dal leader nazionalista Narenda Modi, ha segnato un risultato storico per la politica interna indiana. Infatti, per la prima volta in trent’anni, il partito di Modi, nominato Primo Ministro il 21 maggio, è riuscito a ottenere da solo la maggioranza assoluta dei voti, aggiudicandosi ben 283 seggi dei 543 totali. La competizione elettorale ha segnato la sconfitta del Partito del Congresso e ha portato a galla la forte disaffezione nei confronti della precedente classe dirigente che si è dimostrata incapace di tradurre il forte sviluppo economico in benessere diffuso ad ampie fasce della popolazione. Al contrario, gli ottimi risultati economici conseguiti dalla politica di Modi nello Stato del ! Gujarat, di cui è stato governatore, hanno contribuito al suo successo elettorale. Tuttavia, il conservatorismo religioso e la vicinanza ai movimenti induisti radicali del Primo Ministro destano non poca preoccupazione: ad oggi, infatti, non è ancora chiaro il suo coinvolgimento nei pogrom antimusulmani che si sono verificati, nel 2002 nello Stato da lui governato. La larga vittoria del BJP, che offre al partito la possibilità di garantire la stabilità del proprio mandato anche senza l’appoggio degli alleati minori, potrebbe determinare un inasprimento delle posizioni del governo. Tale cambiamento potrebbe rappresentare un fattore di criticità anche per la delicata gestione dei rapporti tra l’India e il nostro Paese. Durante la campagna elettorale, infatti, Modi aveva fortemente criticato il Partito del Congresso per l’atteggiamento conciliatorio verso i due Fucilieri di Marina, attualmente detenuti in India. Benché non sia da escludere che la retorica di Modi nei ! confronti dei due Marò sia stata un mero espediente elettorale, i numeri di cui il BJP dispone in Parlamento potrebbero determinare una gestione unilaterale della crisi diplomatica da parte del nuovo partito di maggioranza.
Fonte Cesi Roma
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