Capitolo 5 - Implicazioni Soft Power delle aziende cinesi “Going Global”
Heino Klimk
Soft
power è oggi un termine che analisti, diplomatici, accademici e politici utilizzano
ampiamente nelle relazioni internazionali. Esso è definito come la capacità
di ottenere ciò che si vuole attraverso la cooptazione e
l’attrazione. L'idea di attrazione come forma di potere e influenza risale
all’antico filosofo cinese Laozi del
7° secolo a.C.. Eppure, l'attuale termine soft
power ha raggiunto una fama decisamente maggiore quando è stato coniato dal
professor Joseph Nye di Harvard, in
un libro del 1990 intitolato “Bound to Lead: The Changing Nature of American
Power”.
Nye ha poi ulteriormente sviluppato il concetto nel suo successivo libro del 2004, “Soft Power: the means to success
in world politics”. I principali mezzi del soft power comprendono i valori di un
attore, la cultura, le politiche e le istituzioni, o almeno il modo in cui esse
sono interpretate in altri paesi. Inoltre, come ha scritto Nye, la
misura in cui queste valute primarie
sono in grado di attrarre o respingere gli altri attori del vuoi ciò che vuoi, è l'aspetto critico
del soft power. Secondo
Nye, “il soft power si fonda sulla capacità di plasmare le preferenze degli
altri ... è la capacità di ottenere ciò che vuoi per attrazione piuttosto che con
la coercizione o il pagamento ...”[1]
Il Soft power è spesso associato all’ascesa
della globalizzazione e alla
teoria neoliberista delle relazioni internazionali. Il
successo del soft power si basa sulla
reputazione dell'attore all'interno della comunità internazionale e sul flusso di
informazioni tra i vari attori. La cultura popolare e i media sono
regolarmente identificati come fonti di soft
power, al pari della diffusione di una lingua nazionale o di una
particolare serie di strutture normative. Un
paese dotato di grande soft power indurrà un atteggiamento
positivo all'estero che, a sua volta, potrà spingere gli altri ad emularne la politica,
facendo venir meno, quindi, la necessità di elevate spese per l’hard power.
Il Soft
power viene comparato all’Hard power,
che è sempre stata la tradizionale misura predominante del potere nazionale,
attraverso metodi quantitativi come le dimensioni della popolazione, la capacità militare, la
dimensione geografica, il prodotto interno lordo nazionale o altri fattori economici. Sebbene non sia facilmente misurabile
in termini quantitativi, il grado di attrazione può essere misurato dai
sondaggi d’opinione, dalle interviste alle elites
e dai casi concreti oggetto di studi. Il
professor Nye afferma che il soft
power e’ qualcosa di più della capacità di influenzare, dal momento che l’influenza
può dipendere dall’hard power dovuto alle minacce o ai pagamenti. Inoltre, il soft power non è soltanto persuasione o capacità di indirizzare le
persone con la discussione, anche se ne è una parte importante. E' anche la capacità di attrarre, e
l'attrazione spesso porta all’acquiescenza, al supporto e all'accettazione di
politiche, programmi e obiettivi.
Il soft
power non è proprietà esclusiva di un solo paese o attore. Nella politica internazionale, è in parte
generato da ciò che fa il governo attraverso la sua politica estera e la diplomazia. Tuttavia,
la generazione di soft power è
influenzata, sia in positivo che in negativo, anche da una miriade di attori non
statali all'interno e all'esterno del paese. Tali attori influenzano il pubblico
in generale e le élites di governo in
altri stati, creando ambienti permissivi o, al contrario, restrittivi per le
politiche di governo e gli obiettivi. Tra gli
attori non-statali possono sicuramente essere ricompresi le imprese e le
società all'estero. In alcuni casi, il soft power può aumentare le probabilità che le élites sociali, economiche e politiche adottino o imitino le
politiche che consentono ad un governo straniero di ottenere il risultato auspicato
in un altro stato. In altri casi, invece, dove l’essere percepiti come
troppo amici di un altro paese o governo può essere considerato un handicap politico, la diminuzione o
l'assenza di soft power può impedire a
un governo di ottenere determinati obiettivi.
Molti osservatori
esterni vedono l’applicazione cinese del soft
power come parte di una grande strategia volta a convincere il mondo della pacificità
delle intenzioni che spingono Pechino ad assicurarsi sia le risorse necessarie
a proseguire la propria esponenziale crescita economica sia l’isolamento di Taiwan
a livello internazionale. Gli strateghi cinesi sono giunti
alla conclusione che lo sviluppo del soft
power è un componente critico per raggiungere questi obiettivi strategici a
lungo termine, al pari della crescita economica e militare. In generale, gli
strateghi cinesi affermano che l'utilità del soft power risiede nella capacità di promuovere un ambiente esterno
favorevole alla crescita della Cina. Gli scrittori
cinesi descrivono doviziosamente la grande strategia nazionale del loro paese
citando continuamente una crescita
pacifica, uno sviluppo pacifico e
la costruzione di un mondo armonioso. La
Scuola Centrale del Partito Comunista ha individuato tre fasi del processo di
crescita della Cina:
-
Entro il 2010: stabilire una “posizione di
leader” in Asia orientale, simboleggiata dalla apertura della zona di libero
scambio ASEAN- Cina il 1° gennaio 2010;
-
Entro il 2020: raggiungere un ruolo di primo
piano come “potere quasi-mondiale” nella regione Asia-Pacifico;
Il raggiungimento di questi stadi è
strettamente legato alla crescita del “Comprehensive National Power” (CNP)
della Cina. Il
CNP fu sviluppato negli anni ’80 come
quadro analitico idoneo a seguire e misurare il progresso nella posizione di
potere complessivo della Cina in rapporto agli altri stati. In
linea di massima, il CNP fu calcolato utilizzando misure tangibili quali le risorse
naturali, la crescita economica, le capacità militari e lo sviluppo sociale, ma
nei primi anni 2000, gli analisti hanno aggiunto il soft power come componente astratta del calcolo complessivo del
CNP.[3]
Il 15 ottobre 2007, durante i lavori del 17° Congresso del PCC, il Presidente Hu Jintao affermò
pubblicamente che la Cina aveva bisogno di incrementare il proprio soft power.[4] Le misure che furono messe in
atto a tal fine videro la costituzione degli Istituti Confucio, il lancio di trasmissioni
CCTV in varie lingue straniere, l’istituzione di un centro stampa del Ministero
della Difesa e altri meccanismi. Chiaramente, la crescente presenza
commerciale all'estero diventa anch’essa attrice in questa espansione del soft power. Infatti,
la crescente capacità della Cina di incidere sugli attori statali deriva in
gran parte dal suo ruolo di principale fonte di commercio, investimento e aiuti ai paesi esteri.[5]
Si può ipotizzare che la Cina guadagni
significativi vantaggi in termini di soft
power, soprattutto nel confronto diretto con gli Stati Uniti, il Giappone e
l'Unione Europea, poiché gran parte dei
suoi investimenti all'estero sono effettuati da aziende di Stato che
differiscono sensibilmente dagli standards occidentali. Esse infatti mancano di
trasparenza, ricevono ingenti finanziamenti statali e operano senza molte delle
limitazioni imposte alle società con azionisti. Inoltre, hanno anche il
vantaggio di guardare a più lungo termine, giacché le loro priorità sono integrate
con quelle nazionali e non sono costrette a dimostrare profitti a breve
termine. Storicamente,
infatti, queste aziende non hanno mai rispettato una cadenza regolare per pagare i dividendi ai loro azionisti.[6]
L’incremento delle attività commerciali cinesi
all'estero ha certamente avuto un ruolo di rilievo nell’espansione del soft
power. Molte aziende cinesi hanno iniziato la loro strategia going global penetrando i mercati dei
paesi del terzo mondo in via di sviluppo. Questa strategia di ingresso sul mercato
è stata in parte guidata dall’esigenza di attenuare il rischio evitando mercati
già saturi di prodotti occidentali, per concentrarsi sul vantaggio competitivo
del basso costo. I marchi cinesi non possono ancora competere con l’iconica
statura globale della Coca-Cola, della Microsoft o di McDonald's. I
cinque protagonisti cinesi il cui nome sta incominciando ad essere conosciuto e
a raccogliere una certa attenzione sono il produttore di PC Lenovo, la birreria
Tsingtao, la fabbrica di elettrodomestici Haier, il colosso del network Huawei e la casa automobilistica Chery.[7] Tuttavia alcuni beni di consumo cinesi
sono non solo graditi, ma addirittura preferiti in molti paesi in via di sviluppo. Parte
del loro fascino è dovuto soprattutto al costo relativamente basso in rapporto
agli analoghi prodotti occidentali, che ha dato a quei consumatori la
possibilità di accedere a beni che altrimenti sarebbero stati inaccostabili. In
luoghi come l'Africa e il Medio Oriente, infatti, i normali cittadini non avrebbero
mai potuto permettersi televisori, frigoriferi o condizionatori d'aria, prima
che i cinesi si concentrassero in queste
parti del mondo con aziende come l’Haier, la Galanz o la TCL. In
Liberia, ad esempio, i generatori più diffusi sono proprio i Tiger di fabbricazione
cinese che, con il loro prezzo molto basso, relegano le più costose marche
occidentali nell’ambito esclusivo delle missioni diplomatiche e delle agenzie
di aiuto internazionale. Facendo oggetti per la gente
comune, la Cina “presto controllerà il cuore della gente comune dell'Africa.” [8]
Lo stesso vale per le infrastrutture di
telecomunicazione. La Huawei e la ZTE hanno infatti consentito di realizzare
in alcuni dei piu’ remoti angoli del mondo reti di comunicazione affidabili, soprattutto
di telefonia mobile, che hanno indotto quei paesi ad abbandonare la rete fissa
in favore dei cellulari, ormai sempre più diffusi.
Di conseguenza, la popolazione di queste parti
del mondo guarda con molto favore alle aziende
cinesi, poiché offrono prodotti e servizi che prima del loro avvento erano
completamente indisponibili, in quanto le società occidentali ignoravano
del tutto i loro mercati. Si può dedurre che tutto ciò ha fatto
maturare una benevola predisposizione nei confronti di tali aziende e, molto
probabilmente, della Cina in generale, consentendo di interpretare questo
atteggiamento popolare come un chiaro esempio di soft power. I sondaggi dimostrano che la popolarità
della Cina è elevata in molte aree in via di sviluppo, sia nel Sud-est Asiatico
che in Africa e in America Latina, proprio a causa della percezione dei
benefici economici derivanti dalle relazioni con la Cina.
Allo stesso modo, anche
i governi di questi paesi sono stati influenzati dal soft power delle aziende cinesi. Infatti, a fronte delle restrizioni
di legge imposte alle imprese americane, come il Foreign Corrupt Practices Act
ed altre sanzioni economiche, sul versante cinese non si riscontra alcun tipo
di impedimento alle aziende cinesi per impiantare affari all’estero. Esse
possono dunque prosperare in tutti i mercati evitati dalle imprese americane ed
europee e, soprattutto, in quegli stati considerati pariah come lo Zimbabwe, il Sudan e la Birmania. Naturalmente,
i governi di questi paesi apprezzano molto che la Cina incoraggi le proprie imprese
ad operare sul loro territorio senza porre precondizioni politiche.
Lo stesso vale per le varie
offerte commerciali sponsorizzate dal governo di Pechino. L’influenza
cinese all'estero è generalmente considerata benigna. Gli investimenti non sono
accompagnati dalle condizioni politiche
spesso richieste dagli americani e dagli europei, ma sono soggetti soltanto
a due requisiti: non intrattenere relazioni diplomatiche con
Taiwan e supportare la Cina nelle organizzazioni internazionali. Pechino
ha negoziato più di 400 accordi commerciali con i paesi latino-americani negli
ultimi anni,dove ha investito oltre 50 miliardi di dollari; ha prestato
particolare attenzione alle nazioni con riserve di petrolio e gas naturale come
il Venezuela, il Kazakistan e la Nigeria; ha condonato prestiti per oltre 1 miliardo di dollari alle nazioni
africane, invogliandole con progetti di sviluppo. Nei
paesi in cui ha effettuato consistenti investimenti nel settore energetico,
come il Sudan, l’Angola e la Guinea Equatoriale, ha affiancato le compagnie
petrolifere con imprese di costruzione inviate appositamente per sviluppare le infrastrutture locali. In
tal modo appare immediatamente evidente la differenza con gli sforzi americani
ed europei che concentrano il loro soft
power sulla promozione della democrazia e sull'incoraggiamento della buona
governance all'estero, mentre la Cina promuove il suo soft power attraverso il commercio e gli scambi energetici,
producendo risultati tangibili ed evidenti quali la costruzione di strade,
stadi, scuole e ospedali.
La crisi finanziaria globale lascerà la
Cina in una posizione relativamente più forte rispetto agli Stati Uniti e all’Europa. Mentre
l'Occidente ha dovuto tagliare gran parte dei suoi investimenti esteri negli
ultimi anni a causa di problemi economici interni, la Cina si è trovata in una
posizione privilegiata per ampliare i propri investimenti ed è stata in grado
di accedere alle risorse naturali dei paesi in via di sviluppo proprio quando l'Occidente non poteva.
Come visto in precedenza, il soft power può essere influenzato anche negativamente. Nel
mondo sviluppato, la reputazione aziendale della Cina è piuttosto offuscata. I
prodotti cinesi sono mal considerati nella maggior parte dell'Europa e nel Nord
America. Nel periodo di Natale 2010, ad esempio, in tutta Roma erano affissi
cartelli che sconsigliavano l’acquisto di prodotti cinesi a causa della loro pessima
qualità[9]. Innumerevoli episodi legati al cibo per cani
avvelenato, a giocattoli con vernici al piombo, al dentifricio contaminato e ad
altre imbarazzanti e pericolose esportazioni hanno macchiato la reputazione del
“Made in China”. Alcune
segnalazioni riportano addirittura che i fornitori boliviani hanno rimosso dai
prodotti le etichette “Made in China”
[10].
Sono
sorti problemi anche in quei paesi del mondo in via di sviluppo che hanno un
atteggiamento più positivo nei confronti della Cina.
Sui media locali abbondano i racconti di episodi negativi verificatisi in Africa:
prodotti cinesi di scarsa qualità entrati in competizione sleale con quelli locali,
tanto da rimpiazzarli; progetti
infrastrutturali realizzati con manodopera proveniente dalla Cina anziché con
personale locale; totale noncuranza delle norme ambientali. Una serie di eventi
che hanno fatto nascere le accuse di un neocolonialismo cinese e di politiche
mercantili che guardano alla sottrazione di risorse piuttosto che a
investimenti nel settore industriale.
L'immagine della Cina
ha subito una battuta d’arresto anche nell’ambito aziendale dei vicini Stati
asiatici. La Shanghai Automotive Industry Corporation
(SAIC), il più grande produttore cinese di automobili, acquistò nel 2004 la
quota di controllo della sud-coreana Ssangyong
Motors, realizzando quello che allora era il più ambizioso acquisto all'estero
per l'industria automobilistica cinese.[11] Cinque
anni dopo, l'accordo andò in pezzi con la dichiarazione di fallimento della Ssangyong. La
Corea del Sud, a torto o a ragione, ritenne che la responsabilità fosse da
attribuire all’azienda cinese, tacciata di sfruttamento e accusata di non aver
rispettato le promesse, poiché il suo unico interesse era l'acquisizione della
tecnologia sud-coreana. Quell’episodio si è sommato ad una
rottura altrettanto aspra tra due aziende elettroniche, la cinese BOE Technology Group e la sud-coreana Hydis, e ha provocato l’irrigidimento dell'opinione
pubblica sud-coreana nei casi di competizione delle aziende cinesi con quelle
nazionali[12].
Negli Stati Uniti, le indicazioni per il soft power cinese non sono favorevoli. Nel 2010
un sondaggio dalla Columbia University
ha evidenziato che il 45% degli americani non è favorevole agli investimenti
cinesi negli USA.
Sebbene, infatti, nei primi sei mesi del 2010 tali investimenti
siano aumentati del 360% e abbiano prevedibilmente comportato un aumento di posti di lavoro per
gli americani, la percezione della Cina resta comunque quella di uno stato concorrente.[13]
Chiaramente, il governo cinese è preoccupato
per l'impatto di questi avvenimenti sulla propria strategia di soft power nel mondo. Il
vice premier cinese Wang Qishan ha
perfino pubblicamente rimproverato il capo della Sany Heavy Industry Company Limited, una società ingegneristica
molto attiva nei paesi in via di sviluppo, per non essere abbastanza sensibile
alle differenze culturali.[14] Proseguendo la sua politica di going global, Pechino ha promulgato nell’agosto
2006 nuove e stringenti regole per le imprese, sollecitandole a prestare particolare attenzione ai costumi locali, alle norme di
sicurezza e all'ambiente di lavoro. Ciò sottolinea, dunque, quanto le
implicazioni soft power delle imprese
cinesi all'estero vengano considerate molto seriamente a livello centrale.
Nonostante il sistema politico cinese sia indiscutibilmente
autoritario, il successo economico che ha portato il Paese a triplicare il
prodotto interno lordo negli ultimi trent’anni, suscita molto interesse nei paesi
in via di sviluppo. Tutto ciò ha una diretta correlazione con il soft power cinese, particolarmente
rafforzata dalla crisi finanziaria del 2008. In alcune parti dell'Asia,
dell'Africa e dell'America Latina, il cosiddetto Beijing Consensus, ovvero il modello di sviluppo basato su un governo
autoritario accoppiato ad un’economia di mercato, è più popolare del Washington Consensus, il modello dominante in precedenza fondato su
un governo democratico associato ad un'economia di mercato.
[1] Joseph Nye, Jr., Soft Power: The Means to Success in World Politics (New York: Public Affairs, 2004), X-XI.
[2] Joel Wuthnow, “The Concept of Soft Power in
China's Strategic Discourse,” Issues & Studies, June 2008, 5-6.
[3] Wuthnow, “The Concept of Soft Power in China's
Strategic Discourse,” 6.
[4] Richard Rosecrance and Gu Guoliang, Power and Restraint (New York: Public Affairs, 2009), 28.
[5] Congressional Research Service Report, China’s
“Soft Power” in Southeast Asia, report prepared by Thomas Lum, Wayne M. Morrison, and Bruce
Vaughn, January 4, 2008, 1.
[6] Dumbaugh, China’s Foreign Policy:What Does it
Mean for U.S. Global Interests?, 13.
[7] Dexter Roberts, “How to Beat Made-in-China,” BusinessWeek Online, October 9, 2007, http://www.businessweek.com/globalbiz/content/oct2007/gb2007108_553610.htm.
[8] William Foreman, “China’s Influence Spreads
Around World,” Yahoo News, September 1, 2007, http://news.yahoo.com/s/ap/20070901/ap_on_re_as/china_global_impact.
[9] L’Autore risiedeva
a Roma all’epoca dell’osservazione di questi cartelli.
[10] William Foreman, “China’s Influence Spreads
Around World,” Yahoo News, September 1, 2007, http://news.yahoo.com/s/ap/20070901/ap_on_re_as/china_global_impact.
[11] The Chinese government switched the initially
planned buyer of Ssangyong from BlueStar Chemical to SAIC.
[12] Choe Sang-Hun, “Soured Deal Embitters
Shanghai and Seoul,” International Herald
Tribune, February 25, 2009, 1&12.
[13] Sheridan Prasso, “U.S. to China: Nimby,” Fortune, September 6, 2010, 22.
[14] Alan Wheatley, “China Inc’s
Global Growing Pains,” January 21, 2010,
http://www.reuters.com/article/idUSTRE60J1RO20100121.
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