Gli ultimi mesi hanno fatto registrare alcuni timori di un ulteriore rallentamento dell’economia cinese. Nel corso di una recente consultazione con il governo cinese, i rappresentanti del Fondo
monetario internazionale (Fmi) hanno annunciato una revisione al
ribasso delle stime di crescita del Paese, ora prevista intorno al 7,7%
per il 2013 e il 2014, mostrando al contempo nuove stime al rialzo
sugli indici di debito pubblico e deficit, intorno al 50% e al 10% del
Pil rispettivamente. Lo stesso hanno fatto anche altre organizzazioni
internazionali, tra cui l’Ocse, che ha portato la stima della crescita
dall’iniziale 8,5% all’attuale 7,8%, ma con migliori aspettative per il
2014, quando il Paese dovrebbe tornare a crescere nuovamente sopra
l’8%.
Le ultime rilevazioni dell’Ufficio nazionale di statistica cinese giustificano la diffusa incertezza sulla capacità degli investimenti fissi di
continuare a sostenere la dinamica di crescita economica in Cina ai
ritmi del recente passato, giacché la crescita di tali investimenti ha
subìto un costante rallentamento dall’inizio dell’anno (Figura 1), così
come la crescita tendenziale dei consumi – altro potenziale volano –
resta inferiore ai valori toccati a fine 2012, essendosi stabilizzata intorno al 12-13% (Figura 1). Dopo la frenata primaverile, la produzione
industriale ha invece segnato a luglio un inatteso +9,7% (Figura 1),
attenuando i dubbi circa la capacità di utilizzare le risorse in eccesso
nell’industria e riportando l’indice Flash Purchasing managers’ index (Pmi) di HSBC oltre i 50 punti ad agosto (50,1), dopo le contrazioni di maggio (49,2), giugno (48,3) e luglio (47,7). Quando questo indice
– che misura lo stato di salute del settore industriale cinese sulla base
di sondaggi eseguiti presso le direzioni acquisti di oltre 420 imprese
del settore manifatturiero – supera la soglia dei 50 punti, l’economia è
ritenuta in fase espansiva.
Parte del pessimismo sullo stato di salute dell’economia rimane
inoltre legato a doppio filo alle vicende dei maggiori partner commerciali della Repubblica popolare cinese (Rpc), e in particolare dei paesi
dell’area euro. Le difficoltà del vecchio continente si riflettono in una
minor domanda per i beni prodotti nella Rpc (Figura 2). La crescita
delle esportazioni nel mese di maggio è risultata superiore di solo
un punto percentuale rispetto all’anno passato, mentre per il mese di
aprile si era registrato un incremento intorno al 14%. Questi dati sono
stati recentemente oggetto di discussione; alcune imprese hanno infatti appositamente sovrastimato il valore delle vendite all’estero per superare i controlli di capitale da parte del governo e poter importare nuovi capitali in valuta estera nel Paese. In effetti, se si confrontano le
statistiche sulla crescita delle esportazioni con quelle sull’incremento
del traffico portuale in uscita, si riscontrano delle forti discrepanze,
specialmente nel primo trimestre di quest’anno. È da rilevare tuttavia
che le autorità cinesi, ed in particolare la State administration of foreign exchange (Safe), si sono prontamente attivate introducendo controlli ad hoc sulle imprese per evitare il ripetersi di queste operazioni.
Una possibile spiegazione di questi comportamenti ha a che vedere
con il recente apprezzamento del renminbi. Mentre a fine aprile il tasso di cambio reale era superiore del 4,6% rispetto al valore raggiunto
a fine 2012, nel mese di maggio 2013 il tasso nominale di cambio raggiungeva il massimo storico sia rispetto al dollaro americano (Figura 3), sia rispetto allo yen giapponese. Secondo alcuni osservatori, le
recenti politiche del tasso di cambio hanno contribuito ad un peggioramento della posizione internazionale della Rpc riguardo agli investimenti. Se si osserva infatti la bilancia dei pagamenti cinese, l’attivo
con l’estero è determinato dall’ampia disponibilità di riserve di valuta,
mentre l’esposizione con l’estero è in deficit alla voce investimenti (Tabella 1). Questo deficit continua a crescere per due ragioni. In primo
luogo, il ritorno sugli investimenti è maggiore per gli investitori esteri
nel Paese rispetto a quanto la Rpc non riesca a ottenere dai titoli di
debito pubblico straniero che detiene in ampia quantità. In secondo
luogo, la recente svalutazione ha contribuito a un peggioramento della posizione internazionale, dato che la gran parte degli investimenti
cinesi è denominata in dollari. In futuro, ciò potrebbe contribuire
ad un maggiore afflusso di capitali dall’estero, considerando anche
il fatto che i tassi di interesse cinesi sono più elevati rispetto a quelli
americani.
(per approfondimenti:orizzontecina@iai.it)
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