Asia

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Metodo di ricerca ed analisi adottato

Per il medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

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mercoledì 25 aprile 2012

Cina: Esercitazioni navali con la Russia.

 Il 22 aprile 2012 sono iniziate le prime esercitazioni congiunte navali tra la Cina e la Russia, aventi come base navale quella di Qingdao nell'est della Cina. Le esercitazioni sono state aperte dal vice capo di Stato Maggiore della Marina russa, il contrammiraglio Leonid Sukhanov ed il suo omologo Ding Yiping.
La durata delle esercitazioni sarà di sei giorni. La Cina  schiera due sottomarini, 16 navi da battaglia ed oltre 4000 uomini. La Russia con settenavi da battaglia, per lo più unità lanciamissili e cacciatorpediniere.

Queste manovre hanno si inseriscono nelle tensioni esistenti tra la Cina i i paesi della'area Asia pacifico per la sovranità nel Mar Cinese meridionale.
La Cina ha tensione con le Filippine. Pechino e Manila si accusano a vicenda di aver violato la sovranità dell'altro nei pressi della secca di Scarborough, ad ovest della baia di Subic, l'area dove sorgeva una base navale astatunitense.
Pechini sostiene che la sua sovranità sul Mar della Cina meridionale è indiscutibile. Queso comporta tensione non solo con le Filippine, ma anche con il Vietnam, Il brunei e la Malaysia.

Il Giornale delle Forze Armate cnesi ha recentemente affermato, nel numero di meta aprile 2012, che le manovre navali congiunte tra Stati Uniti e Filippine in corso in un tratto di mare conteso nell'Oceano Pacifico rischiano di sfociar ein uno scontor armato.
"Tutti coloro che hanno occhi per vedere hanno capito da tempo che queste manovre sono il risultato della mentalità che porterà il prblema del Mar della Cina Meridionale nella stretta che va verso il confronto militare e la rivoluzione attraverso la forza delle armi"

Al di là del linguaggio di propaganda, il problema della sovranità del Mar Cinese Meridionale sta assumendo un rilievo sempre maggiore

lunedì 30 gennaio 2012

Ia Arabia saudita

LE RIFORME

Nel febbraio 2009 Re Abdullah ha effettuato il primo importante rimpasto di governo dal momento della sua ascesa al trono nell’agosto 2005. La manovra, che rientra in una più ampia riforma degli organi statuali, ha visto avvicendamenti ai vertici degli organi politici, militari, religiosi e giudiziari del Regno. Le nuove nomine ministeriali hanno interessato il Ministero dell’Istruzione, della Cultura e dell’Informazione, della Giustizia e della Salute. Incarico “storico” conferito a Nora Al Fayez come Vice-Ministro con delega per l’istruzione femminile. Altri cambiamenti rilevanti hanno interessato il Consiglio della Shura (Majlis al Shura), l’Assemblea consultiva del Regno che ha visto l’avvicendamento di 79 dei suoi membri e la nomina di un nuovo Presidente, Abdullah al Sheikh, fino a quel momento Ministro della Giustizia. Da segnalare la giovane età dei nuovi membri - tutti sotto i 41 anni - ed il fatto che ora il Consiglio rappresenta tutte le regioni e principali realtà tribali dell’Arabia Saudita. Sono inoltre entrati a far parte del Majlis un membro della Famiglia Reale, il Principe Khalid bin Abdullah, e cinque appartenenti alla comunità sciita. È stato nominato un nuovo capo della Commissione per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio, l’autorità incaricata di far rispettare rigorosamente la Shariah; di nuova nomina anche il Governatore della Saudi Arabian Monetary Agency. Da segnalare anche la rimozione dalla guida del Supremo Consiglio Giudiziario dello Sceicco Saleh Al Lihedan e la sostituzione del Presidente della Corte Suprema, del Capo di Stato Maggiore dell’esercito e del Presidente della Commissione governativa per i Diritti Umani. Altra decisione di rilievo è rappresentata dall’importante ristrutturazione del Consiglio degli Ulema, ovvero il massimo organo religioso dell’Arabia Saudita, al cui vertice è stato peraltro confermato il Gran Mufti del Regno, Sceicco Abdulaziz Al Sheikh. La nuova configurazione del Consiglio è funzionale a rappresentare per la prima volta tutte e quattro le scuole giuridiche dell’Islam sunnita.


Un altro obiettivo fondamentale per Re Abdullah rimane la riforma della pubblica istruzione, come provato dalla nomina a Ministro dell’Istruzione del genero del Re, Principe Faisal bin Abdullah bin Mohammed da anni artefice della riforma del sistema educativo.

Se il Sovrano saudita ha ritenuto che fosse arrivato il momento per dare un segnale forte circa l’esigenza di procedere più speditamente sul cammino delle riforme si può ritenere che siano giunti chiari segnali di apertura in tal senso dai settori religiosi e dai principali esponenti dalla stessa Casa degli Al Saud. Una manovra così articolata e profonda richiede infatti tempi di riflessione e “decantazione” molto lunghi. Sono gli stessi tempi che si renderanno necessari per verificare gli effetti che il "cambio di marcia'" deciso da Re Abdullah determinerà sugli assetti sociali e gli equilibri interni del Paese.

Anche la riforma del sistema giudiziario è destinata ad avere un forte impatto sulla società saudita, ponendo fine alle incertezze ed alle prevaricazioni di una “casta”, quella della magistratura shariatica, la cui autonomia riposa sull’assenza di chiare norme scritte e sull’inattaccabilità di giudizi fondati sull’interpretazione coranica. L’istituzione di una Corta Suprema e di quattro Corti speciali consentiranno di migliorare la competenza dei giudici impegnati nelle diverse materie, ma anche di un maggiore controllo nell’operato dei magistrati e uno svecchiamento dell’intera categoria. La riforma procede inoltre alla ridefinizione delle prerogative del Ministro della Giustizia e del Supremo Consiglio Giudiziario.

Più in generale la politica di caute riforme in campo sociale portata avanti dal Sovrano saudita pone al tempo stesso le basi per ridurre nel medio - lungo periodo l’influenza dei circoli più conservatori, non solo in ambito religioso. A tale riguardo si intravedono tuttavia segnali contrastanti: da una parte, la recente notizia della decisione, da parte di Re Abdullah, di espellere dal Consiglio Supremo degli Ulema lo Sceicco Saad al Shethri, il quale aveva criticato alcune scelte relative alla neo-istituita King Abdullah University of Science and Technology (KAUST), dimostra la forte determinazione del Sovrano nel portare avanti il suo progetto riformista. Dall’altra, l’annullamento all’ultima ora di un Festival estivo di cinema in programma a Gedda dimostra il permanere della forte influenza dei settori conservatori nonostante le iniziative di “ridimensionamento” avviate proprio dall’attuale Sovrano.

Non va inoltre sottovalutata la perdurante diffusione nella Umma islamica della teologia rigorista di stampo wahhabita, che continua a proporre con fermezza gli ideali originari della fede contro ogni forma di compromesso verso le idee e pratiche ritenute estranee all’ortodossia sunnita; approccio facilitato dal ruolo saudita a tutela dei luoghi santi e dall’uso dei nuovi strumenti di comunicazione mediatica.

Ib Arabia Saudita

LA SUCCESSIONE AL TRONO

La creazione del Consiglio, voluto da Re Abdullah nel 2006, incaricato di selezionare i futuri sovrani e principi ereditari (“Allegiance Council)”, ha aperto nuovi scenari in tema di successione al trono. La Casa Al Saud si è sempre distinta per aver saputo mantenere uniti i diversi rami della famiglia nel comune scopo di governare in stabilità il Paese. Sebbene infatti molti membri non abbiano un ruolo diretto nel governo, il loro consenso e supporto sono cruciali nel decisionmaking process. L’8 ottobre 2007 il Re ha emanato il decreto reale di attuazione del provvedimento emesso nell’ottobre 2006, il quale istituisce una Commissione incaricata di selezionare i futuri Re e Principi Ereditari. Questa Commissione è composta da 35 membri e tra questi i figli del fondatore del Regno Re Abdulaziz e, in prospettiva, dai loro discendenti maschi. Con questo sistema la scelta del Re e del suo Principe Ereditario è vincolata dall’approvazione della Commissione. Gli aspetti più rilevanti di questo provvedimento riguardano l’eventualità in cui il Re o il Principe Ereditario od entrambi siano malati gravemente. Se si verificasse tale circostanza un’apposita commissione medica sarebbe incaricata di redigere un rapporto circa le loro condizioni di salute. Nel caso in cui dal rapporto risultasse l’incapacità di entrambi a ricoprire il proprio ruolo, un Consiglio transitorio composto da cinque membri si occuperebbe della gestione temporanea degli affari di Stato fino alla nomina di un nuovo Re e di un nuovo Principe Ereditario. Negli articoli del decreto non si accenna alla possibilità di una successione in favore della terza generazione.


Lo scorso 27 marzo Re Abdullah ha nominato il Ministro degli Interni, Principe Naif bin Abdulaziz, Secondo Vice Premier. Si tratta di una decisione fondamentale per i delicati equilibri interni della Casa Reale. Il Principe Naif occupa ora il secondo posto in linea di successione al trono ed il primo per il ruolo di Principe Reggente. Il posto di “numero tre” del Regno era rimasto vacante sin dalla scomparsa del Re Fahd nel 2005, dato che al momento della propria ascesa Re Abdullah aveva nominato solamente la figura del Principe Reggente, il Ministro della Difesa Principe Sultan bin Abdulaziz. Questa importante scelta si è resa indispensabile a seguito di alcune contingenze: da una parte il peggioramento delle condizioni di salute del Principe Sultan, dall’altra l’imminente partenza del Re Abdullah per il G20 di Londra. Il Re ha peraltro dovuto “fare i conti” con il grande potere effettivo di Naif, Ministro degli Interni da trent’anni, con un forte controllo sulla forze di sicurezza, sui servizi d’informazione e grande protagonista della lotta al terrorismo. Nominando Naif Secondo Vice Premier Re Abdullah ha voluto riconoscere l’importanza del “clan dei Sudairi”, ovvero il nucleo più influente dei discendenti di Re Abdulaziz. Si tratta dei 7 figli maschi della stessa sposa di Abdulaziz tra i quali si annoverano, oltre a Naif, anche Re Fahd (scomparso nell’agosto del 2005), il Principe Ereditario Sultan ed il Governatore di Riad, Salman, ma non Re Abdullah il quale aspira ovviamente a fare da mediatore tra le varie componenti della dinastia in competizione tra loro.

Gli scenari che si potrebbero delineare in merito alla successione sono i seguenti:

• Nell’ipotesi che il Principe Ereditario Sultan muoia prima di Re Abdullah senza dubbio il Ministro degli Interni Naif diverrebbe a sua volta Principe Ereditario.

• Se Abdullah morisse mentre Sultan è ancora in vita , a meno che un gruppo di medici esperti nominati dalla Commissione di Fedeltà ritenga che Sultan non è sufficientemente in salute per diventare Re, allora il Principe Sultan diventerebbe il futuro Re e il Principe Naif sarebbe nominato Principe Ereditario.

• Se Re Abdullah e il Principe Sultan avessero entrambi seri problemi di salute, teoricamente la Commissione di Fedeltà dovrebbe nominare 5 membri incaricati di governare temporaneamente il Paese. Nel frattempo la Commissione dovrebbe, in breve tempo, scegliere il candidato al trono.

• Per evitare di dover rideterminare la linea di successione ogni 2/3 anni, alcuni dei fratelli più anziani hanno abbandonato le loro pretese di successione per dare un’opportunità a qualcuno più giovane. In questo caso il candidato favorito sarebbe il più giovane dei figli di Re Abdulaziz, Salman, di 73 anni, con una grande esperienza come Governatore della Provincia di Riad, un’ottima reputazione nonchè appartenente al clan dei Sudairi.

L’ipotesi del “salto generazionale” e quindi del passaggio ai nipoti di Abdulaziz è al momento improbabile ma non al punto da potersi totalmente escludere. In gioco ci sono numerosi discendenti dei rami più potenti della famiglia (Principe Saud per gli Al Faisal, Principe Al Waaleed per i bin Talal, Principe Mohammed per i bin Fahd, Principe Bandar per i bin Sultan, etc…) ed i relativi gruppi di interesse (es. Guardia Nazionale per i figli di Re Abdullah, elementi conservatori e religiosi per i figli di Naif, etc…). Dal momento che il Regno conosce una lunga tradizione di avvicendamento al trono in senso orizzontale e attribuendo grande importanza all’età, è verosimile che eventuali tentativi di modificazione di questo assetto potrebbe mettere a repentaglio la stabilità del Paese.

Si ritiene opportuno segnalare alcune indiscrezioni secondo le quali alla fine dello scorso luglio sarebbe stata sventato un “colpo di mano” contro Re Abdullah. L’ispiratore principale sarebbe stato il Principe Bandar bin Sultan, figlio del Ministro della Difesa e Principe Ereditario Sultan, Segretario Generale del Consiglio di Sicurezza nazionale nonché ex Ambasciatore a Washington. Al momento dell’ascesa al trono di Abdullah il conferimento di poteri eccezionali a Bandar aveva suggellato il riavvicinamento di Abdullah al fratellastro Sultan e quindi la rottura del fronte dei “Sudairi Seven”. I deludenti risultati raggiunti da Bandar hanno determinato una presa di distanze del Re Abdullah e la recente nomina del Principe Naif bin Abdulaziz a Secondo Vice Primo Ministro potrebbe essere interpretata come un cambiamento di alleanze da parte del Sovrano; di qui il dissenso di Bandar che avrebbe dunque deciso di passare all’azione. L’unico dato certo ad oggi è la scomparsa dalla scena, da molti mesi, del Principe Bandar.

II Arabia Saudita

Dialogo interreligioso

Un tema da sempre caro a Re Abdullah è quello del dialogo inter-religioso. Da anni ormai il Re si fa promotore di iniziative che siano occasione di dialogo e confronto su temi di natura religiosa. Durante lo storico incontro con il Pontefice avvenuto nel novembre 2007 tra i temi trattati la necessità di una “giusta soluzione” per il Medio Oriente e in particolare per il conflitto israelo-palestinese, ma anche l'impegno a favore del dialogo interculturale e interreligioso e della collaborazione tra cristiani, musulmani ed ebrei per la promozione della pace della giustizia e dei valori spirituali e morali, specialmente a sostegno della famiglia.


Un altro momento di acceso confronto è stato l’incontro intra-islamico sul dialogo interreligioso tenutosi alla Mecca nel giugno 2008. A questa ambiziosa iniziativa di re Abdullah hanno partecipato oltre 500 rappresentanti del mondo islamico, ed essa ha inteso gettare le basi “metodologiche” e costruire il sostegno interno intra-islamico al principio del dialogo con le altre confessioni religiose, legittimandolo sulla base del Corano e della Sunna (e quindi l’atteggiamento del profeta Maometto). È ben noto quanto il Re Abdullah sia genuinamente interessato ad assumere nuove iniziative che, nel rispetto della tradizione wahabita, possano contribuire a migliorare la collocazione dell’Arabia Saudita e il suo ruolo ne mondo arabo, islamico e internazionale. Di qui il suo costante impegno umanitario religioso e in politica estera. Pur condividendo lo sforzo di presentare un immagine dell’Islam aperto al dialogo, tollerante e pacifico, l’establishment religioso ha manifestato una diversità di intenti se non finalità contrastanti.

A questo incontro ha fatto seguito la prima vera conferenza interreligiosa promossa da Re Abdullah, svoltasi a Madrid nel luglio 2008. L’evento ha visto la partecipazione di 200 delegati provenienti da 54 Paesi, in rappresentanza delle tre grandi religioni monoteiste e di fedi orientali quali il buddhismo, l’induismo e lo scintoismo. L’organizzazione dell’evento è stata affidata dal Sovrano saudita alla Lega Musulmana Mondiale. Secondo il Re la Conferenza internazionale ha aperto “nuovi orizzonti” nei colloqui volti a promuovere la “coesistenza pacifica di comunità religiose diverse fra loro”.

Sempre su iniziativa dell’Arabia Saudita, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha tenuto il 12-13 novembre 2008 una riunione ad alto livello sul dialogo interreligioso, che ha visto una nutrita e qualificata partecipazione in particolare della regione mediorientale. Nel suo intervento in apertura dei lavori, Re Abdullah ha affrontato il tema del rapporto tra religione, estremismo e terrorismo, definendo il terrorismo nemico “di ogni religione e civiltà”. Tra i temi piu dibattuti a New York quello del contributo delle religioni alla pace; la loro incompatibilità con qualunque forma di violenza; la necessità di un dialogo che sappia alimentare la comprensione reciproca e quindi una “cultura di pace”, mentre sono stati lasciati sullo sfondo gli spunti polemici tradizionali sulla libertà di espressione/diffamazione della religione. Da parte dell’Unione europea e dei Paesi membri intervenuti (tra cui l’Italia), si è inquadrato il dibattito sul dialogo interreligioso in quello più ampio del dialogo fra culture e civiltà, ribadendo inoltre il fondamentale diritto alla libertà religiosa contenuto nella Dichiarazione Universale dei diritti umani. Allo stesso tempo si è sottolineato che i governi non debbano intervenire nel dialogo interreligioso, dovendosi limitare a favorirne le condizioni.

Il Segretario Generale della Lega Mondiale Musulmana, Abdullah Al Turki, e' intervenuto su tali questioni anche il 2 ottobre scorso a Ginevra in occasione della quarta sessione dell'iniziativa saudita sul dialogo interreligioso. Ai rappresentanti di 35 Paesi e delle principali fedi mondiali convenuti a Ginevra, ha dichiarato che l'obiettivo principale dell'iniziativa di Re Abdullah e' quello di sfatare i molti pregiudizi e luoghi comuni sull'Islam, di presentarne un'immagine tollerante, pacifica ed aperta al dialogo, e di evidenziare come la religione islamica venga usata strumentalmente dagli estremisti per perseguire fini politici o comunque di dominio. Anche i media sarebbero responsabili della diffusione di un'immagine distorta dell'Islam, un immagine che le iniziative di "diplomazia religiosa" come quella in questione possono senz'altro contribuire a riabilitare.



Questi eventi invitano ad una riflessione sul significato politico che la religione islamica ha e continuerà ad avere nei prossimi anni, in particolare in questo periodo caratterizzato dalle preoccupazioni per la sicurezza derivanti dall’esistenza di movimenti islamisti radicali che si oppongono ai processi di secolarizzazione ed a quella che viene considerata l’egemonia politica, economica e culturale del mondo occidentale. La variabile dell’appartenenza religiosa, a lungo esclusa dalle analisi politico-strategiche, si impone da qualche anno all’attenzione degli analisti di tutto il mondo. Il sovrano saudita, fino a poco fa “corteggiato” da altri Capi di Stato e di Governo quasi esclusivamente in quanto alla guida del più importante paese produttore di petrolio, lo è oggi sempre più anche quale “Custode delle due Sacre Moschee”. La sensazione è che la “carta religiosa”, eventualmente dietro il velo più discreto della cultura e dei valori, venga giocata anche per acquistare prestigio e visibilità politica.

III Arabia Saudita

Diritti Umani

Le leggi saudite non tutelano i diritti umani fondamentali. Riad ha ratificato con riserva che le disposizioni non siano in contrasto con la Sharia, soltanto 19 dei 53 principali strumenti internazionali relativi alla protezione dei diritti umani. Ciò detto, la situazione, tuttora molto critica, sta migliorando attraverso una presa di coscienza collettiva; la consapevolezza dell’esistenza di diritti umani irrinunciabili si sta diffondendo sempre di più nel Paese. L’azione delle istituzioni attive nel settore dei diritti umani, la riforma in corso del sistema giudiziario, lo studio della legge contro le violenze familiari, la discussione nell’ambito del Majlis Al Shura delle problematiche relative alle tutele legali a favore dei circa 1.5 milioni di collaboratori domestici provenienti soprattutto dai Paesi asiatici, possono essere considerati come indubbi miglioramenti a fronte di una situazione comunque ben lontana dagli standard internazionali.


I diritti umani trovano sempre maggiore spazio nel dibattito politico, con particolare riferimento alla condizione femminile e al ruolo della donna nella società e nell’economia. In occasione degli avvicendamenti ai vertici degli organi politici, militari, religiosi e giudiziari del Regno del febbraio scorso è stato conferito a Nora Al Fayez l’incarico di Vice-Ministro con delega per l’istruzione femminile. Pur costituendo un evento storico nella storia del Regno sono ancora molte le questioni irrisolte. L’identità legale femminile è tuttora inesistente, le donne non possono votare, guidare, apparire in pubblico senza abayyah, viaggiare e studiare all’estero in assenza almeno di un permesso da parte di un parente stretto di sesso maschile (mahram).

Un altro ambito di palese discriminazione riguarda le minoranze religiose. Nonostante i numerosi proclami in proposito, è vietata ogni forma di manifestazione pubblica di adesione a confessioni diverse da quella dominante musulmana sunnita, ed in particolare alle varie correnti sciite.

La “salvaguardia della morale e dei costumi islamici” è affidata ai muttawa’in, agenti della “Commissione per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio”. Questa sorta di polizia religiosa mette in atto un codice di rigida separazione di genere ed esercita un severissimo controllo del rispetto della Shari’ah. Quanto alle altre religioni, mentre la libertà religiosa non è riconosciuta, il governo afferma di garantirne la pratica in privato, ma tale diritto non è di fatto sempre rispettato nè definito per legge. La pratica delle altre due religioni monoteistiche, ebraica e cristiana è discriminata in misura inferiore.

La ONG Human Rights Watch ha denunciato i mezzi utilizzati dalle autorità saudite per contrastare la minaccia terroristica, tra cui la detenzione illegittimamente prolungata di migliaia di persone e lo svolgimento di processi con procedure non conformi agli standard internazionali. La detenzione arbitraria, i maltrattamenti, le torture dei detenuti, le restrizioni alle libertà di associazione e di espressione sono frequenti.



Il dibattito sui diritti umani è orientato ad un’interpretazione degli stessi alla luce dei precetti coranici: non vengono, ad esempio, messe in discussione la pena capitale ed altre pene corporali.

Nel settembre 2005 il Re ha istituito la Commissione saudita sui diritti umani, organo governativo che ha il compito di difendere e promuovere tali diritti, favorire la loro consapevolezza presso la popolazione ed assicurarne l’applicazione, nel rispetto delle disposizioni della Shari’a islamica. Il Consiglio dell’organismo è composto da 24 membri con al vertice il Presidente, direttamente responsabile verso il Re quale garanzia di indipendenza rispetto alle amministrazioni dello Stato. Si annovera tra le funzioni più importanti della Commissione la supervisione di tutti i provvedimenti legislativi adottati nel Regno, nella fase di preparazione dei testi, e di verifica di quelli già vigenti. A tutela dei diritti umani è stata inoltre creata la National Society for Human Rights, organismo privato sostenuto dal Governo. I due enti sauditi hanno dimostrato una sostanziale adesione all’indirizzo del sovrano, tanto da non poter essere considerati indipendenti. È bene menzionare anche un’organizzazione non governativa, del tutto indipendente e proprio per questo continuamente ostacolata nella sua attività: si tratta di Human Rights First, il cui fondatore, Ibrahim al Mugaiteeb, e’ stato più volte imprigionato negli scorsi anni per la sue attività.

Il crescente dibattito pubblico e le aperture operate dal governo stanno lentamente contribuendo, pur nel rispetto della Shari’a, a consentire l’aggregazione di un fronte concettuale e concreto di azione nel campo dei diritti umani sulla cui portata appare tuttavia prematuro esprimere valutazioni eccessivamente ottimistiche.

IV Arabia Saudita

SICUREZZA E TERRORISMO

A lungo sospettata di oscuri rapporti tra ambienti politici e religiosi all’origine delle derive terroristiche del fondamentalismo islamico internazionale, l’Arabia Saudita, dopo gli attentati che hanno insanguinato il Paese fra il 2003 ed il 2005, si è dimostrata uno dei Paesi mediorientali più all’avanguardia nella lotta al terrorismo interno, sul piano della repressione e su quello della riabilitazione dei militanti, con particolare riferimento al programma PRAC (Prevention, Rehabilitation and AfterCare Program) che mira recuperare socialmente quanti sono risultati coinvolti nelle attività o hanno fiancheggiato i gruppi estremisti. A questo programma partecipano enti governativi, psicologi, forze dell’ordine ed esponenti religiosi. Il principale ideatore del programma è il Principe Mohammed bin Naif, Vice Ministro dell’Interno e figlio del Ministro dell’Interno Principe Naif.


L’annuncio, risalente allo scorso gennaio, della “saldatura” tra la sezione saudita e quella yemenita di Al Qaida e la pubblicazione a febbraio di una nuova lista di 85 super ricercati per terrorismo sono stati accompagnati da un rafforzamento delle misure di sicurezza nei luoghi più a rischio della capitale saudita. E’ noto ormai che i due rami saudita e yemenita dell’organizzazione di Al Qaida nella penisola arabica (AQAP) si sono fusi e che il centro delle attività del gruppo terrorista si è spostato nello Yemen, sotto il comando del cittadino yemenita Nasser al-Wahayshi.

L’ultima operazione di polizia di rilievo nel Regno è avvenuta nell’agosto scorso e ha visto l’arresto di 44 terroristi. Il Generale Mansour Al-Turki, portavoce del Ministero degli Interni saudita, ha precisato che tutti gli arrestati, ad eccezione di uno, sono di origine saudita e sono altamente qualificati nella realizzazione di armi ed esplosivi. Essi sono anche sospettati di aver reclutato aspiranti jihadisti e aver finanziato operazioni terroristiche attraverso specifiche raccolte fondi. Le autorità hanno sottolineato il fatto che alcuni degli arrestati fossero in possesso di titoli di studio superiori e competenze tecniche avanzate. Durante le operazioni sono state sequestrate anche armi, munizioni e apparecchiature elettroniche (detonatori) rinvenute nella regione del Qassim - da sempre roccaforte dei wahhabiti piu' duri e puri - e in una valle nei dintorni di Riad. Il Generale Mansour Al-Turki ha ribadito l’impegno del Regno saudita nella lotta contro il terrorismo sottolineando che negli ultimi due anni le forze di sicurezza hanno sventato 160 attacchi.

In merito alla collaborazione con gli altri Paesi riguardo i detenuti per atti terroristici va menzionato che il Segretario alla Difesa americano Robert Gates nel maggio scorso ha partecipato a colloqui su un possibile accordo con l’Arabia Saudita per il trasferimento di un centinaio di prigionieri yemeniti da Guantanamo verso centri di riabilitazione per terroristi in Arabia Saudita. Gates ha tenuto un incontro con il Vice Ministro dell’Interno, Principe Mohammed bin Naif, per discutere dell’eventuale invio dei suddetti detenuti yemeniti in Arabia Saudita. Sono emerse infatti da parte USA delle perplessità in merito alla capacità dello Yemen di gestire l’eventuale rimpatrio dei detenuti, ma per ora le autorità saudite si sono limitate a dare una risposta interlocutoria, prendendo tempo per valutare la richiesta.

Il 28 agosto lo stesso Principe Mohammed bin Naif è stato vittima di un attentato suicida nel suo palazzo residenziale di Gedda, riportando peraltro solo lievi ferite. L’attentatore suicida è Abdullah al-Asiri, un militante compreso nella lista pubblicata lo scorso febbraio, di 85 super ricercati per attività terroristiche. Va ricordato che il profilo del Principe Mohammed si è rafforzato notevolmente negli ultimi anni: egli viene considerato dagli osservatori internazionali quale uno dei principali esponenti di un nuovo tipo di classe dirigente saudita, particolarmente efficiente e dinamica.

Recentemente anche la rivista mensile on – line dell’AQAP “Sada al-Malahim” (l'eco della battaglia) si è soffermata sull'attentato al Principe Mohammed, evidenziando i meriti della rimozione di leader corrotti e non rispettosi della tradizione islamica come il capo dell'antiterrorismo saudita, invitando i combattenti a porre in essere azioni analoghe in tutto il mondo.

Il capo dell'AQAP Al Wahayshi da parte sua invita i militanti ad effettuare attacchi contro obiettivi ed interessi occidentali e dei governi empi dei Paesi arabi, ovunque sia possibile, anche conducendo gli attacchi con mezzi limitati ma facilmente reperibili quali armi bianche (coltelli, mazze) e piccoli congegni esplosivi. Tale approccio potrebbe essere interpretato come un segno di debolezza dell'organizzazione, se dovesse riflettere la difficoltà incontrata nel compiere in questa fase attacchi di grande portata nel Regno, ed il conseguente ricorso all'estrema ratio del conflitto "a bassa intensità " pur di mantenere una certa visibilità.

V Arabia Saudita

IL PESO DELLE RIFORME


Gli osservatori internazionali continuano a dividersi sul giudizio in merito al futuro di un Paese per molti versi ancora poco conosciuto: se alcuni sottolineano infatti il pragmatismo di Re Abdullah, teso ad alleviare le tensioni tra modernità e tradizione nel Regno attraverso l’introduzione di moderate riforme che intendono assicurare la tenuta del fragile tessuto sociale saudita, molti altri registrano piuttosto le spinte centrifughe della borghesia emergente e la resistenza al cambiamento dei poteri conservatori della società: settori della Casa Reale fedeli al Principe Naif (Ministro dell’Interno), religiosi, magistratura shariatica.

Sul piano politico interno, Re Abdullah ha effettuato quest’anno il primo importante rimpasto di governo dal momento della sua ascesa al trono nell’agosto 2005. La manovra rientra in una più ampia riforma degli organi statuali, che ha visto avvicendamenti ai vertici degli organi politici, militari, religiosi e giudiziari del Regno. Oltre alle nuove nomine ministeriali che hanno interessato il Ministero dell'Istruzione, della Cultura e dell'Informazione, della Giustizia e della Salute, altri cambiamenti rilevanti hanno interessato il Consiglio della Shura, l'Assemblea Consultiva del Regno che ha visto l'avvicendamento di 79 dei suoi membri. I nuovi membri sono accomunati dalla giovane età e il Consiglio rappresenta realmente ora tutte le regioni e principali realtà tribali dell'Arabia Saudita. Sono inoltre entrati a far parte del Majlis un membro della Famiglia Reale, il Principe Khalid bin Abdullah, e cinque appartenenti alla comunità sciita.

Il Re ha inoltre proceduto ad una nuova configurazione del Consiglio degli Ulema, il massimo organo religioso dell'Arabia Saudita, che ora comprende rappresentanti di tutte e quattro le scuole giuridiche dell'Islam sunnita (hanafita, malikita, shafi'ita, hanbalita). Nel complesso il rimpasto di governo può apparire come un'operazione di facciata secondo gli "standard occidentali": i vertici della maggior parte dei dicasteri più strategici, che riflettono anche gli equilibri più delicati all'interno della famiglia reale, non sono infatti stati coinvolti. Le nuove nomine vanno tuttavia valutate alla luce dei forti condizionamenti sociali, politici e tribali nel cui ambito il Re deve muoversi per portare avanti la sua strategia riformistica. Da questo punto di vista assume un carattere in parte simbolico ma senz'altro cruciale la nomina di Nora Al Fayez, a cui è stato conferito l’incarico "storico" di Vice-Ministro con delega per l'istruzione femminile. Tale nomina è suscettibile di alimentare le speranze di milioni di donne saudite che da anni aspettano il riconoscimento di un loro ruolo all'altezza delle sfide poste dalla modernità alla società saudita. È comunque significativo che i principali cambiamenti abbiano interessato i vertici religiosi ultra-conservatori, e in particolare quelli della magistratura shariatica, che hanno fino ad oggi goduto di un assoluto potere discrezionale nell’emanazione delle sentenze. Da più parti viene sostenuto che l'obiettivo principale ed il senso profondo della manovra in oggetto sarebbe proprio la riforma del sistema giudiziario che non può prescindere dalla struttura religioso-ideologica di stampo salafita/wahabita.



LA SITUAZIONE DI SICUREZZA

A lungo sospettata di oscuri rapporti tra ambienti politici e religiosi all’origine delle derive terroristiche del fondamentalismo islamico internazionale, l’Arabia Saudita, dopo gli attentati che hanno insanguinato il Paese fra il 2003 ed il 2005, si è dimostrata uno dei Paesi mediorientali più all’avanguardia nella lotta al terrorismo interno, sul piano della repressione e su quello della riabilitazione dei militanti.

Ancora oggi, tuttavia, è sul piano del contrasto all’ideologia che alimenta il terrorismo che si delinea il problema di fondo di questo sistema socio-politico: ovvero la circostanza che sia il regime sia l’opposizione islamista che ne denuncia il carattere “usurpatorio” traggono la loro legittimità dalla stessa fonte (religiosa), andando pertanto a competere sul medesimo terreno di legittimazione. Questo spiega perchè il regime risponde agli attacchi dell’opposizione, oltre che attraverso l’imponente apparato di repressione, anche mobilitando i vertici religiosi ufficiali. I principali esponenti della Famiglia Reale e quelli religiosi non perdono pertanto occasione per esortare i cittadini a collaborare con le forze di sicurezza nel combattere Al Qaeda e gli altri movimenti estremisti. Molto più ambiguo è invece l’atteggiamento di alcuni membri meno in vista dei settori religiosi e della stessa Casa degli Al Saud.

Al fine di combattere i movimenti radicali che si oppongono al regime al potere, il governo ha adottato un’articolata strategia volta a contrastare la radicalizzazione ed il reclutamento terroristico. Tra le iniziative di maggior rilievo rientrano la campagna di “rieducazione” dei predicatori delle moschee e l’istituzione del PRAC Program (Prevention, Rehabilitation and AfterCare Program), che mira a recuperare socialmente quanti sono risultati coinvolti nelle attività o hanno fiancheggiato i gruppi estremisti. Il Coordinatore di tali iniziative è il Principe Mohammed bin Naif, figlio e “braccio destro” del Ministro dell’Interno, Principe Naif bin Abdulaziz. Il 28 agosto scorso il Principe Mohammed è stato vittima di un attentato suicida nel suo palazzo residenziale di Gedda, riportando peraltro solo lievi ferite. Va ricordato che il profilo del Principe Mohammed si è rafforzato notevolmente negli ultimi anni: egli è considerato dagli osservatori internazionali quale uno dei principali esponenti di un nuovo tipo di classe dirigente saudita, particolarmente efficiente e dinamica.

Ad ogni modo se gli sforzi nel contrastare le attività dei gruppi terroristici si sono rivelati ad oggi senz’altro fruttuosi, i risultati nel medio-lungo termine dipenderanno in gran parte dall’evoluzione dei fattori in grado di stabilizzare il quadro interno (in particolare le politiche di ridistribuzione del reddito e la graduale apertura al processo decisionale) e dagli sviluppi in campo internazionale, soprattutto nei numerosi focolai di tensione della regione.



LA SUCCESSIONE AL TRONO

Lo scorso 27 marzo Re Abdullah ha nominato il Ministro degli Interni, Principe Naif bin Abdulaziz, Secondo Vice Premier. Si tratta di una decisione fondamentale per i delicati equilibri interni della Casa Reale. Il Principe Naif occupa ora il secondo posto in linea di successione al trono ed il primo per il ruolo di Principe Reggente. Il posto di “numero tre” del Regno era rimasto vacante sin dalla scomparsa del Re Fahd nel 2005, dato che al momento della propria ascesa Re Abdullah aveva nominato solamente la figura del Principe Reggente, il Ministro della Difesa Principe Sultan bin Abdulaziz. Nominando Naif Secondo Vice Premier Re Abdullah ha riconosciuto di fatto la centralità del “clan dei Sudairi”, ovvero il nucleo più influente dei discendenti di Re Abdulaziz. Si tratta dei 7 figli maschi della stessa sposa di Abdulaziz tra i quali si annoverano, oltre a Naif, anche Re Fahd (scomparso nell’agosto del 2005), il Principe Ereditario Sultan ed il Governatore di Riad, Salman, ma non Re Abdullah il quale aspira ovviamente a fare da mediatore tra le varie componenti della dinastia in competizione tra loro.



I DIRITTI UMANI

Le leggi saudite non tutelano i diritti umani fondamentali. Riad ha ratificato - con riserva che le disposizioni non siano in contrasto con la Sharia - soltanto 19 dei 53 principali strumenti internazionali relativi alla protezione dei diritti umani. Ciò detto, la situazione, tuttora molto critica, sta migliorando attraverso una presa di coscienza collettiva; la consapevolezza dell’esistenza di diritti umani irrinunciabili si sta diffondendo sempre di più nel Paese, con particolare riferimento al ruolo della donna nella società e nell’economia. Nel settembre 2005 il Re ha istituito la Commissione saudita sui diritti umani, organo governativo con il compito di difendere e promuovere tali diritti, favorire la loro consapevolezza presso la popolazione ed assicurarne l’applicazione, nel rispetto delle disposizioni della Shari’a islamica. Il Consiglio dell’organismo è composto da 24 membri con al vertice il Presidente, direttamente responsabile verso il Re quale garanzia di indipendenza rispetto alle amministrazioni dello Stato. Si annovera tra le funzioni più importanti della Commissione la supervisione di tutti i provvedimenti legislativi adottati nel Regno, nella fase di preparazione dei testi, e di verifica di quelli già vigenti. A tutela dei diritti umani è stato creata la National Society for Human Rights, organismo privato sostenuto dal Governo. I due enti sauditi hanno dimostrato una sostanziale adesione all’indirizzo del Sovrano, tanto da non poter essere considerati indipendenti. È bene menzionare anche un’organizzazione non governativa, del tutto indipendente e proprio per questo continuamente ostacolata nella sua attività: Human Rights First, il cui fondatore, Ibrahim al Mugaiteeb, e’ stato più volte imprigionato negli scorsi anni per la sue attività.

martedì 19 luglio 2011

Arabia Saudita Notizie utili

INFORMAZIONI E CONSIGLI PRATICI  sul Regno dell’ARABIA SAUDITA

1. PAESE

- Nome ufficiale: Regno di Arabia Saudita;

- Capo dello Stato: Re Abdullah Bin Abdulaziz Al Saud, che si avvale del titolo di “Custode delle due Sacre Moschee”;

- Capitale: Riyadh;

- Lingua Ufficiale: l’arabo, ma l’inglese e’ comunemente parlato;

- Superficie: circa 2.250.000 Kmq (7 volte l’Italia).

- Popolazione: al 31 Dicembre 2010, popolazione di circa 23.700.000 abitanti (50,4% maschi e 49,6% femmine), di cui:

- oltre 18 milioni di sauditi, di religione musulmana sunnita per oltre il 95%, con una minoranza (circa 0,7 milioni) di sciiti, concentrati per lo più nel sud, sud/est;

- 5,7 milioni di immigrati, per lo più del terzo mondo arabo, africano ed asiatico.

L’incremento demografico registrato costantemente negli ultimi anni si attesta tra il 3,5 ed il 4 %.

L’origine etnica dei sauditi e’ per circa due terzi dai beduini nomadi e per un terzo dai sedentari. Il nomadismo e’ oggi praticato da una percentuale della popolazione compresa tra il 10 ed il 15%, tasso in diminuzione costante in virtù di un’energica politica d’incoraggiamento alla sedentarizzazione operata dalla dirigenza saudita.

La capitale Riad conta una popolazione ad oggi stimata di oltre 3,5 milioni di abitanti.

2. MODO DI VIVERE SAUDITA

I Sauditi sono legati alla tradizione islamica più conservatrice ed i principi cui ispirano la loro esistenza sono decisamente diversi da quelli degli Occidentali.

In linea di massima gli Europei e gli Americani tendono ad una vita varia, dinamica, caratterizzata molto da un costante progresso tecnologico che consente di concentrare in un determinato lasso di tempo un numero sempre maggiore di attività e contatti.

I Sauditi invece amano vivere secondo ritmi decisamente più lenti. Essi utilizzano ampiamente le novità tecnologiche, ma le apprezzano solo per le possibilità che esse consentono di vivere più comodamente, sollevati quanto possibile da incombenze e fastidi.

Essi diffidano solo delle novità potenzialmente in grado di provocare cambiamenti nella loro struttura sociale, fortemente condizionata dai dettami dell’Islam, vissuti ed osservati nella versione più ortodossa.


a. La condizione femminile

Le donne saudite occupano nella società un ruolo totalmente subordinato agli uomini.

In pubblico sono completamente coperte, capo e volto compresi. Sono escluse dal mondo del lavoro se non per insegnare nelle scuole femminili.


La totale separazione dei sessi che vige nella società le porta ad aver contatti, nell’universo maschile, per tutta la loro vita, solo con il padre, i fratelli, il marito e i figli.

Gli uomini giustificano tale segregazione con la necessita’ di assicurare loro protezione, condizione della quale non godrebbero invece le donne occidentali.

. “Inshallah”

In Arabia Saudita la religione influenza fortemente il vivere quotidiano della popolazione.

Forse nulla rivela tale condizionamento più dell’uso ripetuto che i Sauditi fanno, nelle loro conversazioni, della espressione “inshallah” (= “se Dio vuole”). Essi vi fanno ricorso ogni qual volta ci si riferisca ad un evento auspicato o che dovrebbe coinvolgerli in un futuro vicino o lontano.

I Sauditi, forse più di ogni altro popolo musulmano, sentono che ciò che il futuro riserva loro e’ conseguenza solo ed esclusivamente del volere di Dio (Allah) e di conseguenza neppure nel normale conversare osano esprimere certezze riguardo agli eventi futuri.



c. Saluti ed espressioni di cortesia

Le tradizioni saudite provengono direttamente dal mondo beduino. La scoperta dei più ricchi giacimenti di petrolio del pianeta, e le conseguenti ricchezza e graduale crescente urbanizzazione, non hanno cancellato la pratica di tutte le tradizioni del passato, osservate con un’attenzione ed un’intensità che sorprende qualunque Occidentale.

Ciò e’ particolarmente evidente nel numero infinito di frasi rituali che i Sauditi pronunciano per salutarsi, scambiarsi auguri, mostrare ospitalità, ecc.

In pratica esistono frasi standardizzate per qualunque evento o situazione in cui essi possano trovarsi.

I Sauditi non si aspettano ovviamente che gli ospiti Occidentali conoscano tutte le loro tradizioni o che pratichino le loro consuetudini, ma seguirne qualcuna farà sempre una buona impressione e contribuirà a creare una favorevole e cordiale atmosfera.

C’e’ una regola di cui bisogna assolutamente tenere conto quando si incontrano Sauditi, sia per affari che per eventi formali. La prima fase dell’incontro e’ sempre riservata alla scambio di caldi e cordiali saluti, alla premurosa informazione delle rispettive condizioni di salute

L’occidentale usanza di ’”andare dritti al sodo senza perdersi in convenevoli” e’ considerato dai Sauditi estremamente rude e maleducato.



d. Ospitalità

E’ probabilmente la più evidente qualità dei Sauditi. Non e’ soltanto un’ opportuna manifestazione di cortesia o di buona educazione: e’ dovere sacro, violando il quale si disonora se stessi, la famiglia e la tribù di appartenenza.

Per capire pienamente tale caratteristica occorre sempre ricordare come la maggioranza dei Sauditi vivesse un’esistenza nomade sino a una o due generazioni orsono. Nel mondo beduino ogni raro incontro tra tribù o viandanti in movimento nel deserto costituiva un evento da celebrare ed onorare ed un’occasione per scambiarsi racconti ed informazioni.

Come allora, anche oggi, all’inizio di un incontro, qualunque sia il luogo o il livello del cerimoniale, viene sempre servito il caffè “arabo”, bevanda tradizionale saudita, caratterizzata dall’ essenza di cardamomo,. Normalmente gli addetti alla distribuzione agiscono a riunione o cerimonia già in corso.

E’ sconveniente sia rifiutarlo, sia berne più di due tazze. Come anticamente nelle tende desertiche, quando non se ne vuole più occorre restituire la tazza al servente agitandola lateralmente (...l’esprimere il rifiuto a voce avrebbe disturbato l’ospite che narrava).

I Sauditi, agiati e non, sovente consumano i pasti seduti per terra, con le gambe incrociate e scalzi, intorno ad un grande tappeto su cui sono disseminati grandi vassoi con le pietanze. Normalmente non si usano posate, ma le mani.

Occorre, nel caso, adeguarsi a tale uso. Non mostrare sorpresa o contrarietà se il padrone di casa porge direttamente all’ospite il cibo con le proprie mani. E’ ritenuto un atto di squisita cortesia attraverso il quale si porge all’ospite una porzione particolarmente prelibata.

Altro aspetto che sorprenderà un Occidentale e’ il fatto che appena finito di mangiare, tutti i commensali tornano alle proprie case.

La conversazione del dopocena non esiste o e’ ridotta al minimo. Per i Sauditi la fine del pasto conclude la serata.



3. MANIFESTAZIONI SOCIALI PIU’ USUALI

La vita sociale si svolge soprattutto nelle case private e negli alberghi. Non esistono cinema, teatri, discoteche e circoli ricreativi; i circoli sportivi sono riservati ai soli uomini. Sono assolutamente vietati alcolici e carne di maiale. E’ possibile ed opportuno riunire persone appartenenti a gruppi etnici e religiosi diversi, a meno che essi non appartengano a Paesi tra cui esiste uno stato conflittuale. Molto utile coltivare amicizie saudite anche se ciò presenta notevoli difficoltà: il saudita medio, infatti, ha un temperamento chiuso e sospettoso.



4. COSE DA FARE

La vita quotidiana del paese e’ fortemente condizionata dagli stretti dettami della religione islamica. E’ pertanto necessario tenere conto di alcune norme di comportamento che, qualora non osservate, potrebbero generare incidenti con gli agenti della polizia religiosa “Presidenza per la promozione della virtù e la repressione del vizio” (comunemente denominati “Mutawa” )

In una società cosi’ ancorata alle tradizioni ed attenta a rispettarle, e’ molto importante non urtare la suscettibilità degli abitanti violandone regole o offendendone i costumi

Molte delle regole che seguono fanno parte anche della buona cortesia “occidentale”. Si ritiene opportuno comunque ripeterle per l’importanza che essere rivestono.



Si riportano di seguito alcune delle più importanti di tali norme:



a. Divieti per le donne

La donna, anche se occidentale:

- non può guidare l’automobile (e’ vietato per legge);

- deve evitare di accompagnarsi con un uomo che non sia marito, padre, fratello o figlio;

- nei luoghi pubblici, sopra i vestiti, deve indossare un leggero mantello nero chiamato “abbaya” che la copre dal collo alle caviglie. E’ inoltre opportuno che porti un velo in testa o, quantomeno, ne abbia sempre uno con se’ da indossare su richiesta dei “mutawa”;

- non deve fumare nei luoghi pubblici;

- non puo’ accedere negli esercizi pubblici che espongano il relativo avviso (barbieri, negozi musicali e di materiale informatico);

- nei ristoranti e nei posti di ristoro (non esistono bar secondo il significato occidentale) vi sono due aree: una per gli uomini soli ed un’altra per le famiglie; bisogna attenersi alla regola.

Le suddette regole diventano meno rigide (ma esiste sempre il rischio di incontrare fanatici “mutawa”) nei trasferimenti in auto da casa privata a casa privata o a luogo con copertura diplomatica



b. Usare le parole arabe conosciute

La conoscenza della lingua inglese e’ molto diffusa nel Regno. Con l’eccezione degli anziani delle classi sociali più basse, quasi tutti i sauditi sono in grado di comprendere e farsi comprendere in inglese. Ciò non toglie pero’ che essi apprezzino grandemente gli sforzi compiuti dagli ospiti stranieri per riuscire a parlare la loro lingua, anche se per pronunciare poche rituali espressioni o parole.

c. Conoscere la storia dell’Islam

Con i conoscenti occidentali i Sauditi amano parlare di argomenti religiosi, soprattutto sulle differenze ed analogie tra Islam e Cristianesimo. Piu’ quindi si conosce dell’Islam, più facile sarà la conversazione, da condurre attentamente su un piano di assoluto rispetto per l’altrui credo.

. Dimostrare ospitalità

A casa o al lavoro, appena dopo il suo arrivo, e’ tassativo offrire al Saudita una bevanda (tea, caffè, bibita).

Molto apprezzato, trovandosi a contatto con altre persone, offrire una sigaretta ai presenti, anche se non conosciuti, quando si abbia voglia di fumare.



e. Cedere il passo

Entrando in macchina, dovendo passare per una porta, unendosi ad una coda, invitare sempre il saudita a passare per primo. Sicuramente il Saudita non accetterà, pregando a sua volta l’interlocutore di precederlo, ma resterà favorevolmente impressionato dal gesto di cortesia.



f. Pagare quando si invita

Non e’ tanto inusuale per gli Italiani, quanto per molti altri Occidentali.

Nel mondo arabo non esiste il “ognuno paga per se”. Chi estende l’invito si assume automaticamente l’onere di regolare il conto.



g. Abbondare con le pietanze.

Quando un saudita invita ospiti nella propria casa prepara molto più cibo di quanto necessario, quale segno di generosità ed ospitalità.

E’ opportuno un comportamento analogo quando si decida di restituire l’invito.



h. Vestire castigati

E’ sempre opportuno che gli uomini indossino, anche in versione “very casual”, pantaloni lunghi e camicie/magliette con maniche lunghe. Da evitare gioielli che non siano anelli ed orologi.

Quando in giro per la città’, le donne devono sempre indossare l’ “abbaya”, mantello nero che le copre dal collo ai piedi ed avere a portata di mano un velo per coprire il capo, da utilizzare in caso di specifica richiesta da parte della polizia religiosa (mutawa).

E’ vietato alle donne fumare in pubblico.

i. Sedere correttamente

Quando seduti e’ considerato estremamente irrispettoso rivolgere la suola delle scarpe verso altri ospiti o interlocutori.

Le donne non scoprano mai le gambe, neanche al di sotto delle ginocchia.

l. Rispettare i doveri religiosi islamici

L’Islam prescrive che i fedeli preghino cinque volte nel corso della giornata. A parte quella notturna, le altre quattro preghiere si collocano temporalmente in pieno orario di lavoro e di apertura dei negozi.

Ebbene in Arabia Saudita, cosa che non avviene in altri Paesi islamici, tutte le attività professionali, anche quelle governative, vengono sospese nei periodi di preghiera.

Chiudono anche i negozi. E’ necessario quindi programmare lo shopping sulla base dei previsti orari di chiusura temporanea dei negozi, e non. rivelare alcuna contrarieta’ se invitati ad uscire a causa di detta chiusura.



6. COSE DA NON FARE

a. Non tentare di entrare nelle città’ sante di Medina e Mecca.

L’accesso e’ rigorosamente vietato ai non musulmani.



b. Non entrare nelle moschee.

In alcuni Paesi musulmani l’accesso a scopi turistici nelle moschee e’ consentito, non in Arabia Saudita.

Se eccezionalmente invitati a farlo da qualche Autorita’ saudita, aver cura di togliersi le scarpe prima di entrare



c. Non mangiare, bere o fumare in pubblico durante il Ramadan.

Sarebbe scorretto violare norme osservate rigorosamente dai Sauditi

In tale periodo, aumentando i controlli da parte della polizia religiosa e gli interventi repressivi verso i comportamenti contrari all’Islam, e’ consigliabile che in pubblico le donne occidentali tengano coperto anche il capo.



d. Non coinvolgere i Sauditi in discussioni di natura politica.

Né criticare il locale sistema sociale-politico o il comportamento della famiglia reale.



e. Non accettare o offrire cibo o bevande con la mano sinistra

Nel Medio Oriente la mano sinistra e’ usata esclusivamente per l’igiene del corpo. Porgerla ad un Saudita vuol dire offenderlo.

L’essere mancini non esenta da tale regola: occorre fare attenzione ed attenersi alle regole.



f. Non mostrare mai fretta

Quando con un Saudita, mai guardare l’orologio con impazienza o, in ogni caso, comportarsi come se si avesse poco tempo per trattenersi o discutere.

Peraltro gli orari in Arabia non sono rigidi: ci sono quindi meno motivi per avere fretta.



g. Non “provocare” regali

Non mostrare particolare interesse per oggetti che appartengono a Sauditi.

Se si esagera nei complimenti e nelle manifestazioni di ammirazione si mettera’ in imbarazzo il proprietario dell’oggetto, facendolo sentire obbligato, in ossequio ad una antica tradizione, a regalarlo o al momento o in tempi successivi.



h. Non mostrare in pubblico interesse per donne (sposate e non)

E’ un atteggiamento ritenuto dai Sauditi inaccettabile.

Persino se ospiti di un conoscente saudita, mai chiedere o mostrare interesse (anche in buona fede) verso le componenti femminili della famiglia, che peraltro capitera’ raramente di incontrare. In ogni caso: non parlare loro, non fissarle, non fotografarle, mai cercare di allacciare una conoscenza.

Un uomo deve astenersi dall’inviare fiori ad una donna saudita.

Da precisare che le relazioni sessuali extraconiugali sono in Arabia saudita contro la legge, e prevedono tuttora pene severissime (lapidazione per la donna).

Anche se si estende un invito ad un saudita, mai aspettarsi che egli venga a casa accompagnato dalla consorte.

Solo in casi rarissimi, se la coppia saudita e’ vissuta molto all’estero acquisendone i costumi, la moglie accompagnera’ il marito.

Non sorprendersi se si vedono giovani sauditi tenersi per mano. E’ solo una dimostrazione di grande amicizia.



i. Non fotografare persone senza il loro permesso

Evitare di fotografare qualsiasi cosa in luogo pubblico, specialmente se vi sono donne.



l. Non fotografare istallazioni militari

Sono considerate tali anche gli aeroporti civili e gli edifici governativi.



m. Non invitare l’ospite saudita a togliere il tradizionale copricapo.

Egli considera il “ghutra” parte integrante della persona. Se ne priva solo quando si sveste.



n. In pubblico non mostrare collera, ne’ bestemmiare.

La blasfemia’ prevede la galera.



o. Contenere in pubblico manifestazioni di esuberanza o di gioia.

I Sauditi non concepiscono atteggiamenti teatrali, plateali e rumorosi



p .Non toccare cani in presenza di Sauditi

I cani sono considerati animali impuri. Si rischierebbe di non vedersi corrispondere una stretta di mano.



q. Non passare davanti a fedeli in preghiera

Ne’ calpestare un tappeto da preghiera.



r. Non puntare un dito o una penna verso chiunque

E’ una grave mancanza di rispetto. Lo si fa solo verso gli animali.



s. Mai rivolgersi a Sauditi con “nicknames”, soprannomi, vezzeggiativi

Neanche scherzando.



t. Non interporsi tra Sauditi che discutono o litigano

Non intromettersi in fatti di sangue o incidenti stradali: potrebbero seguire complicazioni.



5. NOTIZIE UTILI

a. Culto religioso

Religione ufficiale (ed unica) e’ l’Islam. E’ assolutamente vietata la pratica di altre religioni. Chi infrange detta regola, nella migliore delle ipotesi, viene espulso dal Regno.

b. Clima

A Riad il clima e’ caldissimo ed arido da marzo a novembre (con temperature max oscillanti tra 40-50 gradi C. e minime oscillanti tra 30-35 C.). Da dicembre a febbraio e’ fresco ( intorno ai 25 C. durante il giorno e intorno ai 10-15 C. dopo il tramonto). Non e’ tuttavia raro che la temperatura possa, per brevi periodi, attestarsi su valori decisamente piu’ bassi ( 10-15 C di giorno, 5 C di notte ).



c. Spostamenti nel Regno

L’autovettura e’ il principale mezzo di trasporto e le distanze urbane sono tali da richiederne l’uso per ogni esigenza di spostamento. Se sprovvisti di autorizzazione alla guida locale (prevista solo per i residenti ed il personale comunque provvisto di ‘IQAMA “), e’ richiesta la patente internazionale.

Rispetto ad altri Paesi arabi la circolazione e’ tutto sommato fluida e regolare, anche grazie all’azione preventiva e repressiva svolta dalle forze dell’ordine.. Le pene sono severe. Passare con il rosso, ad esempio, può comportare alcuni giorni di prigione.

Un automobilista abituato alla circolazione in Italia, una volta preso atto dello stile di guida saudita ( non sempre ortodosso ), non avrà problemi a sentirsi a suo agio nelle strade saudite.

Non esistono problemi di parcheggio

Autostrade comode e larghe collegano le maggiori città’.

Le escursioni nel deserto richiedono un fuoristrada. E’ d’obbligo aiutare altri escursionisti eventualmente in difficoltà.

Nei lunghi trasferimenti avere sempre almeno meta’ serbatoio pieno. I distributori di benzina sono infatti distribuiti in maniera irregolare lungo le principali arterie, a volte in rapida successione, altre volte estremamente diradati.

Tutte le principali città’ sono collegate da voli domestici della Saudia Airlines, compagnia di bandiera saudita , decisamente efficiente e, rispetto agli standard europei, relativamente economica.


d. Valuta

La moneta ufficiale e’ il Reale Saudita, legato al dollaro da cambio fisso: 1 $ = 3,75 Reali Sauditi.


e. Orario

La differenza di orario e’ di + 2 ore rispetto a Roma. La differenza diventa di + 1 ora quando in Italia e’ in vigore l’ora legale.



f. Telefono

Comunicazioni dall’Italia :

comporre codice Arabia Saudita (00966) + codice Riad (1) + numero utente.

Comporre codice Arabia Saudita (00966) + numero cellulare senza zero.



Comunicazioni dall’Arabia Saudita:

comporre codice Italia 0039 + prefisso citta’ italiana con lo zero + numero utente.

Se la telefonata e’ indirizzata verso un cellulare:

comporre codice Italia 0039 + numero cellulare senza lo zero + numero utente.



Comunicazioni interne (in Arabia Saudita):

- Chiamate da telefono fisso a cellulare o fra cellulari: comporre il numero;

- Chiamate da cellulare a rete fissa : Anteporre sempre lo “0” e ” l’area code”

es. 01-4881924

Nel Regno e’ possibile l’uso del cellulare con contratto italiano.

sabato 28 maggio 2011

Turchia Convegno Novembre 2011

La Società Geografica Italiana,

ha il piacere di inviarLe in allegato la call for papers per l'importante convegno internazionale che si terrà a Istanbul dal 22 al 25 novembre 2011, dal titolo Culturale Heritage - Istanbul 2011. Science and Technology for the Safeguard of Cultural Heritage in the Mediterranean Basin. La Società Geografica, infatti, all'interno dell'evento organizza e coordina una parte della Sessione dedicata ai Museums projects & benefits, che avrà come titolo Museums Projects among Tourism, Local Systems and International Networks for the Mediterranean Heritage. A Geographical Debate.
Si ricorda, come menzionato all'interno, che la scadenza per la presentazione degli abstract alla coordinatrice scientifica, prof.ssa Fiorella Dallari, è fissata al 20 giugno p.v. Nell'allegato, si troveranno tutte le specifiche del caso.

Nella speranza di aver fatto cosa gradita, si porgono cordiali saluti,

Simone Bozzato
Segretario generale della Società Geografica Italiana

mercoledì 4 maggio 2011

IRAN

L’Iran nella scacchiera internazionale: funzionalità al sistema o elemento deviante?

Maurizio Cocianch


1. Premessa

Il ruolo del processo democratico interno all’Iran è una chiave di lettura di centrale importanza per l’analisi e la pianificazione della politica estera di molti importanti attori dello scenario internazionale.

Gli Stati Uniti, Israele, l’Unione Europea, la Cina e la Russia sono coinvolti in un processo a diversi livelli che si prefigge come obiettivo il blocco della proliferazione nucleare a fini bellici in Iran. La complessità del proposito si evidenzia nella difficoltà che si incontra nel trovare un accordo strategico che possa permettere all’Iran di ottenere i suoi obiettivi strategici ed alle potenze occidentali di evitare una deviazione dal Trattato di Non Proliferazione. Il mancato rispetto da parte dell’Iran del TNP andrebbe sicuramente a significare la proliferazione di armi nucleari.

Gli interessi in gioco dei diversi attori coinvolti sono molteplici. La Russia, l’India e la Cina hanno goduto in modo diverso di questa instabilità andando a rafforzare la loro posizione energetica a livello globale ed assicurandosi rapporti privilegiati con la seconda riserva mondiale di gas ed uno dei più grossi produttori di petrolio del pianeta. Gli Stati Uniti manifestano un maggiore interesse nella stabilità regionale e nella tutela del TNP. Israele mantiene le distanze in quanto si sente minacciato direttamente dall’Iran nucleare. L’Europa non unita vuole affermarsi come attore globale mediate la risoluzione della crisi. Sul tavolo ci sono troppi attori e l’unico che beneficia di questa situazione è il regime iraniano che può sfruttare l’incertezza nella mediazione e le diverse posizioni dei mediatori.

Una cosa è sicura, la deviazione dell’Iran dalle disposizioni dal TNP comporterebbe ulteriori tensioni nel quadrante mediorientale, che potrebbero sfociare anche in azioni militari dirette verso gli impianti di arricchimento dell’uranio localizzati sul territorio iraniano e nel suo sottosuolo.

L’azione militare sarebbe un fallimento per tutti. Il processo di cambiamento interno subirebbe un arresto immediato a fronte di un compattamento sulle posizioni di regime. L’instabilità nel quadrante sarebbe alimentata dal nazionalismo iraniano e nello scenario in cui si entrerebbe le soluzioni sarebbero ancora più complesse e dolorose.

La comprensione delle modalità evolutive della società iraniana diventa sempre più importante in un contesto dove il compromesso sembra sempre più difficile.





2. Il rafforzamento della democrazia e l’inserimento nei processi di globalizzazione: una soluzione possibile

Le evoluzioni interne alla Repubblica islamica andranno ad influenzare pesantemente lo scenario internazionale. Si può prevedere che l’orientamento di politica internazionale dell’Iran andrà a modificarsi nel medio periodo in quanto la maggioranza della popolazione, composta da giovani con meno di trent’anni, manifesta una forte insoddisfazione nei confronti dello Stato e delle istituzioni. Questa insoddisfazione e la mancanza di libertà potrebbero portare ad un soft regime change, e, quindi, all’avvicinamento dell’Iran alla comunità internazionale ed alle sue regole.

L’Iran è pervaso da un forte nazionalismo e le metodologie di approccio che hanno gli altri Stati nel processo di mediazione ne dovrebbero tener debitamente conto. Inoltre, la popolazione ha un’accentuata sensibilità verso gli stimoli esterni e le pressioni mediatiche a cui viene sottoposta. Per questa ragione le azioni intraprese nel processo di mediazione devono essere calibrate in modo da non alimentare il fuoco della Repubblica islamica, permettendo all’attuale regime di mantenersi in vita mediante la strumentalizzazione della percezione di pericolo esterno e della volontà di potenza regionale.

In questo momento si sta assistendo chiaramente ad un processo di rivoluzione sociale. Una tipologia di rivoluzione sicuramente con effetti a lungo termine, che è caratterizzata dall’apparente immobilità ma che a seguito di stress esterni potrebbe accelerare, o deviare, il suo processo. Questa lentezza nel cambiamento è frustrante soprattutto per la giovane popolazione iraniana, in quanto il bisogno di cambiamenti viene avvertito ma vi è al contempo il forte nazionalismo che mantiene la situazione stabile.

Il processo di globalizzazione alimenta in modo diretto il processo di cambiamento all’interno della Repubblica islamica. Questo processo risente delle azioni della comunità internazionale e può essere sicuramente accelerato e “guidato” dai Paesi interessati alla stabilità nella regione mediorientale. Diverse sono le tipologie di azioni intraprese per alimentare il processo di cambiamento all’interno dell’Iran, soprattutto da parte degli Stati Uniti. Anche non disponendo dello strumento diplomatico, gli USA sono attivamente coinvolti in processi mediatici e di finanziamento delle opposizioni all’interno del Paese. Si corre il rischio che delle azioni troppo spinte possano influenzare negativamente l’opinione pubblica e produrre effetti indesiderati. Data la composizione della popolazione e la potenzialità economica dell’Iran si dovrebbe agire sul medio periodo, andando ad implementare azioni informative e di sussidio verso i giovani in modo che questi diventino sempre più partecipi del processo di globalizzazione culturale e quindi riuscire a far loro condividere i valori basilari delle nostre democrazie, come la uguaglianza e la libertà.

1.1 Conflittualità esplicita con gli Stati Uniti

La difficoltà di rapporti esistente tra Stati Uniti ed Iran è cosa nota. Da entrambe le parti non vi sono segnali, o sono molto deboli, che permettano di stabilire quando potrà riprendere un rapporto diplomatico e commerciale tra i due Paesi.

Da parte dell’Iran, o meglio dalla parte integralista della popolazione, gli Stati Uniti incarnano il concetto di “Grande Satana”. I principi occidentali sono visti come pericolosi per il mondo islamico e per il Paese, il materialismo e la corruzione sono nemici da combattere. Le manifestazioni nei confronti del nemico statunitense sono frequenti ma, seguendo un approccio realista, non sembra possibile che l’Iran adotti una politica aggressiva verso gli Stati Uniti. I decisori politici, e Khamenei in particolare, sono consci delle ripercussioni che il suo Paese subirebbe in caso di aggressività.

Da parte statunitense sono stati numerosi i segnali che hanno permesso di comprendere l’atteggiamento del presidente Bush nei confronti dell’Iran. Fin dal discorso d’inaugurazione dei suoi quattro anni di presidenza ha inserito l’Iran nell’”asse del male” assieme all’Iraq ed alla Corea del Nord.

Vari sono stati i richiami al ruolo della Repubblica islamica nel sostegno al terrorismo e alla sua volontà di sviluppare programmi missilistici e nucleari, corroborati dalla notizia che l’Ucraina ha venduto all’Iran 12 missili Cruise destinati al trasporto di testate nucleari con portata di 3000 chilometri . Questi missili sarebbero in grado di colpire obiettivi strategici per l’Iran come ad esempio Israele.

Come molti analisti rilevano da parte americana si rischia di avere una conoscenza approssimativa della realtà politica interna all’Iran, e si correre il rischio d’interpretazioni non precise della reale situazione. Questa mancanza d’informazioni e di filtri empatici è data principalmente dalla mancanza di rapporti diplomatici e commerciali tra i due Paesi. Le percezioni sono mediate da seconde o terze parti che non fanno altro che alimentare i pregiudizi già esistenti .

Se non fosse per la posizione geopolitica del Paese e per la scarsa fiducia che nutrono gli Stati Uniti nei confronti del suo governo teocratico la posizione dell’Iran non dovrebbe destare alcuna preoccupazione.

L’Iran però si trova al confine con un Iraq non stabile ed in una regione dove la tensione tra Israele e Palestina è ancora al livello di guardia. Dopo l’elezione di Hamas le problematiche sembra si stiano accentuando anche a causa degli attacchi mirati che Israele continua a portare a termine contro i vertici dell’organizzazione palestinese ora al potere.

Israele non è un Paese riconosciuto dalla Repubblica Islamica e più volte si è manifestato, perlopiù sotto forma di slogan politico, la volontà di “cancellarlo dalle carte geografiche”. Tesi avvalorata dalle dichiarazioni di un alto funzionario che ha detto: “noi non useremo mai armi nucleari contro stati membri dell’Onu. La frase, posso assicurare, non è stata scelta a caso. Avremmo potuto dire “contro altri stati”. Così dal momento che l’Iran non riconosce l’entità sionista come uno stato, Israele sarebbe rimasto fuori da questa solenne promessa. Invece non l’abbiamo fatto. Devo aggiungere altro?” .

Gli Stati Uniti provano nei confronti dell’Iran una sensazione di pericolo e di incertezza e, come più volte manifestato dallo stesso Presidente Bush, non si escluse che gli stessi possano intervenire militarmente se il processo diplomatico e le sanzioni economiche dovessero fallire.

La richiesta di stanziamenti al Congresso da parte del Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld per un ordigno nucleare a speciale penetrazione, adatto alla distruzione di impianti e basi sotterranee, lascia presagire la preparazione ad un eventuale attacco preventivo alle facilities nucleari nascoste, che gli americani presumono esistere .

In tutti i casi il governo americano sta studiando le possibili modalità di intervento per “facilitare” un cambio di governo a Teheran.

Anche Israele ha più volte fatto intendere che un attacco preventivo alle strutture nucleari è possibile, una possibilità che è ancora più evidente dopo l’acquisto da parte israeliana di 6 bombe convenzionali con forte potere di penetrazione ed alcune migliaia di bombe da aereo ad alta precisione .

Risulta ben noto che ci sono movimenti, anche se limitati, all’interno di Israele e Stati Uniti a favore di un attacco preventivo nei confronti dell’Iran nel caso in cui le poco efficaci, sempre secondo queste correnti di pensiero, politiche diplomatiche europee non andassero a buon fine .

1.2 L’intesa a tre europea ed il ruolo dell’Italia

L’Italia nel tavolo delle trattative tra Iran ed Europa per quanto riguarda la questione nucleare risulta assente, e non per sua volontà. Nonostante gli interessi economici e geopolitici che la nostra nazione possiede nei confronti dell’Iran è stata esclusa dal gruppo leader, un Direttorio a tre composto da Francia, Gran Bretagna e Germania. Questo può essere considerato un vero e proprio “declassamento” dell’Italia nello scenario politico europeo .

Il Direttorio europeo, o come più diffusamente chiamato in gergo diplomatico EU 3 o UE 3, si è manifestato per la seconda volta con la missione nell’ottobre 2003 da parte dei Ministri degli Esteri Dominique de Villepin, Joschka Fischer e Jack Straw a Teheran per l’inizio dei negoziati che li vedrà impegnati nel tentativo di frenare le ambizioni nucleari iraniane.

La volontà di avere un programma nucleare, dichiaratamente per scopi civili, crea forti preoccupazioni in seno agli Stati Uniti, all’Unione Europea ed all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), organismo facente parte delle Nazioni Unite.

Il gruppo EU 3 si è proposto di intervenire direttamente tramite un approccio diplomatico per attuare un’intermediazione tra la volontà e gli interessi europei e statunitensi e le legittime rivendicazioni nucleari iraniane.

L’Iran è un firmatario del trattato TNP, il che gli consente l’attuazione di una legittima politica nucleare per fini civili, che comprende anche il processo di arricchimento dell’uranio.

Altri incontri, però a livello diplomatico, sono seguiti a quelli dell’ottobre 2003 a Teheran. Nel luglio e nel settembre 2004 la Francia, la Gran Bretagna e la Germania hanno cercato di imporre gli accordi stipulati nel precedente incontro.

L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea Javier Solana ha partecipato all’incontro successivo tenutosi nel novembre 2004 a Parigi, legittimando in un certo qual modo il gruppo d’intervento EU 3.

Alla fine di questi incontri è stata presentata all’AIEA una proposta di accordo con l’Iran che prevedeva la sospensione temporanea dell’arricchimento dell’uranio tramite impianti di centrifugazione. Questo accordo ha bloccato il deferimento da parte dell’AIEA al Consiglio di sicurezza dell’ONU della politica nucleare iraniana, come più volte sollecitato dagli Stati Uniti. In questo caso sarebbe in ogni modo stato probabile il veto da parte della Cina e della Russia, visti i loro interessi diretti dal punto di vista energetico e strategico, per le eventuali sanzioni economiche.

Naturalmente l’Iran pretende delle contropartite reali da parte europea , e non solo, per la sua collaborazione in campo della non proliferazione. A maggior ragione del fatto che può rivendicare la piena legittimità del processo di arricchimento dell’uranio secondo i trattati TNP. La discussione su queste contropartite è iniziata a Parigi il 12 dicembre 2004 tra i Ministri degli Esteri del Direttorio.

Grazie alla sospensione temporanea delle sue attività di arricchimento l’Iran ha ottenuto l’inizio da parte della Commissione europea delle trattative per un accordo di commercio e di cooperazione.

Gli Stati Uniti si sono resi disponibili a mettere a disposizione degli incentivi economici in cambio della rinuncia dell’Iran al suo programma nucleare, dimostrando il supporto, almeno a parole, all’intervento diplomatico europeo. La contropartita chiesta dagli americani all’EU 3 è stato l’impegno di deferire l’Iran al Consiglio di Sicurezza se Teheran dovesse continuare ad opporsi alla rinuncia totale dell’arricchimento dell’uranio.

1.3 Il ruolo di Mosca

Un attore che potrebbe avere un ruolo cruciale nella partita tra Occidente ed Iran è sicuramente la Russia.

Gli interessi economici e strategici che la legano al più importante Paese del Medio Oriente sono molteplici, vanno dal petrolio agli accordi energetici. Una commistione che potrebbe agevolare l’adeguamento della politica nucleare iraniana ai requisiti richiesti dagli Stati Uniti e dall’Europa per abbassare la soglia di rischio percepita in questo momento.

Gli atteggiamenti di Mosca rimangono comunque ambigui. Dalle dichiarazioni di Putin dopo l’incontro con Bush a Bratislava il 24 febbraio 2004 si è inteso che la Russia fosse allineata con le vedute statunitensi per quanto riguarda la proliferazione di armi nucleari. Ma al contempo è chiaro che non crede possibile, o intende farlo capire, che l’Iran possa sviluppare tecnologie nucleari militari dall’esperienza nucleare civile. La costruzione di una centrale nucleare per la produzione elettrica, che sarà operativa nel 2006, non viene ritenuta prodromo di una proliferazione successiva. Nella costruzione della centrale la Russia è uno dei maggiori interessati, in quanto fornisce sia la tecnologia che presumibilmente, se il processo di arricchimento dell’uranio verrà bloccato, anche il combustibile fissile.

Questa collaborazione economica è stata sancita anche da un discorso di Putin a seguito di un incontro con il Capo del Consiglio di Sicurezza iraniano Rowani, avvenuto nel febbraio 2005, dove ha dichiarato esplicitamente: “Le recenti iniziative di Teheran ci hanno convinto che l’Iran non ha intenzione di produrre l’arma atomica. Su questa base proseguiremo la cooperazione bilaterale in tutti i settori, compreso quello dell’energia nucleare” .





1.4 I difficili rapporti di “vicinato” con Israele

Dopo che il 26 ottobre 2005 il neopresidente Mahmud Ahmadi-Nejad ha pronunciato ad un congresso dedicato al sionismo la frase che “Israele va cancellato dalla carta geografica” il mondo si è ricordato che tra Israele ed Iran esiste una conflittualità radicata.

Il rapporto di tensione tra Israele e l’Iran ha raggiunto oggi il suo apice e vi è un reale rischio per gli equilibri della regione derivante dalla possibili evoluzioni di questa difficile “vicinanza” tra una potenza nucleare, o presunta tale, ed una con un processo nucleare in elaborazione.

Israele innanzi tutto non è riconosciuto come Stato legittimo da parte della Repubblica Islamica, e non sono nuove dichiarazioni di questo tipo nei confronti dello Stato ebraico. L’ayatollah Khomeini ha iniziato ad utilizzare questa dialettica di tensione fin dal 1979, riconoscendo in Israele un nemico, più virtuale che reale, da combattere e per cui coalizzare le forze sociali interne.

Ma il sentimento anti-sionista era già presente nella popolazione iraniana durante il periodo dello scià. Attualmente la percezione di questo problema da parte della popolazione sta cambiando. Il cittadino medio solidarizza ancora con il popolo palestinese ma non crede sia più il caso di avere un coinvolgimento diretto dell’Iran nel conflitto come avveniva in passato .

Non pochi problemi crea questo mancato riconoscimento di Israele e, soprattutto, il supporto ad organizzazioni terroristiche operanti in Palestina per la liberazione dall’”invasore” ebraico. Le formazioni terroristiche appartenenti alla jihad, come Hezbollah, hanno da sempre fatto riferimento per quanto riguarda la formazione ed il finanziamento all’Iran. Finché non ci sarà un riconoscimento di Israele sicuramente il processo di pace con i palestinesi sarà più difficile.

Lo Stato israeliano si sente fortemente minacciato dalla volontà di potenza nucleare dell’Iran e dall’implementazione di sistemi d’arma missilistici in grado di colpire il suo territorio . In varie occasioni, e l’ultima il 5 dicembre 2005, Israele si è dichiarato favorevole ad un attacco preventivo su Teheran e le sue centrali nucleari.

La volontà espressa di costruire un secondo impianto nucleare ha nuovamente posto la questione di un attacco preventivo, una posizione che è stata espressa anche dall’ex primo ministro Benjamin Netaniahu .

Dopo il crollo del regime iracheno l’Iran ed Israele si sono ritrovati nella posizione di uniche potenze regionali, in concorrenza tra loro per ottenere la leadership. Comunque, Israele non è disposta ad attuare una politica di equilibrio di potenza con Teheran, e quindi è probabile un attacco preventivo per evitare la costruzione di assetti nucleari. Non è pensabile che la situazione si risolva tramite rapporti diplomatici diretti, l’unica soluzione prospettabile è tramite la mediazione dell’EU 3 o di Mosca per il raggiungimento di un equilibrio.

2 SCENARI POSSIBILI

2.1 Proliferazione senza attacco

Uno dei tre scenari che si ritiene più probabili è quello dove l’Iran riesce a perseguire una politica di proliferazione delle armi nucleari senza subire attacchi alle infrastrutture atte alla produzione degli armamenti o del combustibile fissile.

Non è ipotizzabile che l’Iran dichiari apertamente la volontà di perseguire tali politiche. E’ invece molto probabile che segua l’esempio di Paesi come l’India ed il Pakistan, che sono arrivati all’arma nucleare senza dichiararlo esplicitamente ma facendolo percepire solo attraverso i test nucleari effettuati alla fine degli anni ’90.

Per perseguire la costruzione di armamenti nucleari l’Iran non potrebbe dare l’accesso all’AIEA per i controlli sulle centrali e sulle basi dedicate. Si creerebbe una conflittualità con questo organismo internazionale che farebbe immediatamente risaltare la volontà, anche se non esplicitata, di costruire armamenti nucleari.

In questa tipologia di scenario si immagina che Israele non attacchi l’Iran in quanto valuti questo attacco pericoloso per la radioattività emessa nella regione e per l’inefficacia dello stesso.

Questo tipo di scenario è quello meno probabile, anche alla luce delle ultime dichiarazioni di Israele e dalle reazioni passate a volontà di proliferazione in Iraq.

Se però questo si avverasse, per l’Iran sarebbe una vittoria strategica in quanto riuscirebbe a far parte del “club nucleare” aumentando la percezione di sicurezza e creando un fattore aggregante a sostegno dell’attuale governo, che sarebbe visto dalla popolazione come forte a livello internazionale.

2.2 Proliferazione con attacco israeliano

Questo scenario acquista consistenza in questo periodo grazie alle dichiarazioni fatte dal governo israeliano di voler “prevenire” una proliferazione nucleare iraniana. Questa risulta essere una minaccia credibile ed il comportamento dell’Iran sembra non valutarla in modo troppo negativo. Infatti ci sono state dichiarazioni di voler perseguire la politica nucleare civile con la costruzione di una seconda centrale attiva dopo Bushehr entro il 2006. Contemporaneamente si è però cercato di riattivare il processo di mediazione europeo per creare una sorta di bilanciamento dei rischi. La tensione che si sta creando però potrebbe essere eccessiva per la sensibilità israeliana, che potrebbe non tener conto del processo di mediazione ed attaccare comunque.

Un attacco israeliano potrebbe avere un effetto positivo per il governo iraniano in quanto prenderebbe ancora più consistenza la figura del nemico, necessaria per ottenere il supporto popolare, e quindi il “sacrificio”, al perseguimento della politica nucleare bellica. Questa verrebbe fatta percepire come indispensabile alla sicurezza del Paese e quindi un sacrificio economico maggior da parte della popolazione verrebbe accettato.

Non è prospettabile che si blocchi la volontà di perseguire l’arma nucleare in quanto le basi a disposizione per le ricerche sono difficilmente individuabili ed il programma di ricerca è già in stato avanzato.

Un attacco israeliano avrebbe un effetto negativo sull’equilibrio mediorientale e sul processo di democratizzazione iraniano. Si darebbe consistenza e legittimità al governo attuale, bloccando tutte le correnti democratiche.



2.3 Non proliferazione grazie alla mediazione del gruppo EU 3 supportato da Mosca

La soluzione che prevede la mediazione del “Direttorio” europeo, supportato ed in coordinazione con la Russia, è la soluzione che si ritiene possa portare ai migliori risultati per quanto concerne la transizione democratica iraniana ed il processo di stabilità.

Probabilmente anche dopo adeguati incentivi economici e l’accettazione formale di un accordo di non proliferazione l’Iran potrebbe perseguire comunque la volontà nucleare.

Il vantaggio sarebbe duplice, innanzitutto godrebbe dei forti incentivi economici che l’Europa e la Russia sono disposti a mettere a disposizione per la stabilità, poi l’Iran riuscirebbe comunque a raggiungere lo status di potenza regionale. La violazione degli accordi e quindi la devianza è difficilmente controllabile, sono necessari strumenti di incentivazione e di controllo molto complessi e condivisi con il governo iraniano.

Anche in questo scenario la posizione del governo sarebbe vincente, le sanzioni alle quali potrebbe venir sottoposto dopo l’accertamento del possesso delle armi nucleari sarebbe insufficiente e senza possibilità di poter modificare la situazione in essere.

Oltretutto le sanzioni potrebbero avere effetti degenerativi per il mercato petrolifero e quindi anche per l’Occidente ed i Pesi consumatori, un’arma a doppio taglio con la quale non si vuole rischiare.

CONCLUSIONI

Con la volontà da parte dell’Iran di acquisire armamenti nucleari, la possibilità di un attacco da parte di Israele o da parte degli Stati Uniti, dotati di maggiori capacità tecnologiche, appare meno remoto. Soprattutto se il processo di mediazione dovesse fallire e quindi non si riuscisse, mediante incentivi economici e di sicurezza, ad incanalare l’Iran verso un processo di non proliferazione, anche all’interno di uno sviluppo di tecnologie nucleari civili per la produzione di energia. Quest’opzione non avrà risultati benefici sulla situazione nel suo complesso.

Un’intromissione di Israele, o degli Stati Uniti, nelle questioni interne iraniane non farebbe altro che innescare un processo degenerativo all’interno della società persiana. Lo spirito nazionalista, che è già molto alto, diventerebbe lo strumento utilizzato dal regime per una coesione nei confronti delle sue politiche e gli permetterebbe di aumentare il grado di sacrificio richiesto alla popolazione in termini di benessere economico e di libertà. L’attacco non fermerebbe la volontà di perseguire un “interesse nazionale prioritario” che verrebbe visto dalla popolazione come necessario per proteggersi dagli “invasori”. Il primo attacco innesterebbe un circolo vizioso dal quale non sarebbe facile uscire, se non attraverso una guerra guerreggiata, esattamente quello che il popolo iraniano non vuole.

Sperando che questo attacco non ci sia, altre potrebbero essere le soluzioni che le democrazie coinvolte potrebbero adottare per diminuire la percezione di rischio che l’Iran suscita.

Innanzitutto la mediazione diplomatica dell’Europa è necessaria. Non si vuole dare all’Europa una centralità assoluta, dimenticando il ruolo degli Stati Uniti, ma nel caso in questione sembra evidente che, assieme alla Russia, è l’unico soggetto che può mettere sul tavolo incentivi credibili per portare alla modificazione delle politiche di proliferazione nucleare. L’Europa viene vista dall’Iran come un soggetto credibile ed in grado di offrire, essendo un fondamentale partner commerciale, vantaggi economici di un certo rilievo. Comunque, l’Europa per assumere maggiore credibilità dovrebbe agire congiunta, attraverso i suoi organi istituzionali, e non attraverso la “rappresentanza” di solo tre Paesi. Se però questo non fosse possibile per divergenza di vedute interne, la trattativa di EU 3 dovrebbe continuare, magari con l’inserimento dell’Italia, dati i traffici di assoluto rilievo che ha con la Repubblica Islamica.

La Russia ha una forte influenza sull’Iran, per questo dovrebbe agire in modo coordinato con l’EU 3 o in futuro con l’Unione Europea nel suo complesso. Il suo aiuto all’Iran nello sviluppo delle tecnologie nucleari civili dovrebbe al contempo garantire la non proliferazione di armi. Questo probabilmente potrebbe essere fatto attraverso l’accentramento dei processi di arricchimento sul suo territorio, sempre sotto il forte controllo dell’AIEA.

Il processo più importante che dovrebbe essere facilitato, e che sicuramente darebbe i migliori risultati, è il cambiamento dall’interno. Questo non inteso come il favoreggiamento di una nuova rivoluzione, ma come la facilitazione di un cambiamento sociale che potrebbe permettere, anche a medio termine, una modificazione dell’assetto istituzionale innanzitutto della Repubblica Islamica per poi arrivare alla democrazia.

Quest’obiettivo potrebbe essere raggiunto attraverso l’intervento umanitario “non invasivo” sul territorio iraniano nel momento del bisogno, come durante i fenomeni sismici, per poi arrivare alla diffusione dei media occidentali. Tutti i Paesi, anche gli Stati Uniti, potrebbero adottare una politica di questo tipo per avvicinare l’Iran alla democrazia.

L’importanza della circolazione delle persone non deve essere trascurata, gli iraniani che vanno all’estero per apprendere e che poi tornano in patria sono dei “cavalli di Troia” della democrazia. Gli studenti in primis dovrebbero avere la possibilità di studiare negli Stati Uniti, la loro meta preferita, per poi tornare in Iran con nuove idee e voglia di cambiamento.

Il popolo iraniano è pronto per forti cambiamenti, ora spetta alle “democrazie occidentali” capire come utilizzare l’onda della globalizzazione per cambiare in modo non traumatico il regime istituzionale di un Paese.

BIBLIOGRAFIA

Articoli

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- Trita PARSI, Gerusalemme e Teheran non sono nemici naturali, Limes “L’Iran tra maschera e volto”, n:5/2005, Gruppo editoriale L’Espresso

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- Alberto RONCHEY, Se l’atomica è islamica, Corriere della Sera, 25 novembre 2005

- Bonafsheh SAMGISS, Poveri giovani, Limes “L’Iran tra maschera e volto”, n:5/2005, Gruppo editoriale L’Espresso

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Siti internet

http://www.sapere.it/tca/MainApp?srvc=vr&url=/2/3687_1

giovedì 21 aprile 2011

ISRAELE


Materiale di Approfondimento

Giovanni Sale S.I.
La questione israelo-palestinese

L’articolo, seguendo lo sviluppo storico-politico, mette a confronto alcune posizioni orientate a risolvere la difficile questione israelo-palestinese. La soluzione bistatuale (due Stati, due popoli) a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dopo la Risoluzione ONU del 1947 è stata privilegiata dalla comunità internazionale e negli anni scorsi è stata posta come base di partenza nelle trattative delle due parti. Il raggiungimento di tale obiettivo è ancora ufficialmente lo scopo principale delle politiche sia del Governo di Israele sia dell’Autorità Nazionale Palestinese. Va ricordato però che la tesi monostatuale sostenuta apertamente dai fondamentalisti islamici, in questi ultimi anni ha guadagnato terreno tra alcuni studiosi e osservatori anche ebrei, della realtà mediorientali. In ogni caso le soluzioni appaiono di difficile attuazione.

Articolo La Civiltà Cattolica, Anno 161 2010 II 546-558, quaderno 3841, 19 giugno 2010

Sito web. www.laciviltàcattolica.it; e mail civcat@laciviltàcattolica.it

mercoledì 13 aprile 2011

ARABIA SAUDITA

Scheda Pase
2010



Paese: ARABIA SAUDITA
Macro Area: MEDIO ORIENTE
Descrizione geografica:
Area:

Il Regno Saudita costituisce parte integrante dell’area Medio Orientale. Con tale espressione, si indica comunemente la regione occupata dalle Nazioni dell'Asia sud-occidentale.

I Paesi che ne fanno parte sono: Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Iran, Iraq, Israele, Kuwait, Libano, Oman, Autorità Palestinese (Gaza e Cisgiordania), Qatar, Siria, Turchia e Yemen.

Nel Medio Oriente vivono molti popoli diversi, in maggioranza musulmani. I principali sono gli Arabi, i Turchi, gli Iraniani e i Curdi.

I sei principali gruppi linguistici dell'area sono il persiano, l'arabo, l'ebraico, l'assiro, il curdo e il turco.

L'area mediorientale possiede una scarsissima presenza di risorse idriche, alla base dei numerosi conflitti che dilaniano la regione.





















Popolazione:

Sulla base delle stime del luglio 2008, la popolazione è composta da 28,146,656 persone, con una densità media di 13 unità per km². La maggior parte di essa (59,5%) ha un’età compresa tra i 15 ed i 64 anni ed è composta per il 56% da arabi e per il 18% da yemeniti, africani e asiatici giunti in Arabia negli anni Cinquanta, attratti dalle opportunità economiche offerte dalla regione. I nomadi, o beduini, costituiscono circa il 27% della popolazione, anche se il loro numero è in costante diminuzione. La gran parte della popolazione (l’88,5%) vive in insediamenti urbani.

Scenario storico:

La Penisola arabica, specialmente nelle regioni meridionali yemenite, è considerata una delle quindici aree del pianeta in cui si è organizzata la società umana ed è per questo motivo che la zona è definita "culla dell'umanità".

Volendo considerare solo la storia del XX° secolo, il regno dell'Arabia Saudita (dal nome della dinastia regnante, Saud) nasce nel 1932 dall'unificazione degli emirati della penisola araba, portata a termine dopo trent'anni di guerre dal re Abd al-Aziz ibn Saud. La famiglia saudita basa lo sviluppo economico del Paese sullo sfruttamento del petrolio affidato alle compagnie americane. I "petroldollari" vengono investiti nello sviluppo di infrastrutture moderne, che stridono con l'arcaicità del sistema poltico-sociale mantenuto dai Saud, a capo di una monarchia assoluta e autocratica posta al vertice di una piramide feudale di fedeli emiri e capitribù.

L’occidentalizzazione del Paese è avviata dal re Fahd a partire dal 1975. Ciò viene visto da molti come un tradimento della fede musulmana, in particolare dai gruppi fondamentalisti islamici (di orientamento wahabita), che diventano i catalizzatori dello scontento delle masse più povere e tradizionaliste.

La situazione peggiora all’inizio degli anni ‘90 quando re Fahd concede agli Stati Uniti il permesso di trasformare l’Arabia Saudita nella base delle loro operazioni militari durante la guerra contro l'Iraq, con il conseguente dispiegamento di centinaia di migliaia di soldati americani sul territorio nazionale. Proprio in questo periodo lo sceicco miliardario saudita di orinigini yemenite e di fede wahabita, Osama Bin Laden, fonda un potente movimento terroristico, Al-Qaeda, che inizia a compiere attentati contro obiettivi americani (sia militari che civili) in Arabia, ma anche in Tanzania e Kenya (1998), nello Yemen (2000) e negli stessi Stati Uniti con le stragi dell'11 settembre 2001.

Negli ultimi anni il principe ereditario Abdallah, in carica formalmente dal 2005, si è attivamente impegnato nella mediazione del processo di pace israelo-palestinese nel tentativo di placare il malcontento popolare interno, ma l'instabilità politica dell'Arabia Saudita si manifesta in maniera sempre più esplicita e la forte protezione USA sembra venuta meno.



Aspetto:

Geografia Fisica:



Il regno saudita occupa circa l'ottanta per cento della Penisola araba con un totale di 2,149,690 km quadrati. La capitale è Ryad.

Esso confina con l'Iraq, la Giordania, il Kuwait, l'Oman, il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti e lo Yemen. È bagnato dal Golfo Persico a nord-est e dal Mar Rosso ad ovest.

Più della metà della superficie del paese è costituita dal deserto, del quale una delle aree più vaste è rappresentata dal Rub’ al-Khali, che si estende per 650.000 km² in gran parte della regione sudorientale. A nord si incontra una propaggine del Deserto siriaco, mentre a nord-est si trova la regione desertica del Nafud (che copre un’area di circa 57.000 km²); a sud del Nafud si estende una regione di altipiani solcati da numerosi uadi, letti di fiumi generalmente asciutti, a eccezione della stagione delle piogge. A ovest gli altipiani si innalzano in una catena montuosa che si estende da nord a sud, attraversando le regioni dell’Higiaz e dell’Asir, e la cui massima elevazione è il Jabal Sawda (3.207 m). A est, lungo le rive del golfo Persico, si trova la depressione di Al Hasa, dove sono situati i principali giacimenti di petrolio del paese.

Il clima è asciutto, ma con grandi sbalzi di temperature. Il regime delle precipitazioni scarso, che in gran parte del paese non supera i 100 mm annui, rende il paese arido o semi-arido, col terreno principalmente stepposo e, talora, a prevalenza sabbiosa. Ciò spiega altresì l’assenza di laghi e di fiumi a regime permanente. Nella maggior parte del regno la vegetazione è spontanea e arbustiva. La zona costiera del mar Rosso, specialmente le barriere coralline, ha una fauna marina molto ricca. d'estate la temperatura può raggiungere 50 gradi, d'inverno è mite con temporali vicino al canale dell' Egitto



Geografia Umana:



La maggior parte dei Sauditi è di etnia araba, ma alcuni hanno un'origine etnica mista e sono discendenti di Turchi, Iraniani, Indonesiani, Indiani, Africani e di altre etnie minoritarie.

Fino agli anni sessanta, la maggior parte della popolazione era nomade o semi-nomade. A causa del rapido sviluppo economico ed urbano, più del 95% della popolazione ora è sedentarizzato. All'inizio degli anni novanta la distribuzione della popolazione variava notevolmente fra le città delle zone costiere ad est e ad ovest del Paese, le oasi interne densamente abitate e la maggioranza delle aree interne desertiche e, quindi, quasi totalmente disabitate. Alcune oasi hanno una densità di popolazione di più di 1.000 abitanti per chilometro quadrato.

Molti Arabi dei paesi vicini lavorano nel regno saudita. Ci sono inoltre numerosi asiatici, immigrati per lavoro principalmente dall'India, dal Pakistan, dal Bangladesh, dall'Indonesia e dalle Filippine. Gli occidentali sono meno di 100.000 in tutta l'Arabia Saudita.

La lingua nazionale è l’arabo e la religione ufficiale l'Islam, nella sua versione giuridico-teologica del hanbalismo wahhabita. Molto difficile rimane ancora la condizione della donna.



Geografia Economica:

Fino ad adesso non sono serviti a nulla i piani di diversificazione produttiva e il mercato del petrolio resta la fondamentale fonte di ricchezza del Paese. I suoi enormi introiti ricadono solo sulla famiglia reale (considerata in senso allargato fino a comprendere un migliaio di persone) arricchendola a dismisura, ma lasciando in una situazione difficile gran parte della popolazione. Infatti, l’Arabia Saudita possiede il 24% del totale stimato delle riserve del petrolio mondiale; figura come la più grande esportatrice di petrolio e svolge un ruolo principale nell'OPEC.

Il settore del petrolio rappresenta approssimativamente il 75% delle entrate del bilancio, il 40% del PIL ed il 90% degli incassi dovuti all'esportazione.

Geografia Politica:

L’Arabia Saudita è una monarchia assoluta; il sovrano esercita il potere legislativo ed esecutivo, coadiuvato dal Consiglio consultivo composto da 90 membri di nomina regia. Fino al marzo del 1992, anno in cui fu promulgata una Carta dei diritti, non esisteva una Costituzione scritta e a tutt’oggi non sono ammessi partiti politici. La gran parte degli alti funzionari dello stato è scelta tra i membri della famigli reale e le altre famiglie nobili e notabili del Paese. Il re, oltre a essere capo del governo, rappresenta anche la suprema autorità religiosa (“custode delle sante moschee”). La carica regia non è ereditaria; il successore del sovrano viene scelto tra i membri della folta famiglia reale, previa consultazione con i leader politici e religiosi. Il sistema giudiziario si basa sulla shariah, la legge islamica. Il principale organo giudiziario del Paese è costituito dal Consiglio Supremo. È in vigore la pena di morte.



La riforma del 1993 ha stabilito la suddivisione del Paese in tredici distretti amministrati da governatori e assemblee di notabili locali; le principali città eleggono il proprio governo municipale, mentre l’amministrazione dei piccoli centri e villaggi è affidata ai Consigli degli anziani.

Nel 2005 sono state organizzate le prime elezioni amministrative nella storia dell’Arabia Saudita.



ANALISI DEI FATTORI DI SVILUPPO

1 Fattore storico: conflitti - 4 (2003-2007, Islamic Militants)

2 Paesi limitrofi in conflitto - 4 (Iraq e Yemen)

3 Rifugiati (migliaia) - 4 (240,015, Palestinian Territories)

4 Disoccupazione (%) + 4 (13%)

5 Sfruttamento petr/oro/diam + 4 (petroleum, natural gas, iron ore, gold, copper)

6 Area geografica (migliaia Kmq) - 3 (2,149,690 sq km preso da CIA)

7 Area forestale (migliaia Kmq) Non Pervenuto

8 Fazioni etniche/religiose + 2

9 Mov. Int. strati pop. (migliaia) Non Pervenuto

10 Regime Politico (-10 a +10) 0

11 Nuovi Stati formazione instabile + 4 (non è un nuovo stato, 1932)

12 Corruzione (1-10) + 1 (3.5)

13 PNL pro-capite (US$) + 4 (9.532)

14 Crescita economica (%) - 2 (- 0.6)

15 Forza lavoro in agricoltura (%) + 4 (12%)

16 Aiuto Estero (% PNL) Non pervenuto

17 HIV/AIDS (%) + 4 (Inferiore 0,2)

18 Spesa militare (% PNL) + 4 (10%)

19 Disastri Naturali 0 (frequent sand and dust storms)

20 Isolamento geografico + 4 (Red Sea, Persic Gulf)

21 Indice sviluppo umano + 3 (0.7772)

22 Popolazione (milioni) + 1 (23.3)

23 Crescita demografica (%) - 3 (2.3)



COMMENTO TABELLA FATTORI



Conflitti: L’Arabia Saudita ha dato i natali a molti degli attentatori che, negli ultimi anni, hanno colpito obiettivi in occidente. Lo stesso Osama Bin Laden è di origine saudita. Per questo, seppur non sia possibile di parlare di “guerra” nel senso proprio del termine, la progressiva occidentalizzazione del Paese ha scatenato le ire di un sempre maggior numero di Militanti Islamici presenti sul territorio.



Paesi limitrofi in conflitto: L’Arabia Saudita confina con l’Iraq e lo Yemen, non stabili.



Rifugiati: I rifugiati presenti nel Paese, quasi 250.000, provengono dai territori palestinesi.



Disoccupazione: Il tasso di disoccupazione, attestato intorno al 13%, coinvolge solo la popolazione maschile. Le donne non hanno diritto ad esercitare un’attività lavorativa. La percentuale, che secondo alcune fonti interne arriverebbe in alcune zone fino al 25%, si rivela piuttosto alta e preoccupante poiché coinvolge soprattutto la popolazione giovanile.



Sfruttamento petrolio/oro/diamanti: Tra le risorse naturali del Paese si annoverano: petrolio, gas naturale, ferro, oro e rame. La produzione di petrolio è di 9,2 mln di barili al giorno, di cui ne vengono esportati 8.2 mln. Secondo la stima più recente, le riserve disponibili ammonterebbero a 266,8 miliardi di barili. Il gas naturale prodotto viene interamente consumato all’interno. I maggiori partners commerciali sono: per le esportazioni (USA, Giappone, Corea del Sud, Cina, Taiwan e Singapore) e per le importazioni (USA, Cina, Germania, Italia, Corea del Sud ed UK).



Area geografica: L’Arabia Saudita, con i suoi 2,149,690 km quadrati ricopre una superficie sette volte più grande di quella italiana. Essa confina con l'Iraq, la Giordania, il Kuwait, l'Oman, il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti e lo Yemen. È bagnato dal Golfo Persico a nord-est e dal Mar Rosso ad ovest.



Area forestale: Non si rileva la presenza di aree forestali.



Fazioni etniche/religiose: Forte presenza di militanti islamici.



Movimenti internazionali: Dato non pervenuto.



Regime politico: Il regno saudita costituisce una monarchia pressoché assoluta. Non esistono partiti politici ed il potere è interamente concentrato nelle mani della famiglia dinastica Saud.



Nuovi Stati formazione instabile: L’indipendenza è stata acquisita nel 1932.



Corruzione: Il tasso di corruzione non risulta molto elevato (3.5 su una scala dall’1 al 10).



PNL pro-capite: Il PNL pro-capite risulta decisamente elevato ed è pari a 9.532$



Crescita economica: Nonostante i notevoli proventi derivanti dall’esportazione del petrolio, la crescita annua non risulta molto elevata e si attesta intorno allo 0,1%.



Forza lavoro in agricoltura: Solo il 6,7% della forza lavoro è impiegato nell’agricoltura. Il restante 21,4% lavora nell’industria, mentre il 71,9% nei servizi.



Aiuto estero: Dato non pervenuto.



AIDS: La percentuale di malati rispetto alla popolazione totale è molto basso, intorno allo 0,1%.



Spesa militare: Calcolata intorno al 10% del PIL Nazionale.



Disastri naturali: Date le condizioni climatiche e la natura del territorio, sono assai frequenti tempeste di sabbia e di polvere.



Isolamento geografico: Paese con possibilità di sfruttare la propria posizione per i commerci



Indice di sviluppo umano:Abbastanza elevato



Popolazione: Intorno ai 28 milioni di persone di cui più di 5 milioni non sono nazionali.



Crescita demografica: Risulta piuttosto elevata





FORMULA DI VALUTAZIONE



SICUREZZA: - 1,8 (MAGENTA) = - 2

COESIONE SOCIALE: 2 (BLU) = + 3

GOVERNO: 1 (BIANCO) = + 1

CAPACITA’ ECONOMICA: 2.8 (BLU) = + 3

SVILUPPO SOCIALE: 1,4 (AZZURRO) = + 2


IPOTESI DI LAVORO = 1.4 = + 2 = AZZURRO