( si ripropone l'articolo già pubblicato di Maurizio Cocianch per gli studenti di Sociologia)
Maurizio Cocianch
1. Premessa
Il ruolo del
processo democratico interno all’Iran è una chiave di lettura di centrale
importanza per l’analisi e la pianificazione della politica estera di molti
importanti attori dello scenario internazionale.
Gli Stati Uniti,
Israele, l’Unione Europea, la Cina e la Russia sono coinvolti in un processo a
diversi livelli che si prefigge come obiettivo il blocco della proliferazione
nucleare a fini bellici in Iran. La complessità del proposito si evidenzia
nella difficoltà che si incontra nel trovare un accordo strategico che possa
permettere all’Iran di ottenere i suoi obiettivi strategici[1] ed
alle potenze occidentali di evitare una deviazione dal Trattato di Non
Proliferazione. Il mancato rispetto da parte dell’Iran del TNP andrebbe
sicuramente a significare la proliferazione di armi nucleari.
Gli interessi in
gioco dei diversi attori coinvolti sono molteplici. La Russia, l’India e la
Cina hanno goduto in modo diverso di questa instabilità andando a rafforzare la
loro posizione energetica a livello globale ed assicurandosi rapporti
privilegiati con la seconda riserva mondiale di gas ed uno dei più grossi
produttori di petrolio del pianeta. Gli Stati Uniti manifestano un maggiore
interesse nella stabilità regionale e nella tutela del TNP. Israele mantiene le
distanze in quanto si sente minacciato direttamente dall’Iran nucleare.
L’Europa non unita vuole affermarsi come attore globale mediate la
risoluzione della crisi. Sul tavolo ci sono troppi attori e l’unico che
beneficia di questa situazione è il regime iraniano che può sfruttare
l’incertezza nella mediazione e le diverse posizioni dei mediatori.
Una cosa è sicura, la deviazione dell’Iran dalle
disposizioni dal TNP comporterebbe ulteriori tensioni nel quadrante
mediorientale, che potrebbero sfociare anche in azioni militari dirette verso
gli impianti di arricchimento dell’uranio localizzati sul territorio iraniano e
nel suo sottosuolo.
L’azione militare sarebbe un fallimento per tutti. Il
processo di cambiamento interno subirebbe un arresto immediato a fronte di un
compattamento sulle posizioni di regime. L’instabilità nel quadrante sarebbe
alimentata dal nazionalismo iraniano e nello scenario in cui si entrerebbe le
soluzioni sarebbero ancora più complesse e dolorose.
La comprensione delle modalità evolutive della società
iraniana diventa sempre più importante in un contesto dove il compromesso
sembra sempre più difficile.
Le evoluzioni
interne alla Repubblica islamica andranno ad influenzare pesantemente lo
scenario internazionale. Si può prevedere che l’orientamento di politica
internazionale dell’Iran andrà a modificarsi nel medio periodo in quanto la
maggioranza della popolazione, composta da giovani con meno di trent’anni,
manifesta una forte insoddisfazione nei confronti dello Stato e delle
istituzioni. Questa insoddisfazione e la mancanza di libertà potrebbero portare
ad un soft regime change, e,
quindi, all’avvicinamento dell’Iran alla comunità internazionale ed alle sue
regole.
L’Iran è pervaso
da un forte nazionalismo e le metodologie di approccio che hanno gli altri
Stati nel processo di mediazione ne dovrebbero tener debitamente conto.
Inoltre, la popolazione ha un’accentuata sensibilità verso gli stimoli esterni
e le pressioni mediatiche a cui viene sottoposta. Per questa ragione le azioni
intraprese nel processo di mediazione devono essere calibrate in modo da non
alimentare il fuoco della Repubblica islamica, permettendo all’attuale regime
di mantenersi in vita mediante la strumentalizzazione della percezione di
pericolo esterno e della volontà di potenza regionale.
In questo
momento si sta assistendo chiaramente ad un processo di rivoluzione sociale.
Una tipologia di rivoluzione sicuramente con effetti a lungo termine, che è
caratterizzata dall’apparente immobilità ma che a seguito di stress esterni
potrebbe accelerare, o deviare, il suo processo. Questa lentezza nel
cambiamento è frustrante[2]
soprattutto per la giovane popolazione iraniana, in quanto il bisogno di
cambiamenti viene avvertito ma vi è al contempo il forte nazionalismo che
mantiene la situazione stabile.
Il processo di
globalizzazione[3] alimenta in modo diretto
il processo di cambiamento all’interno della Repubblica islamica. Questo
processo risente delle azioni della comunità internazionale e può essere
sicuramente accelerato e “guidato” dai Paesi interessati alla stabilità nella
regione mediorientale. Diverse sono le tipologie di azioni intraprese per
alimentare il processo di cambiamento all’interno dell’Iran, soprattutto da
parte degli Stati Uniti. Anche non disponendo dello strumento diplomatico, gli
USA sono attivamente coinvolti in processi mediatici e di finanziamento delle
opposizioni all’interno del Paese. Si corre il rischio che delle azioni troppo
spinte possano influenzare negativamente l’opinione pubblica e produrre effetti
indesiderati. Data la composizione della popolazione e la potenzialità
economica dell’Iran si dovrebbe agire sul medio periodo, andando ad
implementare azioni informative e di sussidio verso i giovani in modo che
questi diventino sempre più partecipi del processo di globalizzazione culturale
e quindi riuscire a far loro condividere i valori basilari delle nostre
democrazie, come la uguaglianza e la libertà.
1.1
Conflittualità esplicita con gli
Stati Uniti
La difficoltà di
rapporti esistente tra Stati Uniti ed Iran è cosa nota. Da entrambe le parti
non vi sono segnali, o sono molto deboli, che permettano di stabilire quando
potrà riprendere un rapporto diplomatico e commerciale tra i due Paesi.
Da parte
dell’Iran, o meglio dalla parte integralista della popolazione, gli Stati Uniti
incarnano il concetto di “Grande Satana”. I principi occidentali sono visti
come pericolosi per il mondo islamico e per il Paese, il materialismo e la
corruzione sono nemici da combattere. Le manifestazioni nei confronti del nemico
statunitense sono frequenti ma, seguendo un approccio realista, non sembra
possibile che l’Iran adotti una politica aggressiva verso gli Stati Uniti. I
decisori politici, e Khamenei in particolare, sono consci delle ripercussioni
che il suo Paese subirebbe in caso di aggressività.
Da parte
statunitense sono stati numerosi i segnali che hanno permesso di comprendere
l’atteggiamento del presidente Bush nei confronti dell’Iran. Fin dal discorso
d’inaugurazione dei suoi quattro anni di presidenza ha inserito l’Iran
nell’”asse del male” assieme all’Iraq ed alla Corea del Nord.
Vari sono stati
i richiami al ruolo della Repubblica islamica nel sostegno al terrorismo e alla
sua volontà di sviluppare programmi missilistici e nucleari, corroborati dalla
notizia che l’Ucraina ha venduto all’Iran 12 missili Cruise destinati al
trasporto di testate nucleari con portata di 3000 chilometri[4].
Questi missili sarebbero in grado di colpire obiettivi strategici per l’Iran
come ad esempio Israele.
Come molti
analisti rilevano da parte americana si rischia di avere una conoscenza
approssimativa della realtà politica interna all’Iran, e si correre il rischio
d’interpretazioni non precise della reale situazione. Questa mancanza
d’informazioni e di filtri empatici è data principalmente dalla mancanza di
rapporti diplomatici e commerciali tra i due Paesi. Le percezioni sono mediate
da seconde o terze parti che non fanno altro che alimentare i pregiudizi già
esistenti[5].
Se non fosse per la posizione geopolitica del Paese e per
la scarsa fiducia che nutrono gli Stati Uniti nei confronti del suo governo
teocratico la posizione dell’Iran non dovrebbe destare alcuna preoccupazione.
L’Iran però si trova al confine con un Iraq non stabile ed
in una regione dove la tensione tra Israele e Palestina è ancora al livello di
guardia. Dopo l’elezione di Hamas le problematiche sembra si stiano accentuando
anche a causa degli attacchi mirati che Israele continua a portare a termine
contro i vertici dell’organizzazione palestinese ora al potere.
Israele non è un Paese riconosciuto dalla Repubblica
Islamica e più volte si è manifestato, perlopiù sotto forma di slogan politico,
la volontà di “cancellarlo dalle carte geografiche”. Tesi avvalorata dalle
dichiarazioni di un alto funzionario che ha detto: “noi non useremo mai armi nucleari contro
stati membri dell’Onu. La frase, posso assicurare, non è stata scelta a caso.
Avremmo potuto dire “contro altri stati”. Così dal momento che l’Iran non
riconosce l’entità sionista come uno stato, Israele sarebbe rimasto fuori da
questa solenne promessa. Invece non l’abbiamo fatto. Devo aggiungere altro?”[6].
Gli Stati Uniti provano nei confronti dell’Iran una
sensazione di pericolo e di incertezza e, come più volte manifestato dallo
stesso Presidente Bush, non si escluse che gli stessi possano intervenire
militarmente se il processo diplomatico e le sanzioni economiche dovessero
fallire.
La richiesta di stanziamenti al Congresso da parte del
Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld per un ordigno nucleare a speciale penetrazione,
adatto alla distruzione di impianti e basi sotterranee, lascia presagire la
preparazione ad un eventuale attacco preventivo alle facilities nucleari
nascoste, che gli americani presumono esistere[7].
In tutti i casi il governo americano sta studiando le
possibili modalità di intervento per “facilitare” un cambio di governo a
Teheran.
Anche Israele ha
più volte fatto intendere che un attacco preventivo alle strutture nucleari è
possibile, una possibilità che è ancora più evidente dopo l’acquisto da parte
israeliana di 6 bombe convenzionali con forte potere di penetrazione ed alcune
migliaia di bombe da aereo ad alta precisione[8].
Risulta ben noto
che ci sono movimenti, anche se limitati, all’interno di Israele e Stati Uniti
a favore di un attacco preventivo nei confronti dell’Iran nel caso in cui le
poco efficaci, sempre secondo queste correnti di pensiero, politiche
diplomatiche europee[9] non
andassero a buon fine[10].
1.2
L’intesa a tre europea ed il ruolo
dell’Italia
L’Italia nel tavolo delle trattative tra Iran ed Europa
per quanto riguarda la questione nucleare risulta assente, e non per sua
volontà. Nonostante gli interessi economici e geopolitici che la nostra nazione
possiede nei confronti dell’Iran è stata esclusa dal gruppo leader, un
Direttorio a tre composto da Francia, Gran Bretagna e Germania. Questo può
essere considerato un vero e proprio “declassamento”[11]
dell’Italia nello scenario politico europeo[12].
Il Direttorio europeo, o come più diffusamente chiamato in
gergo diplomatico EU 3 o UE 3, si è manifestato per la seconda volta[13] con
la missione nell’ottobre 2003 da parte dei Ministri degli Esteri Dominique de
Villepin, Joschka Fischer e Jack Straw a Teheran per l’inizio dei negoziati che
li vedrà impegnati nel tentativo di frenare le ambizioni nucleari iraniane.
La volontà di avere un programma nucleare, dichiaratamente
per scopi civili, crea forti preoccupazioni in seno agli Stati Uniti,
all’Unione Europea ed all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA),
organismo facente parte delle Nazioni Unite.
Il gruppo EU 3 si è proposto di intervenire direttamente
tramite un approccio diplomatico per attuare un’intermediazione tra la volontà
e gli interessi europei e statunitensi e le legittime rivendicazioni nucleari
iraniane.
L’Iran è un firmatario del trattato TNP, il che gli
consente l’attuazione di una legittima politica nucleare per fini civili, che
comprende anche il processo di arricchimento dell’uranio.
Altri incontri, però a livello diplomatico, sono seguiti a
quelli dell’ottobre 2003 a Teheran. Nel luglio e nel settembre 2004 la Francia,
la Gran Bretagna e la Germania hanno cercato di imporre gli accordi stipulati
nel precedente incontro.
L’Alto rappresentante per la politica estera e di
sicurezza dell’Unione Europea Javier Solana ha partecipato all’incontro
successivo tenutosi nel novembre 2004 a Parigi, legittimando in un certo qual
modo il gruppo d’intervento EU 3.
Alla fine di questi incontri è stata presentata all’AIEA
una proposta di accordo con l’Iran che prevedeva la sospensione temporanea
dell’arricchimento dell’uranio tramite impianti di centrifugazione. Questo
accordo ha bloccato il deferimento da parte dell’AIEA al Consiglio di sicurezza
dell’ONU della politica nucleare iraniana, come più volte sollecitato dagli
Stati Uniti. In questo caso sarebbe in ogni modo stato probabile il veto da
parte della Cina e della Russia, visti i loro interessi diretti dal punto di
vista energetico e strategico, per le eventuali sanzioni economiche.
Naturalmente l’Iran pretende delle contropartite reali da
parte europea[14], e non solo, per la sua
collaborazione in campo della non proliferazione. A maggior ragione del fatto
che può rivendicare la piena legittimità del processo di arricchimento
dell’uranio secondo i trattati TNP. La discussione su queste contropartite è
iniziata a Parigi il 12 dicembre 2004 tra i Ministri degli Esteri del
Direttorio.
Grazie alla sospensione temporanea delle sue attività di
arricchimento l’Iran ha ottenuto l’inizio da parte della Commissione europea
delle trattative per un accordo di commercio e di cooperazione.
Gli Stati Uniti si sono resi disponibili a mettere a
disposizione degli incentivi economici in cambio della rinuncia dell’Iran al
suo programma nucleare, dimostrando il supporto, almeno a parole, all’intervento
diplomatico europeo. La contropartita chiesta dagli americani all’EU 3 è stato
l’impegno di deferire l’Iran al Consiglio di Sicurezza se Teheran dovesse
continuare ad opporsi alla rinuncia totale dell’arricchimento dell’uranio.
1.3
Il ruolo di Mosca
Un attore che
potrebbe avere un ruolo cruciale nella partita tra Occidente ed Iran è
sicuramente la Russia.
Gli interessi
economici e strategici che la legano al più importante Paese del Medio Oriente
sono molteplici, vanno dal petrolio agli accordi energetici. Una commistione
che potrebbe agevolare l’adeguamento della politica nucleare iraniana ai
requisiti richiesti dagli Stati Uniti e dall’Europa per abbassare la soglia di
rischio percepita in questo momento.
Gli
atteggiamenti di Mosca rimangono comunque ambigui. Dalle dichiarazioni di Putin
dopo l’incontro con Bush a Bratislava il 24 febbraio 2004 si è inteso che la
Russia fosse allineata con le vedute statunitensi per quanto riguarda la
proliferazione di armi nucleari. Ma al contempo è chiaro che non crede possibile,
o intende farlo capire, che l’Iran possa sviluppare tecnologie nucleari
militari dall’esperienza nucleare civile. La costruzione di una centrale
nucleare per la produzione elettrica, che sarà operativa nel 2006, non viene
ritenuta prodromo di una proliferazione successiva. Nella costruzione della
centrale la Russia è uno dei maggiori interessati, in quanto fornisce sia la
tecnologia che presumibilmente, se il processo di arricchimento dell’uranio
verrà bloccato, anche il combustibile
fissile.
Questa
collaborazione economica è stata sancita anche da un discorso di Putin a
seguito di un incontro con il Capo del Consiglio di Sicurezza iraniano Rowani,
avvenuto nel febbraio 2005, dove ha dichiarato esplicitamente: “Le recenti
iniziative di Teheran ci hanno convinto che l’Iran non ha intenzione di
produrre l’arma atomica. Su questa base proseguiremo la cooperazione bilaterale
in tutti i settori, compreso quello dell’energia nucleare”[15].
Dopo che il 26
ottobre 2005 il neopresidente Mahmud Ahmadi-Nejad ha pronunciato ad un
congresso dedicato al sionismo la frase che “Israele va cancellato dalla
carta geografica”[16] il
mondo si è ricordato che tra Israele ed Iran esiste una conflittualità
radicata.
Il rapporto di
tensione tra Israele e l’Iran ha raggiunto oggi il suo apice e vi è un reale
rischio per gli equilibri della regione derivante dalla possibili evoluzioni di
questa difficile “vicinanza” tra una potenza nucleare, o presunta tale, ed una
con un processo nucleare in elaborazione.
Israele innanzi
tutto non è riconosciuto come Stato legittimo da parte della Repubblica
Islamica, e non sono nuove dichiarazioni di questo tipo nei confronti dello
Stato ebraico. L’ayatollah Khomeini ha iniziato ad utilizzare questa dialettica
di tensione fin dal 1979, riconoscendo in Israele un nemico, più virtuale che
reale, da combattere e per cui coalizzare le forze sociali interne.
Ma il sentimento
anti-sionista era già presente nella popolazione iraniana durante il periodo dello
scià. Attualmente la percezione di questo problema da parte della popolazione
sta cambiando. Il cittadino medio solidarizza ancora con il popolo palestinese
ma non crede sia più il caso di avere un coinvolgimento diretto dell’Iran nel
conflitto come avveniva in passato[17].
Non pochi
problemi crea questo mancato riconoscimento di Israele e, soprattutto, il
supporto ad organizzazioni terroristiche operanti in Palestina per la
liberazione dall’”invasore” ebraico. Le formazioni terroristiche appartenenti
alla jihad, come Hezbollah, hanno da sempre fatto riferimento per
quanto riguarda la formazione ed il finanziamento all’Iran. Finché non ci sarà
un riconoscimento di Israele sicuramente il processo di pace con i palestinesi
sarà più difficile.
Lo Stato israeliano
si sente fortemente minacciato dalla volontà di potenza nucleare dell’Iran e
dall’implementazione di sistemi d’arma missilistici in grado di colpire il suo
territorio[18]. In varie occasioni, e
l’ultima il 5 dicembre 2005, Israele si è dichiarato favorevole ad un attacco
preventivo su Teheran e le sue centrali nucleari.
La volontà
espressa di costruire un secondo impianto nucleare ha nuovamente posto la
questione di un attacco preventivo, una posizione che è stata espressa anche
dall’ex primo ministro Benjamin Netaniahu[19].
Dopo il crollo
del regime iracheno l’Iran ed Israele si sono ritrovati nella posizione di
uniche potenze regionali, in concorrenza tra loro per ottenere la leadership.
Comunque, Israele non è disposta ad attuare una politica di equilibrio di
potenza con Teheran, e quindi è probabile un attacco preventivo per evitare la
costruzione di assetti nucleari. Non è pensabile che la situazione si risolva
tramite rapporti diplomatici diretti, l’unica soluzione prospettabile è tramite
la mediazione dell’EU 3 o di Mosca per il raggiungimento di un equilibrio.
Scenari Possibili
2.1
Proliferazione senza attacco
Uno dei tre
scenari che si ritiene più probabili è quello dove l’Iran riesce a perseguire
una politica di proliferazione delle armi nucleari senza subire attacchi alle
infrastrutture atte alla produzione degli armamenti o del combustibile fissile.
Non è
ipotizzabile che l’Iran dichiari apertamente la volontà di perseguire tali
politiche. E’ invece molto probabile che segua l’esempio di Paesi come l’India
ed il Pakistan, che sono arrivati all’arma nucleare senza dichiararlo
esplicitamente ma facendolo percepire solo attraverso i test nucleari
effettuati alla fine degli anni ’90.
Per perseguire
la costruzione di armamenti nucleari l’Iran non potrebbe dare l’accesso
all’AIEA per i controlli sulle centrali e sulle basi dedicate. Si creerebbe una
conflittualità con questo organismo internazionale che farebbe immediatamente
risaltare la volontà, anche se non esplicitata, di costruire armamenti
nucleari.
In questa
tipologia di scenario si immagina che Israele non attacchi l’Iran in quanto
valuti questo attacco pericoloso per la radioattività emessa nella regione e
per l’inefficacia dello stesso.
Questo tipo di
scenario è quello meno probabile, anche alla luce delle ultime dichiarazioni di
Israele e dalle reazioni passate a volontà di proliferazione in Iraq.
Se però questo
si avverasse, per l’Iran sarebbe una vittoria strategica in quanto riuscirebbe
a far parte del “club nucleare” aumentando la percezione di sicurezza e creando
un fattore aggregante a sostegno dell’attuale governo, che sarebbe visto dalla
popolazione come forte a livello internazionale.
2.2
Proliferazione con attacco israeliano
Questo scenario
acquista consistenza in questo periodo grazie alle dichiarazioni fatte dal
governo israeliano di voler “prevenire” una proliferazione nucleare iraniana.
Questa risulta essere una minaccia credibile ed il comportamento dell’Iran
sembra non valutarla in modo troppo negativo. Infatti ci sono state dichiarazioni
di voler perseguire la politica nucleare civile con la costruzione di una
seconda centrale attiva dopo Bushehr entro il 2006. Contemporaneamente
si è però cercato di riattivare il processo di mediazione europeo per creare
una sorta di bilanciamento dei rischi. La tensione che si sta creando però
potrebbe essere eccessiva per la sensibilità israeliana, che potrebbe non tener
conto del processo di mediazione ed attaccare comunque.
Un attacco
israeliano potrebbe avere un effetto positivo per il governo iraniano in quanto
prenderebbe ancora più consistenza la figura del nemico, necessaria per
ottenere il supporto popolare, e quindi il “sacrificio”, al perseguimento della
politica nucleare bellica. Questa verrebbe fatta percepire come indispensabile
alla sicurezza del Paese e quindi un sacrificio economico maggior da parte
della popolazione verrebbe accettato.
Non è
prospettabile che si blocchi la volontà di perseguire l’arma nucleare in quanto
le basi a disposizione per le ricerche sono difficilmente individuabili ed il
programma di ricerca è già in stato avanzato.
Un attacco
israeliano avrebbe un effetto negativo sull’equilibrio mediorientale e sul
processo di democratizzazione iraniano. Si darebbe consistenza e legittimità al
governo attuale, bloccando tutte le correnti democratiche.
2.3
Non proliferazione grazie alla mediazione del gruppo EU 3
supportato da Mosca
La soluzione che
prevede la mediazione del “Direttorio” europeo, supportato ed in coordinazione
con la Russia, è la soluzione che si ritiene possa portare ai migliori
risultati per quanto concerne la transizione democratica iraniana ed il
processo di stabilità.
Probabilmente
anche dopo adeguati incentivi economici e l’accettazione formale di un accordo
di non proliferazione l’Iran potrebbe perseguire comunque la volontà nucleare.
Il vantaggio
sarebbe duplice, innanzitutto godrebbe dei forti incentivi economici che
l’Europa e la Russia sono disposti a mettere a disposizione per la stabilità,
poi l’Iran riuscirebbe comunque a raggiungere lo status di potenza regionale.
La violazione degli accordi e quindi la devianza è difficilmente controllabile,
sono necessari strumenti di incentivazione e di controllo molto complessi e
condivisi con il governo iraniano.
Anche in questo
scenario la posizione del governo sarebbe vincente, le sanzioni alle quali
potrebbe venir sottoposto dopo l’accertamento del possesso delle armi nucleari
sarebbe insufficiente e senza possibilità di poter modificare la situazione in
essere.
Oltretutto le
sanzioni potrebbero avere effetti degenerativi per il mercato petrolifero e
quindi anche per l’Occidente ed i Pesi consumatori, un’arma a doppio taglio con
la quale non si vuole rischiare.
CONCLUSIONI
Con la volontà
da parte dell’Iran di acquisire armamenti nucleari, la possibilità di un attacco
da parte di Israele o da parte degli Stati Uniti, dotati di maggiori capacità
tecnologiche, appare meno remoto. Soprattutto se il processo di mediazione
dovesse fallire e quindi non si riuscisse, mediante incentivi economici e di
sicurezza, ad incanalare l’Iran verso un processo di non proliferazione, anche
all’interno di uno sviluppo di tecnologie nucleari civili per la produzione di
energia. Quest’opzione non avrà risultati benefici sulla situazione nel suo
complesso.
Un’intromissione di Israele, o degli Stati Uniti, nelle
questioni interne iraniane non farebbe altro che innescare un processo
degenerativo all’interno della società persiana. Lo spirito nazionalista, che è
già molto alto, diventerebbe lo strumento utilizzato dal regime per una coesione
nei confronti delle sue politiche e gli permetterebbe di aumentare il grado di
sacrificio richiesto alla popolazione in termini di benessere economico e di
libertà. L’attacco non fermerebbe la volontà di perseguire un “interesse
nazionale prioritario” che verrebbe visto dalla popolazione come necessario per
proteggersi dagli “invasori”. Il primo attacco innesterebbe un circolo vizioso
dal quale non sarebbe facile uscire, se non attraverso una guerra guerreggiata,
esattamente quello che il popolo iraniano non vuole.
Sperando che questo attacco non ci sia, altre potrebbero
essere le soluzioni che le democrazie coinvolte potrebbero adottare per
diminuire la percezione di rischio che l’Iran suscita.
Innanzitutto la mediazione diplomatica dell’Europa è
necessaria. Non si vuole dare all’Europa una centralità assoluta, dimenticando
il ruolo degli Stati Uniti, ma nel caso in questione sembra evidente che,
assieme alla Russia, è l’unico soggetto che può mettere sul tavolo incentivi
credibili per portare alla modificazione delle politiche di proliferazione
nucleare. L’Europa viene vista dall’Iran come un soggetto credibile ed in grado
di offrire, essendo un fondamentale partner commerciale, vantaggi economici di
un certo rilievo. Comunque, l’Europa per assumere maggiore credibilità dovrebbe
agire congiunta, attraverso i suoi organi istituzionali, e non attraverso la
“rappresentanza” di solo tre Paesi. Se però questo non fosse possibile per
divergenza di vedute interne, la trattativa di EU 3 dovrebbe continuare, magari
con l’inserimento dell’Italia, dati i traffici di assoluto rilievo che ha con
la Repubblica Islamica.
La Russia ha una forte influenza sull’Iran, per questo
dovrebbe agire in modo coordinato con l’EU 3 o in futuro con l’Unione Europea
nel suo complesso. Il suo aiuto all’Iran nello sviluppo delle tecnologie
nucleari civili dovrebbe al contempo garantire la non proliferazione di armi.
Questo probabilmente potrebbe essere fatto attraverso l’accentramento dei
processi di arricchimento sul suo territorio, sempre sotto il forte controllo
dell’AIEA.
Il processo più importante che dovrebbe essere facilitato,
e che sicuramente darebbe i migliori risultati, è il cambiamento dall’interno.
Questo non inteso come il favoreggiamento di una nuova rivoluzione, ma come la
facilitazione di un cambiamento sociale che potrebbe permettere, anche a medio
termine, una modificazione dell’assetto istituzionale innanzitutto della
Repubblica Islamica per poi arrivare alla democrazia.
Quest’obiettivo potrebbe essere raggiunto attraverso
l’intervento umanitario “non invasivo” sul territorio iraniano nel momento del
bisogno, come durante i fenomeni sismici, per poi arrivare alla diffusione dei
media occidentali. Tutti i Paesi, anche gli Stati Uniti, potrebbero adottare
una politica di questo tipo per avvicinare l’Iran alla democrazia.
L’importanza della circolazione delle persone non deve
essere trascurata, gli iraniani che vanno all’estero per apprendere e che poi
tornano in patria sono dei “cavalli di Troia” della democrazia. Gli studenti in
primis dovrebbero avere la possibilità di studiare negli Stati Uniti, la
loro meta preferita, per poi tornare in Iran con nuove idee e voglia di
cambiamento.
Il popolo iraniano è pronto per forti cambiamenti, ora
spetta alle “democrazie occidentali” capire come utilizzare l’onda della
globalizzazione per cambiare in modo non traumatico il regime istituzionale di
un Paese.[20]
BIBLIOGRAFIA
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Text of
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Siti
internet
http://www.sapere.it/tca/MainApp?srvc=vr&url=/2/3687_1
[1] L’Iran vuole affermare il
suo ruolo di potenza regionale ma al contempo il nucleare viene utilizzato come
argomentazione aggregante nel complesso scenario di politica interna
[2] v. Ali ANSARI, Writing on the Wall, The
World today, March 2005
[3] in questo caso si intende
maggiormente la globalizzazione mediatica ed economica, che hanno effetti
diretti sulla popolazione.
[4] v. Achille ALBONETTI, Il
declassamento dell’Italia e l’unità dell’Europa, Affari Esteri, num.
146-aprile 2005, p. 325
[5] v. Ali ANSARI, Writing on the Wall, The
World today, March 2005
[6] v. Renzo CIANFANELLI, Sì ai negoziati, ma rifiutiamo intimidazioni, Corriere
della Sera, 28 maggio 2006
[7] v. Achille ALBONETTI, Il
declassamento dell’Italia e l’unità dell’Europa, Affari Esteri, num.
146-aprile 2005, p. 328
[8] v. Achille ALBONETTI, Il
declassamento dell’Italia e l’unità dell’Europa, Affari Esteri, num.
146-aprile 2005, p. 323
[9] Non si parla mai di
politiche diplomatiche americane in quanto i rapporti diplomatici con l’Iran
sono chiusi da circa 25 anni.
[10] v. Achille ALBONETTI, Il
declassamento dell’Italia e l’unità dell’Europa, Affari Esteri, num.
146-aprile 2005, p. 325
[11] v. Achille ALBONETTI, Il
declassamento dell’Italia e l’unità dell’Europa, Affari Esteri, num.
146-aprile 2005, p. 319
[12] Il declassamento secondo
Albonetti si è manifestato tramite tre sintomi. Il primo, i tre vertici tra
Francia, Gran Bretagna e Germania hanno portato ad alcuni importanti accordi
nel settore della difesa, l’Italia non ha potuto partecipare. Il secondo, i
negoziati con l’Iran sul tema nucleare vedono esclusa l’Italia. Il terzo, la
candidatura della Germania a membro permanente del Consiglio di sicurezza
dell’ONU, apertamente in contrasto con la visione italiana della riforma delle
Nazioni Unite.
[13] I primi incontri del
gruppo ristretto risalgono al giugno 2003.
[14] v. Achille ALBONETTI, Il
declassamento dell’Italia e l’unità dell’Europa, Affari Esteri, num.
146-aprile 2005, p. 325
[15] v. Achille ALBONETTI, Il
declassamento dell’Italia e l’unità dell’Europa, Affari Esteri, num.
146-aprile 2005, p. 327
[16] Alberto RONCHEY, Se
l’atomica è islamica, Corriere della Sera, 25 novembre 2005
[17] v. Trita PARSI, Gerusalemme
e Teheran non sono nemici naturali, Limes “L’Iran tra maschera e
volto”, n:5/2005, Gruppo editoriale
L’Espresso, p. 173
[18] v. Roger HOWARD, Why Israel fears an
Iranian Bomb, RUSI Journal, n.1 2005, p. 65
[19] v. Corriere della Sera, Iran:via
a un secondo impianto nucleare, 5 dicembre 2005
[20] Articolo chiuso e giunto
in Redazione il 14 giugno 2006.
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