Massimiliano Porto Estremo Oriente 0 commentI
Myanmar, ex Birmania, sottoposto dal 1962 a una dittatura militare, è
stato a lungo considerato uno dei Paesi più chiusi e isolati del mondo. Il
governo, accusato di diversi crimini, tra cui la violazioni dei diritti umani,
è stato oggetto di sanzioni da parte di Stati Uniti e Unione Europea fin dalla
metà degli anni Novanta.
Negli ultimi anni tuttavia sembra che il governo militare abbia deciso
di aprirsi maggiormente alla Comunità internazionale attraverso una transizione
verso un governo “civile” con le elezioni del 2010, che però non ha ridotto la
morsa dei militari sul Paese in quanto il Parlamento, dominato dal partito
sostenuto dai militari, l’Union Solidarity and Development Party, ha designato presidente Thein Sein, ex generale che ha svolto
l’incarico di primo ministro durante il governo militare. Dai primi giorni del
suo mandato il presidente Thein Sein si è dichiarato favorevole a riformare
“democraticamente” il Paese. Ed in effetti sono state adottate delle riforme
politico-economiche che hanno portato al rilascio di prigionieri politici, ad
una maggior tutela dei diritti umani, ad una riduzione delle restrizioni alla
libertà di stampa, di associazione e in generale alle libertà civili.
La decisione di maggior impatto sull’opinione pubblica internazionale è
stata però il rilascio dagli arresti domiciliari della storica dissidente e
leader della Lega Nazionale per la Democrazia, Aung San Suu Kyi, a cui è stato
anche concesso di essere eletta in Parlamento. I militari sembrano aver
compreso che Aung San Suu Kyi è un ottimo strumento per riconciliare il Paese
con la Comunità internazionale, e in primis con Stati Uniti e Unione Europea, e
per tale ragione, in questo momento storico in cui i militari cercano
l’apertura e non la chiusura al mondo, ritengono sia più proficuo coinvolgerla
formalmente nella vita politica del Paese.
Nonostante vi siano ancora forti carenze nelle riforme adottate,
testimoniate dalla continua oppressione verso i dissidenti politici e dalla
questione etnica caratterizzata dalle persecuzioni verso la comunità Kachin e
Rohingya, Stati Uniti e Unione Europea hanno apprezzato le iniziative
“democratiche” birmane decidendo di sostenerle con la sospensione delle
sanzioni economiche nei suoi confronti, ad eccezione dell’embargo sulla vendita
di armi. Il culmine del maggior riconoscimento internazionale per Myanmar è
stato rappresentato dalla storica visita del presidente americano Barack Obama
seguita dall’altrettanta storica visita del presidente Thein Sein a Washington
dove ha incassato il sostegno statunitense per le riforme, nonostante
l’amministrazione americana abbia richiesto un maggiore sforzo per la tutela
dei diritti umani e delle minoranze.
I tentativi di apertura politica del governo birmano sono funzionali per
attrarre maggiori investimenti esteri. L’economia del Myanmar ha dei punti di
forza tra cui ricchezza di idrocarburi, gemme preziose, legname e manodopera a
basso costo che interessano particolarmente alle multinazionali. Inoltre,
l’integrazione nell’ASEAN che va verso l’AEC, ASEAN Economic Community, potrà fare del Myanmar il serbatoio di manodopera a
basso costo di una area sempre più importante ed economicamente integrata. La
sospensione o l’abolizione delle sanzioni, come nel caso dell’UE dal 22 aprile
2013, ha riportato dunque le multinazionali occidentali a fare affari in
Myanmar, tra cui General Electric, MasterCard, Coca Cola e GAP. Il governo
birmano ha dato anche buona prova delle proprie intenzioni di migliorare
l’ambiente economico per gli investitori esteri prima con l’assegnazione delle
licenze di telefonia aggiudicate dalla qatarina Ooredoo e dalla norvegese
Telenor e poi con l’assegnazione delle licenze dei blocchi oil & gas
offshore aggiudicate dalla maggiori compagnie petrolifere tra cui l’italiana
ENI. Attualmente è in corso l’assegnazione della licenza bancaria a una decina
di banche straniere che hanno già un ufficio di rappresentanza in Myanmar con
la quale saranno autorizzate ad aprire una filiale operativa dopo il versamento
di un capitale minimo di 75 milioni di dollari.
In generale, per un Paese che si è chiuso al mondo per circa cinquanta
anni, gli obiettivi principali sono l’accesso alla tecnologia, il miglioramento
delle infrastrutture e del settore delle costruzioni, e il perfezionamento
delle tecniche agricole anche attraverso un maggiore uso di fertilizzanti.
L’apertura di Myanmar dunque può costituire un’ottima opportunità anche per le
aziende italiane.
Da quando il Myanmar ha iniziato il suo lento percorso di riforme,
l’Italia non gli ha fatto mancare il proprio sostegno rivolgendogli particolari
attenzioni: nel marzo 2013 il presidente birmano Thein Sein è stato in visita
in Italia dove ha incontrato il presidente Napolitano e l’allora presidente del
Consiglio Monti; nel luglio 2013 l’ICE ha organizzato una “Country
Presentation” su Myanmar; nell’ottobre 2013 Aung San Suu Kyi è stata in visita
in Italia; nel marzo 2014 l’ICE ha organizzato un seminario sulle tecniche
agricole a Yangon in Myanmar e in agosto è prevista una fiera interamente
dedicata a tecnologie e prodotti made in Italy. L’attenzione per il Paese birmano è testimoniata anche dalle
iniziative predisposte dalla sezione italiana dell’UNIDO (United Nations Industrial
Development Association), UNIDO
ITPO Italy, che nel marzo 2014 ha organizzato una missione di scouting in Myanmar che ha individuato nella produzione di
riso, nel supporto alle infrastrutture nelle aree rurali e nella lavorazione
del marmo i settori di maggior interesse per l’imprenditoria italiana.
Il miglioramento delle relazioni tra Italia e Myanmar ha portato ad un
incremento dell’interscambio commerciale tra i due Paesi che, sebbene non
rilevante in termini assoluti (75 milioni di euro nel 2013) mostra un trend in
forte crescita, con un +113% tra il 2012 e il 2013 e addirittura un +287% tra
il 2011 e il 2013. Nel 2013, il saldo commerciale è stato a favore dell’Italia
pari a €35 milioni in quanto le esportazioni italiane sono ammontate a €55
milioni (+134% su base annua) contro importazioni dal Myanmar per €20 milioni
(+72%).
L’apertura economica del Myanmar è un buon passo verso la riammissione
completa del Paese tra i membri “rispettabili” della Comunità internazionale
anche se la strada delle riforme per una vera democratizzazione è ancora lunga
dato che i militari esercitano ancora un’influenza preponderante. Inoltre,
Myanmar ha bisogno di una concreta pacificazione tra le varie etnie e religioni
che lo compongono, che proprio in questi giorni stanno infiammando il Paese con
scontri tra la comunità buddista e musulmana a Mandalay, nel Myanmar centrale.
I miglioramenti intrapresi dal governo hanno bisogno del sostegno della
Comunità internazionale che tuttavia non deve accontentarsi dei risultati
raggiunti mantenendo un’accorta vigilanza sul processo di riforme. Lo stesso
discorso vale per le multinazionali i cui investimenti devono contribuire ad un
miglioramento delle condizioni di lavoro e non devono essere solo finalizzate a
ridurre il divario accumulato con le aziende cinesi e indiane che hanno
continuato ad investire in Myanmar durante la dittatura militare.
I prossimi due anni saranno fondamentali per capire la direzione presa
dal Paese. Infatti il Myanmar avrà due sfide in cui potrà dimostrare la sua
maturità e volontà di cambiare: la presidenza dell’ASEAN per il 2014 e le
elezioni del 2015. E la modifica della Costituzione per consentire la
candidabilità di Aung San Suu Kyi alla presidenza sarebbe un ulteriore passo
nella giusta direzione.
Massimiliano Porto è direttore del Programma "Estremo Oriente"
dell'IsAG.
Fonti
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