Alessandro Di Liberto
Il recente attentato al mercato di Urumqi conferma quello che alla fine
dello scorso ottobre, dopo l’attentato a Piazza Tienanmen, sembrava essere
l’inizio di una nuova campagna terroristica in Cina. Quella messa in atto però,
appare come una nuova strategia volta alla destabilizzazione anche per un altro
aspetto. Si evince, infatti, una novità nel modus operandi dei terroristi operanti in territorio cinese, ossia
l’utilizzo per la prima volta di autobombe guidate da kamikaze. L’approccio è
quindi nuovo e potenzialmente più devastante. I timori di Pechino dopo
l’attentato del novembre 2013 sembrano dunque fondati.
La reazione all’attentato di Piazza Tienanmen è stata la creazione di un
Comitato di sicurezza nazionale, voluto dal Presidente Xi Jinping per
rispondere alla minaccia in un momento importante per la Cina e per la regione
dello Xinjiang 1.
L’attentato di Urumqi è avvenuto a margine degli incontri tra il
Presidente cinese e il Presidente russo Vladimir Putin, mentre le relazioni
russo-cinesi si stanno sempre più sviluppando, in particolare nel settore
energetico. Lo Xinjiang è strategico poiché attraverso questa regione passano
molti dei gasdotti e degli oleodotti con i quali la Cina si rifornisce in Asia
centrale, mentre la stessa Russia trasporta petrolio in Cina attraverso l’oleodotto
sino-kazako Atasu-Alashankou che termina proprio nello Xinjiang.
La Cina considera l’Asia centrale come un’area indispensabile per la
propria diversificazione nelle forniture energetiche. Pechino, infatti, ha
stipulato contratti energetici con i Paesi della regione costruendo pipelineche attraversano tutta la regione, come il gasdotto
dell’Asia centrale lungo 1.840 km 2. Va ricordata, inoltre, la
direttrice energetica che dovrebbe collegare lo Xinjiang all’Asia meridionale.
Il progetto volto alla creazione di un corridoio economico ed energetico, che
dal porto di Gwadar in Pakistan arrivi a Kashgar in Cina, è tuttavia denso di
problematiche, non solo interne alla Cina. Gwadar, secondo diversi progetti,
dovrebbe diventare anche uno snodo per il prolungamento verso la Cina del
gasdotto Iran-Pakistan.
Lo Xinjiang è dunque speculare all’intera regione dell’Asia centrale e
meridionale, e la sua stabilità è perciò una condizione essenziale per Pechino,
ma non solo in ambito energetico. La Cina sta sviluppando una serie di
politiche finalizzate alla creazione di quella che è chiamata la “Nuova via
della seta”, ossia la realizzazione di una fascia di sviluppo economico che
ricalchi quella che fu l’antica via carovaniera. Progetto idealizzato da più
parti, anche da Washington, si sta però sviluppando sempre più grazie
all’impulso cinese. La creazione dei corridoi regionali che collegherebbero la
Cina fino all’Europa è finanziata nell’ambito del progetto Central Asia Regional
Economic Cooperation (CAREC):
assistito da sei organizzazioni internazionali economiche, questo programma
prevede l’ammodernamento delle reti autostradali e ferroviarie della regione.
Altri obiettivi sono volti ad intensificare la cooperazione in materia doganale
e a favorire la realizzazione di associazioni di spedizionieri regionali.
L’obiettivo finale è dunque quello di facilitare gli scambi nella regione e
verso il resto dell’Eurasia 3. La Cina resta comunque l’attore principale, vista la
sua forza attrattiva e la celerità nell’elaborazione e messa in opera di
investimenti legati non solo alle infrastrutture. La creazione di zone
economiche speciali come quella di Korgas al confine con il Kazakhstan ne è un
esempio.
Tuttavia, Pechino cerca nella regione anche una via di contenimento
all’instabilità proprio dello Xinjiang, che potrebbe potenzialmente essere un
fattore di polarizzazione non solo di turbolenze per la Cina, ma anche per
l’intera regione. Attentati terroristici sono, infatti, avvenuti anche in
Kazakhstan, mentre la Russia ha subito attacchi di matrice islamica e
separatista nel Caucaso.
In questo contesto s’inserisce il ritiro delle truppe NATO
dall’Afghanistan, dal momento che Pechino considera questo evento foriero di
potenziale instabilità. Sembra, infatti, che i guerriglieri uiguri siano stati
addestrati in Afghanistan, base operativa di diversi gruppi che usano il Paese
come territorio d’addestramento. Inoltre, la presenza di guerriglieri uiguri
tra le fila dei combattenti in Siria alimenta ulteriormente la tensione:
l’esperienza di combattimento acquisita sul campo siriano e i contatti che i
separatisti uiguri hanno sviluppato con altre sigle terroristiche sono un dato
certo con il quale Pechino dovrà confrontarsi4. Esponenti uiguri
sono poi presenti in Turchia, con la quale condividono le origini, dal momento
che gli uiguri rappresentano, infatti, un’etnia di origine turcofona. Le
rivendicazioni indipendentiste degli uiguri nello Xinjiang mirano alla
creazione del Turkestan orientale 5. Pechino è stata poi
minacciata direttamente da Al Qaeda,
portando alla considerazione dei legami tra quest’ultima e le diverse sigle che
operano nello Xinjiang 6. La Cina ha quindi intensificato i rapporti
nell’ambito della sicurezza con i Paesi della regione, mentre nell’ambito
dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (OCS) si è sviluppata
maggiormente la struttura regionale anti-terrorismo RATS SCO (The Regional anti Terrorism
Structure)7.
Lo Xinjiang vive attualmente una fase di sviluppo dopo decenni di
arretratezza. La regione autonoma, infatti, ha beneficiato per ultima delle
politiche di sviluppo decise da Pechino. Ciò è legato alle fasi messe in atto
dal governo centrale al momento delle riforme economiche di Deng Xiaoping.
Furono, infatti, le regioni costiere a beneficiare per prime dei finanziamenti
necessari allo sviluppo poiché aree strategicamente più vicine ai mercati
esteri verso i quali la Cina si aprì alla fine degli anni settanta. Ciò permise
sicuramente a Pechino di intraprendere quell’indiscussa ascesa economica che la
porterà presto a divenire la prima potenza economica mondiale. Le fasi di
sviluppo quindi toccarono per ultime le regioni interne relegandole in una
condizione di marginalità, legata anche a fattori quali la prevalenza di una
realtà prettamente agricola. Attualmente la fase di sviluppo regionale
intrapresa da Pechino ha portato lo Xinjiang al centro di numerosi progetti sia
infrastrutturali sia industriali8. Dalle autostrade ai treni veloci,
per questa regione passa anche il corridoio ferroviario che collega la Cina con
l’Europa. Linea ferroviaria che s’intende sviluppare nel contesto dei corridoi
euroasiatici. La stessa capitale Urumqi vive uno sviluppo economico e
commerciale che non può essere considerato fugace. La regione come già
sottolineato sta diventando snodo logistico non solo per l’Europa, ma per tutta
l’Asia centrale. Lo Xinjiang paradossalmente, pur avendo vissuto per ultima le
politiche di sviluppo ha acquisito nel tempo un ruolo strategico. Questa
regione si trova, infatti, a essere la cintura che unisce i Paesi dell’Asia
centrale con la Cina nell’ambito di una nuova area geoeconomica, quella
eurasiatica, dal potenziale sconfinato. Basti pensare che lungo il confine
sino-kazako, oggi anche tra Cina e Unione Eurasiatica, la ZES di Korgas
dovrebbe generare sviluppi commerciali di lungo termine9.
Il lavoro di riforma delle dogane intrapreso dalla Cina per armonizzare
e velocizzare le procedure con i Paesi della regione è un segnale della
tendenza in atto. L’obiettivo è quello di dinamizzare i flussi commerciali,
estendendo lo sviluppo e distribuendo la ricchezza su tutta la regione. A tal
fine altri Paesi della regione hanno intrapreso la creazione delle ZES per
l’attrazione d’investimenti esteri10. Questo è uno degli obiettivi
che Pechino intende raggiungere e che considera una condizione essenziale per
la stabilità della regione. Lo Xinjiang è dunque strategico, non solo per la
Cina, ma anche per la realizzazione di una realtà geoeconomica in Asia centrale
che possa generare una condizione di sicurezza per la regione, influenzando la
stessa stabilità di Paesi quali l’Afghanistan.
L’uso della leva economica è un fattore di stabilità nel quale Pechino
può quasi permettersi di giocare in solitaria. Nel contesto della sicurezza, vi
è invece la consapevolezza che solo la sinergia con gli altri Paesi membri
dell’OCS possa portare risultati decisivi. Nell’ambito di tale organizzazione
si è intrapresa la coordinazione delle diverse forze di polizia e un piano di
riforma giuridica che accomuni le leggi dei Paesi membri in materia di
terrorismo e sicurezza. Pechino ha poi ribadito il mutuo riconoscimento dei
confini con i Paesi della regione, sottolineando ulteriormente la lotta a
quelli che sono considerati i tre mali: fondamentalismo, separatismo e
terrorismo. Una partita quella in Asia centrale, densa e piena di risvolti che
influenzeranno il consolidamento del baricentro economico mondiale di questo
secolo. Più che lo stretto di Malacca, per Pechino il vero punto debole
sembrerebbe essere la sua regione autonoma occidentale. Tesi ancor più valida
se si considera lo Xinjiang nel contesto dell’Asia meridionale, con il porto di
Gwadar progettato proprio con la finalità di aggirare Malacca attraverso la via
terrestre. In questo modo si capisce come lo Xinjiang sia per la Cina una
cintura verso i Paesi dell’Asia centrale e meridionale. La perdita di questa
regione da parte di Pechino mutilerebbe l’intero processo che attualmente è in
fase di realizzazione. Processo in cui la Cina svolge il ruolo di traino e di
catalizzatore geoeconomico.
Fonte IASG