Missioni internazionali La Nato nell’Afghanistan che verrà Claudio Bertolotti 16/01/2014 |
Se il 2013 si è chiuso con un sostanziale nulla di fatto per il dialogo negoziale, il 2014 si annuncia come anno cruciale per l’Afghanistan: elezioni presidenziali e formalizzazione del Bilateral Security Agreement da cui dipende la permanenza militare straniera.
Questi appuntamenti s’inseriscono in un quadro generale che non lascia spazio all’ottimismo. Il 2015 vedrà la Nato in Afghanistan sotto una nuova veste: la missione dell’Alleanza muta nome, dimensioni e mandato, ma non cambiano i principi regolatori di una presenza a lungo termine.
Dialogo complesso
La ricerca del dialogo e i suoi ripetuti “stop-and-go” hanno dimostrato quanto poco gli “attori protagonisti” della guerra afghana siano disposti a concedere: un approccio che contrappone il lungimirante “attendismo opportunista” dei talebani al disperato “stallo dinamico” di Stati Uniti e alleati.
Una strategia che si è dimostrata favorevole ai primi che hanno alzato la posta in gioco nell’attesa di sviluppi politici e militari. Sviluppi che, sul piano operativo, si sono concretizzati nei cosiddetti “attacchi spettacolari” dal forte impatto mediatico ed emotivo - in particolare gli attacchi suicidi - a fronte di una diminuzione di azioni contro gli uomini della missione Isaf, ma con conseguente incremento di attacchi contro le forze di sicurezza afghane. Un trend che, salvo imprevisti, sarà confermato anche nel 2014.
La fase “transition” della missione Isaf, che ha visto il governo afghano assumere la responsabilità della sicurezza, ha dato vita a due fenomeni tra loro collegati. Da un lato è diminuito il territorio sotto il controllo governativo; dall’altro, la riduzione delle forze straniere ha portato a un peggioramento della sicurezza e all’aumento delle capacità operative insurrezionali.
Orizzonti incerti
Sul piano politico gli orizzonti afghani sono incerti. Il processo elettorale che consegnerà all’Afghanistan un nuovo presidente procede a rilento, ridotto è il numero di cittadini iscritti al voto, ancora più limitata la partecipazione femminile. Tutte premesse a una situazione politica instabile.
Lo stato afghano, incapace di ottenere il monopolio della forza, dipendente dagli aiuti economici e militari stranieri, non è lontano dal fallimento sostanziale. Le sue forze armate, falcidiate da diserzioni e perdite in combattimento, mancano di logistica e supporto aereo e sono in grado di garantire un livello di sicurezza minimo nelle aree urbane, ma non in quelle periferiche del paese.
La chiusura della missione Isaf è il simbolico spartiacque dell’impegno internazionale in Afghanistan, un impegno che passerà da “combat” ad “advising”. Nel complesso, il sostegno della Nato non sarà più in grado di assicurare un capillare supporto operativo, ma garantirà agli Stati Uniti la disponibilità di basi strategiche su suolo afghano.
Un’analisi in prospettiva impone di considerare gli elementi influenti sugli sviluppi dell’Afghanistan contemporaneo: il sostegno politico-economico internazionale, gli interessi delle potenze regionali, la permanenza della Nato. A questi si contrappongono il calo d’interesse generale per l’Afghanistan, un’endemica corruzione, l’assenza di una classe dirigente competente, disagio sociale, criminalità, un’insurrezione incontrastata e l’impreparazione delle forze di sicurezza afghane.
Le minacce alla stabilizzazione sono la cronica conflittualità, il ridotto sostegno popolare alla presenza straniera, l’incapacità dello stato, i solidi legami tra gruppi di opposizione armata e druglord regionali.
Sul piano politico-sociale si prevedono effetti conseguenti alla contrapposizione centro-periferia, all’accesso dei gruppi di opposizione a forme di potere, al rischio di brogli elettorali.
Inoltre, sulla sicurezza influirà il ruolo di primo piano dei gruppi di opposizione, imbattuti, militarmente validi, sebbene incapaci di sconfiggere Isaf e le forze afghane. Anche per questo motivo non è esclusa una riapertura del dialogo negoziale; la contropartita potrebbe essere una spartizione del potere e una parziale rinuncia ai diritti costituzionali.
Infine, il ruolo politico ed economico delle potenze regionali sarà rilevante, anche in virtù dell’accesso alle risorse minerarie ed energetiche.
Nuovo impegno militare
Per il biennio 2014-2015 è prevedibile uno scenario caratterizzato da maggiore violenza, ridimensionamento del ruolo dello stato, pressione delle forze insurrezionali, instabilità politico-sociale.
Al contempo, l’Afghanistan si avvia verso il nuovo impegno militare della Nato. Due le ipotesi al vaglio, una possibile (8mila soldati) e l’altra probabile (12-15 mila soldati).
La prima ipotesi - “Kabul-centric” - finalizzata al controllo del centro a fronte di un abbandono, de facto, delle aree periferiche, non escluderebbe un accordo di compromesso tra governo afghano, Stati Uniti, Pakistan e i talebani. La seconda - “Regional-Limited”- prevedrebbe una dislocazione delle truppe presso i principali comandi regionali (Kabul, Herat - sotto la responsabilità italiana -, Kunduz, Kandahar e Helmand).
La prima ipotesi, di fatto, sarebbe un’implicita ammissione di fallimento della missione Isaf; la seconda, in grado di garantire capacità di supporto e intervento, è razionale e lungimirante ma non precluderebbe ulteriori sviluppi della missione.
* Questo articolo è una sintesi del contributo di analisi per “Prospettiva Generale 2014” del CeMiSS (in via di pubblicazione).
Claudio Bertolotti (Ph.D) analista strategico, ricercatore senior presso il Centro militare di Studi Strategici e docente di "società, culture e conflitti dell'Afghanistan contemporaneo", è stato capo sezione contro-intelligence e sicurezza di Isaf in Afghanistan. Opinionista, autore di saggi, analisi e articoli di approfondimento sul conflitto afghano.
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Questi appuntamenti s’inseriscono in un quadro generale che non lascia spazio all’ottimismo. Il 2015 vedrà la Nato in Afghanistan sotto una nuova veste: la missione dell’Alleanza muta nome, dimensioni e mandato, ma non cambiano i principi regolatori di una presenza a lungo termine.
Dialogo complesso
La ricerca del dialogo e i suoi ripetuti “stop-and-go” hanno dimostrato quanto poco gli “attori protagonisti” della guerra afghana siano disposti a concedere: un approccio che contrappone il lungimirante “attendismo opportunista” dei talebani al disperato “stallo dinamico” di Stati Uniti e alleati.
Una strategia che si è dimostrata favorevole ai primi che hanno alzato la posta in gioco nell’attesa di sviluppi politici e militari. Sviluppi che, sul piano operativo, si sono concretizzati nei cosiddetti “attacchi spettacolari” dal forte impatto mediatico ed emotivo - in particolare gli attacchi suicidi - a fronte di una diminuzione di azioni contro gli uomini della missione Isaf, ma con conseguente incremento di attacchi contro le forze di sicurezza afghane. Un trend che, salvo imprevisti, sarà confermato anche nel 2014.
La fase “transition” della missione Isaf, che ha visto il governo afghano assumere la responsabilità della sicurezza, ha dato vita a due fenomeni tra loro collegati. Da un lato è diminuito il territorio sotto il controllo governativo; dall’altro, la riduzione delle forze straniere ha portato a un peggioramento della sicurezza e all’aumento delle capacità operative insurrezionali.
Orizzonti incerti
Sul piano politico gli orizzonti afghani sono incerti. Il processo elettorale che consegnerà all’Afghanistan un nuovo presidente procede a rilento, ridotto è il numero di cittadini iscritti al voto, ancora più limitata la partecipazione femminile. Tutte premesse a una situazione politica instabile.
Lo stato afghano, incapace di ottenere il monopolio della forza, dipendente dagli aiuti economici e militari stranieri, non è lontano dal fallimento sostanziale. Le sue forze armate, falcidiate da diserzioni e perdite in combattimento, mancano di logistica e supporto aereo e sono in grado di garantire un livello di sicurezza minimo nelle aree urbane, ma non in quelle periferiche del paese.
La chiusura della missione Isaf è il simbolico spartiacque dell’impegno internazionale in Afghanistan, un impegno che passerà da “combat” ad “advising”. Nel complesso, il sostegno della Nato non sarà più in grado di assicurare un capillare supporto operativo, ma garantirà agli Stati Uniti la disponibilità di basi strategiche su suolo afghano.
Un’analisi in prospettiva impone di considerare gli elementi influenti sugli sviluppi dell’Afghanistan contemporaneo: il sostegno politico-economico internazionale, gli interessi delle potenze regionali, la permanenza della Nato. A questi si contrappongono il calo d’interesse generale per l’Afghanistan, un’endemica corruzione, l’assenza di una classe dirigente competente, disagio sociale, criminalità, un’insurrezione incontrastata e l’impreparazione delle forze di sicurezza afghane.
Le minacce alla stabilizzazione sono la cronica conflittualità, il ridotto sostegno popolare alla presenza straniera, l’incapacità dello stato, i solidi legami tra gruppi di opposizione armata e druglord regionali.
Sul piano politico-sociale si prevedono effetti conseguenti alla contrapposizione centro-periferia, all’accesso dei gruppi di opposizione a forme di potere, al rischio di brogli elettorali.
Inoltre, sulla sicurezza influirà il ruolo di primo piano dei gruppi di opposizione, imbattuti, militarmente validi, sebbene incapaci di sconfiggere Isaf e le forze afghane. Anche per questo motivo non è esclusa una riapertura del dialogo negoziale; la contropartita potrebbe essere una spartizione del potere e una parziale rinuncia ai diritti costituzionali.
Infine, il ruolo politico ed economico delle potenze regionali sarà rilevante, anche in virtù dell’accesso alle risorse minerarie ed energetiche.
Nuovo impegno militare
Per il biennio 2014-2015 è prevedibile uno scenario caratterizzato da maggiore violenza, ridimensionamento del ruolo dello stato, pressione delle forze insurrezionali, instabilità politico-sociale.
Al contempo, l’Afghanistan si avvia verso il nuovo impegno militare della Nato. Due le ipotesi al vaglio, una possibile (8mila soldati) e l’altra probabile (12-15 mila soldati).
La prima ipotesi - “Kabul-centric” - finalizzata al controllo del centro a fronte di un abbandono, de facto, delle aree periferiche, non escluderebbe un accordo di compromesso tra governo afghano, Stati Uniti, Pakistan e i talebani. La seconda - “Regional-Limited”- prevedrebbe una dislocazione delle truppe presso i principali comandi regionali (Kabul, Herat - sotto la responsabilità italiana -, Kunduz, Kandahar e Helmand).
La prima ipotesi, di fatto, sarebbe un’implicita ammissione di fallimento della missione Isaf; la seconda, in grado di garantire capacità di supporto e intervento, è razionale e lungimirante ma non precluderebbe ulteriori sviluppi della missione.
* Questo articolo è una sintesi del contributo di analisi per “Prospettiva Generale 2014” del CeMiSS (in via di pubblicazione).
Claudio Bertolotti (Ph.D) analista strategico, ricercatore senior presso il Centro militare di Studi Strategici e docente di "società, culture e conflitti dell'Afghanistan contemporaneo", è stato capo sezione contro-intelligence e sicurezza di Isaf in Afghanistan. Opinionista, autore di saggi, analisi e articoli di approfondimento sul conflitto afghano.
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