Il primo viaggio ufficiale all’estero ha portato il nuovo presidente della
Repubblica popolare cinese (Rpc), Xi Jinping, prima in Russia e poi
in Africa lo scorso mese di marzo.
Un’analisi della Brookings Institution ha suggerito che si tratta di una scelta che – oltre agli interessi
strategici – rispecchia anche la volontà di Xi di muovere i primi passi
all’estero in un contesto il più possibile accogliente per la Repubblica
popolare. La visita nel continente africano ha avuto come evento clou
il quinto summit dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa),
tenutosi quest’anno a Durban, Sud Africa.
Tra le decisioni del summit, vanno segnalati i passi avanti verso la creazione di una Banca
per lo sviluppo dei Brics, con un capitale iniziale di circa 2 miliardi di
dollari Usa e con finalità di supporto al finanziamento di infrastrutture
e progetti industriali, e la decisione di stabilire un fondo di riserve in
valuta di circa 100 miliardi di dollari Usa con lo scopo di sostenere
le bilance dei pagamenti dei paesi interessati in caso di crisi improvvise. Interessante anche osservare come il gruppo dei cinque paesi si
sia proposto durante il summit come partner privilegiato dei paesi
africani lanciando dei progetti per la costruzione di infrastrutture su
larga scala nel continente.
Al di là delle singole misure, quello che rileva è il significato che
un paese come la Cina attribuisce al summit. Pur essendo la seconda
economia globale, la Cina fatica a imporsi sulla scena politica internazionale e vede dunque nella collaborazione con le altre grandi economie emergenti una strada percorribile per spezzare il predominio
delle potenze economiche tradizionali. L’obiettivo sono riforme volte
ad una maggiore rappresentanza dei paesi del Sud del mondo nella governance dell’economia e della politica globale, secondo il principio per
cui alla maggior responsabilità richiesta a questi nuovi attori globali
deve corrispondere un incremento dei loro poteri decisionali.
Se la rappresentatività delle istituzioni internazionali dipendesse
strettamente dai numeri, per la verità, i Brics dovrebbero avere già
oggi un ruolo più rilevante, se confrontato con quello delle potenze
tradizionali. Basandoci sugli ultimi dati del Fondo monetario internazionale (Fmi), ad esempio, possiamo osservare come la quota parte
di Pil mondiale attribuibile ai Brics sia oggi del 28%, contro il 37%
dei paesi del G7. In più, le previsioni del Fondo sembrano suggerire
che, proseguendo di questo passo, intorno al 2020 le quote dei due
gruppi saranno pressoché equivalenti (Figura 1). È più che mai chiaro
che la componente demografica gioca un ruolo in queste dinamiche,
spingendo la produzione totale dei paesi da un lato, ma rallentando la
convergenza sui livelli di ricchezza relativa dall’altro.
Non solo i Brics rappresentano insieme quasi la metà della popolazione mondiale, ma hanno una struttura demografica ancora favorevole, dato che la popolazione attiva (quella cioè in età lavorativa) dei
cinque paesi rappresenta oggi – e così dovrebbe essere per gli anni
a venire – più del 40% di quella mondiale (Figura 2). Si tratta di un
dato rilevante, in considerazione del fatto che in generale bassi tassi di dipendenza determinano maggior potenziale produttivo e una
maggior crescita. Dall’altra parte, tuttavia, la pressione demografica
– spingendo sul denominatore – frena la convergenza nei livelli di
ricchezza pro capite con i paesi più ricchi (Figura 3).
La spinta dei Brics è particolarmente rilevante se osservata in
relazione all’integrazione economica con il resto del mondo (Figura
4). Nell’insieme, infatti, i cinque paesi pesano oggi per più del 15%
dell’export e dell’import globale, e per il 20% circa dei flussi di Investimenti diretti esteri (Ide) in entrata. Assai più rilevanti in prospettiva
appaiano le quote degli Ide in uscita, oggi quasi al 10% sul totale
mondiale ma in forte aumento, specialmente durante la crisi, a causa
della rapida internazionalizzazione di imprese multinazionali tra cui
si possono citare gli ormai noti casi di Embraier (Brasile), Gazprom
(Russia), Tata (India), Haier (Cina) e Sab Miller (Sud Africa).
Se questo non bastasse per aspirare a un ruolo più rilevante nell’ordine economico e politico internazionale, i Brics espandono rapidamente la loro sfera di influenza in altri paesi in via di sviluppo essendo
tra i più rilevanti attori nel gruppo dei cosiddetti donatori emergenti. La ricerca di consenso tra i paesi in via di sviluppo si configura
in taluni casi come una strategia per aumentare il peso specifico dei
Brics all’interno delle organizzazioni internazionali. Secondo alcune
stime, l’ammontare degli aiuti erogati da questi paesi raggiungerebbe l’1-2% del totale mondiale. Altre fonti mostrano però cifre ben più
rilevanti (cfr. Tabella 1), basate sulla cooperazione nell’ambito della
concessione di prestiti a condizioni favorevoli, e nell’ambito dell’assistenza nella costruzione di infrastrutture. L’idea di una Banca dello
sviluppo dei Brics con compiti di erogazione di prestiti di natura concessionale dovrebbe rappresentare un ulteriore passo in avanti verso una maggiore legittimazione a livello internazionale del gruppo
dei donatori emergenti. Ad oggi ciascuno dei Brics concede aiuti allo
sviluppo secondo modalità differenti e in settori e, soprattutto, aree
geografiche differenti.
Per concludere, se è vero che l’unione fa la forza, i grandi paesi
emergenti possono rappresentare per la nuova leadership cinese un’ottima sponda per rafforzare – anche a livello politico – il potenziale
economico e demografico del paese negli anni a venire.
( Da orizzonte Cina, maggio 2013)
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