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Il caso giudiziario della presunta spia indiana arrestata e condannata a morte in Pakistan, a inizio aprile, per sabotaggio e reati connessi al terrorismo riporta all’attualità un comportamento dell’India già visto in passato.
Nuova Delhi, a più riprese nella storia delle sue relazioni con il Pakistan, ha usato mezzi a dir poco pragmatici per fomentare l’instabilità nello Stato rivale (si pensi ai vari conflitti per il Kashmir ed alla guerra civile in Pakistan nel 1971). Da parte di Islamabad, le risposte non sono certo state meno aggressive, ma l’attuale deteriorarsi della situazione potrebbe essere dovuto a fattori temporanei di politica interna indiana, oppure essere il cosciente inizio di una strategia più aggressiva di Nuova Delhi contro il Pakistan. Successo nazionalista Nell urne delle elezioni locali del grande Stato dell’Uttar Pradesh, a marzo, il partito nazionalista del primo ministro indiano Narendra Modi (Baratyia Janata Party, Bjp) ha ottenuto una schiacciante maggioranza (312 dei 403 seggi in palio), assicurandosi il più netto risultato mai registrato nello Stato negli ultimi quarant’anni. Un successo che vede il rapporto di forze nel palcoscenico politico indiano pendere sempre più a favore del partito nazionalista attualmente al governo. Forte del risultato, il Bjp ha nominato Yogi Adityianath come governatore dell’Uttar Pradesh. La nuova figura è un religioso fortemente nazionalista, e rappresenta uno dei rarissimi casi in cui il Bjp affida posizioni esecutive ad un membro del clero. Il nazionalismo ed il tradizionalismo sono certo tratti distintivi del partito di Narendra Modi, ma lo stesso attuale primo ministro dell’India era salito al potere grazie alla sua capacità di mediare fra riformismo economico e tradizionalismo induista. Il possibile spostamento del Bjp verso tematiche sempre più nazionaliste potrebbe essere un tentativo di captazione di consensi dalla parte più conservatrice dell’elettorato una volta che si è ottenuto la fiducia degli elettori più moderati, come pure una svolta ideologica all’interno del partito nel momento i cui si verifica una sempre maggiore presenza di nazionalisti e tradizionalisti fra i quadri. Le tensioni fra Nuova Delhi e Islamabad Negli ultimi mesi, Pakistan e India hanno visto impennarsi le tensioni attorno alla contesa regione del Kashmir. A metà settembre 2016, infatti, Nuova Delhi aveva accusato Islamabad di essere mandante di un attacco terroristico ad una sua base militare in Kashmir; mossa che ha dato il via ad un’altalenante crisi. Ad inizio aprile, la Corte marziale generale (competente a giudicare gli accusati di terrorismo arrestati dalle Forze Armate, a seguito di un emendamento del 2015 al Pakistan Army Act) ha condannato a morte Kulbhushan Jadhav, cittadino indiano accusato di terrorismo e spionaggio. Secondo la corte pakistana, Jadhav avrebbe confessato ancora prima di essere giudicato; per l’India, invece, si tratta nient’altro che di un ex ufficiale della sua Marina militare non collegato ai servizi segreti. Il tribunale pakistano ha invece concluso che l’accusato è un alto funzionario dei servizi segreti, incaricato dal proprio governo di coordinare cellule terroristiche nella provincia pakistana del Belucistan in grado di colpire in special modo siti ed attività collegate al progetto del corridoio infrastrutturale ed economico realizzato in collaborazione con la Cina (China-Pakistan Economic Corridor). A prescindere da quest’ultimo evento, che se confermato avrebbe una sua particolare gravità, è chiaro che l’India è responsabile dell’innalzamento della tensione almeno quanto il Pakistan. In una dichiarazione, il ministro degli Interni indiano Rajnath Singh ha affermato che Nuova Delhi potrebbe chiudere i confini con il Pakistan entro il 2018, in modo da scongiurare le continue infiltrazioni terroristiche. Varie altre dichiarazioni ufficiali del governo indiano, a partire da quelle del primo ministro Modi, dimostrano una coordinata recrudescenza dell’India nel confronto col Pakistan. Il chiaro discorso politico di stampo nazionalista portato avanti da Nuova Delhi sulla crisi con Islamabad potrebbe essere sintomo che l’azione dell’India, a volte decisamente spregiudicata, sia frutto della necessità politica interna di mostrare uno spostamento dell’esecutivo su posizioni di più deciso nazionalismo. D’altro canto, una realpolitik indiana tanto spinta e sbilanciata, tesa all’ottenimento esclusivo di vantaggi strategici sul terreno, sembra davvero troppo pronunciata. La ricerca del confronto sul piano della sicurezza è tanto più controproducente per entrambi gli Stati, dal momento che a giugno sia India sia Pakistan dovrebbero con ogni probabilità entrare a pieno titolo a far parte della Shanghai Cooperation Organization. L’ingresso nell’alleanza strategica (che persegue proprio obiettivi di sicurezza, con particolare attenzione per l’anti-terrorismo) è stato intrapreso con una dichiarazione di intenti in vista dell’adesione, l’anno scorso, ed è caldeggiato soprattutto dalla Russia. Mosca sarebbe infatti interessata a un tal allargamento al fine di rendere più efficace il contrasto al terrorismo a sud delle repubbliche centroasiatiche. Modi a un bivio? Continuare con la linea dura verso il Pakistan, quindi, se può portare ad un rafforzamento della posizione interna del primo ministro conservatore non può che essere negativo per la politica estera dell’India. In particolare, la consacrazione dell’India come potenza regionale asiatica e, segnatamente, garante della sicurezza per l’area dell’Oceano Indiano e per tutto il subcontinente indiano è in aperto contrasto con le prove di forza nei confronti di Islamabad. È molto probabile, quindi, che a breve il governo del Bjp sarà soggetto ad una nuova articolazione delle proprie posizioni nella relazione con il Pakistan verso ad un atteggiamento di potenza pacifica e garante della sicurezza. Francesco Valacchi si è laureato in Scienze Strategiche nel 2004 presso l’ateneo di Torino ed in Studi internazionali presso quello di Pisa nel 2013. È appassionato di geopolitica e strategia; è ufficiale in servizio permanente effettivo nell’esercito italiano. | ||||||||
Uniformologia, Uniformi del Patto di Varsavia
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