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All’ombra delle continue provocazioni militari a cui Pyongyang e Washington ci hanno abituato nel corso degli ultimi mesi, martedì 9 maggio i sudcoreani saranno chiamati a scegliere il loro prossimo presidente in uno dei momenti più delicati nella storia politica del Paese.
Dopo lo scandalo per corruzione ed abuso di potere che lo scorso 10 marzo ha portato alla destituzione della presidentessa Park Geun-hye, i tredici candidati in lizza per la presidenza hanno avuto poco meno di due mesi di campagna elettorale per esporre a 42 milioni di elettori le loro soluzioni per affrontare le stringenti questioni domestiche ed internazionali che opprimono la Corea del Sud. Stando alle ultime proiezioni, tuttavia, il voto di martedì non dovrebbe riservare grandi sorprese. Con l’attuale partito di governo ai minimi storici dopo lo scandalo Park, è il candidato del Democratic Party of Korea (Dpk), Moon Jae-in, a dominare incontrastato la corsa elettorale con il 40% delle preferenze e ben venti punti di distacco da AhnCheol-soo, secondo in classifica. Le proposte presentate dal leader del centro-sinistra nel corso di queste settimane sono in netto contrasto con la linea politica adottata dalla precedente amministrazione e dopo aver dichiarato di voler riformare l’assetto politico ed economico della nazione, Moon promette di avere la soluzione per riaprire il dialogo con la Corea del Nord. Economia: spine corruzione e crescita Nonostante la crescente tensione sul 38° parallelo abbia occupato per diverse settimane le prime pagine di tutti i quotidiani internazionali, l’onere di dover trovare una soluzione alla questione nordcoreana è solo una delle molte urgenze che il prossimo inquilino della Casa Blu erediterà dalla controversa presidenza Park. Dopo l’ennesimo scandalo di corruzione nella breve storia democratica del Paese, i cittadini sudcoreani chiedono ora che venga posta fine alle frequenti collusioni tra il mondo della politica e quello delle chaebol, i conglomerati industriali che dominano l’economia coreana. Nonostante il varo di una nuova legge anti-corruzione lo scorso settembre, l’impeachment della presidentessa Park sembrerebbe aver gravemente compromesso la fiducia dei cittadini nei confronti dell’attuale classe politica. In questo senso, la nuova amministrazione dovrà darsi da fare per dimostrare di avere la volontà politica di riformare le chaebol, spesso ritenute intoccabili, privandole dell’influenza che spesso riescono ad esercitare sui vertici dello Stato. Sul fronte economico, invece, il rallentamento della crescita del Paese ed il costante indebitamento medio delle famiglie sudcoreane minacciano di portare alla sclerosi il modello di sviluppo che ha reso la Corea del Sud una delle principali potenze economiche su scala globale. La marcata disuguaglianza economica che divide le classi lavorative del Paese e l’alto tasso di disoccupazione, specialmente tra i giovani, sono altri due importanti fattori di rischio. La progressiva precarietà nel mondo del lavoro ha infatti portato ad una drastica diminuzione dei matrimoni con un forte impatto anche sul numero delle nascite, con il tasso di crescita demografica attualmente all’ 1.2% ed in costante diminuzione. Distensione con Pyongyang e questione ambientale Altra questione delicata è poi quella ambientale, tema sempre più importante per gli elettori sudcoreani. Nei primi mesi del 2017, il livello dell’inquinamento atmosferico nell’area metropolitana di Seoul ha segnato un nuovo record negativo, facendo apparire per la prima volta la capitale sudcoreana tra le città asiatiche con la più alta concentrazione giornaliera di polveri sottili. Per poter ridurre le proprie emissioni, il Paese sta progressivamente spostando il suo fabbisogno energetico su nuovi impianti industriali, ma anche in questo caso il problema dello smaltimento dei rifiuti sembra ancora essere privo di soluzione. Infine, vi è la delicata posizione di Seoul sulla scena internazionale. L’escalation militare tra Corea del Nord e Stati Uniti ha portato nelle scorse settimane allo schieramento in territorio sudcoreano dello scudo missilistico Thaad, fortemente inviso alla Cina, la quale ha minacciato pesanti ripercussioni economiche sui rapporti con Seoul. I sudcoreani si ritrovano così divisi su due fronti, con i liberali che chiedono di negoziare la riapertura dei canali di cooperazione economica con Pyongyang in cambio di una distensione dei rapporti ed il fronte conservatore che chiede di continuare sulla linea dura della deterrenza. L’agenda di Moon Le elezioni di martedì rappresentano dunque soltanto la prima delle numerose sfide che attendono Moon Jae-in in caso di vittoria. Il leader del Dpknon è di certo un volto nuovo nella politica sudcoreana. Con un passato da militante nelle associazioni studentesche e di avvocato per i diritti umani, Moon ha ricoperto dal 2003 al 2008 il ruolo di capo di gabinetto del presidente RohMoo-hyun, l’ultimo capo di Stato ad aver promosso una concreta politica distensiva nei confronti di Pyongyang. Contando su un forte consenso elettorale nelle due principali città metropolitane del paese, Seoul e Busan, Moon è sostenuto da un elettorato giovane, che vede nelle sue proposte la promessa di un taglio netto con la politica delle ultime due amministrazioni conservatrici. In ambito domestico, Moon ha promesso, oltre alla riforma delle cheabol, lo stanziamento di fondi statali che permetterebbero la creazione di circa un milione e mezzo di nuovi posti di lavoro. Ha inoltre avanzato l’idea di una possibile riforma costituzionale per poter permettere un secondo mandato presidenziale e garantire così maggiore continuità e stabilità al Paese. Sul fronte estero, invece, durante la campagna elettorale Moon Jae-in ha più volte espresso la volontà di riaprire ai negoziati con Pyongyang, indicando la cooperazione economica tra i due Paesi come l’unica soluzione pacifica che possa garantire una de-escalation militare nella regione. In questo senso, l’immediata riapertura del distretto industriale congiunto di Kaesong rappresenterebbe il primo passo verso la distensione dei rapporti con il Nord. Per quanto riguarda l’alleanza con Washington, Moon è stato molto critico nei confronti del dispiegamento del Thaad e si è espresso più volte a favore di un maggiore controllo di Seoul sulle decisioni strategiche riguardanti la difesa del Paese. La fermezza di Moon Jae-in e le sue posizioni riguardo il futuro delle relazioni inter-coreane gli sono già valsi il soprannome di “negoziatore” sull’ultima copertina del Times, ma per poter dimostrare l’efficacia delle sue convinzioni il candidato progressista dovrà ancora aspettare sino a martedì. Lorenzo Mariani è assistente alla ricerca dell’area Asia dello IAI, dove si occupa di Relazioni internazionali dell’Asia orientale. | ||||||||
Uniformologia, Uniformi del Patto di Varsavia
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