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Lungo i 1500 chilometri di confine tagiko-afgano, dagli anni Novanta è schierata la 201esima divisione dell'esercito russo, unità forte di 7 mila uomini che resterà impegnata fino al 2042, almeno secondo l'accordo al quale sono giunti a Dušanbe il presidente della Federazione russa Vladimir Putin e il suo omologo tagiko Emomali Rahmon il 27 febbraio scorso.
Non si tratta, però, di un'eredità della Guerra fredda: infatti, l'attenzione di Mosca per l'Asia centrale è motivata dal fatto che i confini meridionali della Federazione si incrociano con quelli delle giovani repubbliche tagika e uzbeka, le cui difficili condizioni sociali, economiche e di sicurezza interna facilitano il fiorire di illeciti che vanno dal contrabbando di droga al terrorismo. Lotta al narcotraffico Nel 2010, il direttore dell'United Nations Office on Drugs and Crime (Unodc) aveva ricordato che il Tagikistan è la prima linea di difesa dal narcotraffico afgano, attività che alimenta un fiume di droga pronta a riversarsi in Russia e in Occidente. Secondo i dati Unodc, infatti, circa il 20% dell'eroina e il 15% dell'oppio prodotti in Afghanistan passerebbero per le terre tagike, creando un indotto che frutta ai narcos un guadagno stimato in mezzo miliardo di dollari all'anno. Un grande business, dunque, le cui radici affondano nella debolezza stessa della repubblica tagika: il lungo conflitto interno seguito all'indipendenza dall'Unione Sovietica, la mancanza di un tessuto industriale sviluppato e la stessa orografia della nazione hanno impedito il pieno sviluppo di un Paese oggi fra i più poveri dell'Asia. Tagikistan: un Paese in ginocchio Nel suo ‘The World Factbook 2015’, la Central Intelligence Agency delinea così la situazione economica della repubblica centroasiatica: “Il Paese è povero e montagnoso con un'economia basata su estrazione mineraria, lavorazione dei metalli e agricoltura. La guerra civile del 1992-1997 ha negativamente inficiato sul già debole settore produttivo, creando danni alla produzione industriale e agricola e, oggi, il Tagikistan è una delle 15 ex repubbliche sovietiche con il Pil più basso. Meno del 7% del territorio è arabile e il cotone è il raccolto più importante. Il Tagikistan importa circa il 60% delle sue derrate alimentari […]. L'industria consiste principalmente in piccole e antiquate fabbriche di lavorazione del cibo e nell' industria leggera, grandi impianti idroelettrici e un grande impianto di alluminio, attualmente in funzione ben al di sotto della sua capacità”. Difficoltà e carenze che spingono molti cittadini ad intraprendere altre strade per assicurarsi un futuro: “Mancando occasioni di impiego, più di un milione di cittadini tagiki lavora all'estero (dei quali il 90% in Russia), sostenendo le famiglie con rimesse di denaro che corrispondono a quasi il 50% del Pil. Alcuni esperti stimano il valore (del flusso, nda) dei narcotici che attraversano il Tagikistan in circa il 30-50% del Pil”. Di fronte ad un tessuto industriale molto lacerato, ad una povertà diffusa e alla dipendenza dall'estero sia in termini di importazioni, sia perché il reddito di intere famiglie proviene dal denaro che i congiunti emigrati inviano a casa, il mercato della droga può rappresentare per alcuni una forma di sostentamento. E non solo come traffico: l'oppio di origine afgana viene raffinato in laboratori che sorgono in Tagikistan e nel vicino Uzbekistan, altro Paese che Mosca non perde di vista. Uzbekistan: jihad e immigrazione Qui, infatti, altri reparti militari russi si occupano dell'addestramento dell'esercito e della polizia: “La Russia addestra e sostiene le forze uzbeke, coinvolgendole anche in operazioni di peacekeeping. L'Uzbekistan partecipa a diverse iniziative della Comunità degli Stati Indipendenti (l'organizzazione con sede a Minsk fondata nel 1991 e che comprende Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizistan, Moldavia, Russia, Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, nda) volti a rafforzare la sicurezza collettiva e ad incrementare la cooperazione economica fra i membri”, scrive Peter Truscott in Russia First: Breaking with the West del 1997. Una linea di law enforcement e di stretta collaborazione diplomatica ed economica che Putin ha voluto riconfermare nel corso del già citato viaggio in Asia centrale del febbraio scorso, quando ha incontrato Shavkat Miromonovich Mirziyoyev, nominato nuovo presidente dell'Uzbekistan in seguito alla morte del predecessore Islam Karimov. Membro della Comunità economica euroasiatica (Eaec) dal 2015, Tashkent mantiene legami forti con Mosca, ma cerca di guardare anche oltre: Mirziyoyev ha recentemente annunciato un piano di riforme economiche che, oltre una riduzione della tassazione, punta anche alla possibilità di aprirsi ad opportunità nuove, attirando dall'estero capitali ed investimenti capaci di rimettere in moto l'industria uzbeka. D’altronde, come il Tagikistan, l’Uzbekistan ha un reddito pro capite estremamente basso (meno di 2000 dollari all'anno) ed è esposto al rischio del proliferare del narcotraffico e di altri illeciti, fra i quali anche il terrorismo. L’Imu (Islamic Movement Uzbekistan) ed altre cellule jihadiste già in passato hanno inviato miliziani a combattere in Afghanistan prima contro l'Armata Rossa e poi contro gli americani, mentre, più di recente, a prendere parte al conflitto civile in Siria. Alla droga e al terrorismo si aggiunge, inoltre, il problema dell'immigrazione clandestina, con milioni di tagiki e uzbeki che vivono e lavorano in Russia spesso in clandestinità e sfruttati da organizzazioni criminali. Va da sé, quindi, che immigrazione irregolare, eroina e pericolo terrorismo siano fattori sufficienti a motivare l'attenzione, militare e diplomatica, che il Cremlino mostra nei confronti della cintura meridionale dell'ex impero sovietico. Marco Petrelli, Laureato in Storia all'Università degli Studi di Firenze è giornalista e collaboratore di testate, online, nazionali per le quali approfondisce argomenti legati alla politica internazionale e alla difesa. È autore di due libri sull'Aeronautica Nazionale Repubblicana. | ||||||||
Uniformologia, Uniformi del Patto di Varsavia
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