Si è conclusa con quasi dieci mesi di anticipo rispetto alla naturale scadenza del mandato la presidenza di Park Geun-hye, figlia dell’ex-dittatore Park Chung-hee e prima donna alla guida della Corea del Sud.
Il 10 marzo, dopo quattro mesi dallo scandalo che aveva portato la presidentessa alla messa in stato d’accusa, la Corte costituzionale sudcoreana ha confermato con voto unanime le accuse mosse nei confronti della Park, obbligandola di fatto a rassegnare le proprie dimissioni.
La Park era stata sospesa dall’incarico nel dicembre dello scorso anno a seguito del presunto coinvolgimento nel caso di corruzione che aveva portato all’arresto di Choi Soo Sil, sua amica d’infanzia. Dalle indagini era emerso che la Choi, vera e propria eminenza grigia dell’amministrazione Park, aveva avuto regolare accesso a documenti governativi riservati ed era accusata di aver influenzato le scelte della presidentessa: una circostanza che aveva messo in discussione l’integrità e l’affidabilità della più alta carica dello Stato.
Il vuoto di potere generato dalla crisi di governo apre ora un periodo delicato per la Corea del Sud. Se il rallentamento della crescita economica e la necessità di riformare le chaebol (i conglomerati industriali che dominano l’economia sudcoreana) rappresentano i due temi di politica interna di maggior urgenza, è tuttavia dal punto di vista internazionale che il prossimo presidente dovrà scegliere con cautela la propria strategia. In un clima globale particolarmente teso, il primo ministro e presidente ad interim Hwang Kyo-ahn avrà di fronte a sé 60 giorni per condurre il Paese alle elezioni anticipate.
Equilibri nella penisola Dal punto di vista internazionale, Seoul si ritrova in una situazione geopolitica particolarmente critica, marcata dalle crescenti tensioni con la Corea del Nord e dalle scelte in possibile rotta di collisione con la Cina del presidente statunitense Donald Trump.
Il 6 marzo, quattro missili sono stati lanciati simultaneamente dal sito militare di Tongchang-ri in Corea del Nord: tre di questi sono ammarati nel Mar del Giappone, all’interno della zona economica esclusiva (Zee) di Tokyo. Il lancio è avvenuto in risposta all’inizio delle annuali esercitazioni militari congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud, che da quarant’anni si tengono solitamente in questo periodo e che Pyongyang vede come delle vere e proprie prove di invasione.
L’elezione di Trump, lo scorso novembre, aveva messo in discussione la cooperazione militare tra americani e sudcoreani, ma il presidente sembrerebbe essere tornato sui suoi passi riguardo la necessità per Washington di mantenere salda la propria presenza nella penisola, almeno per il momento.
Allo stesso tempo, Usa e Corea del Sud hanno trovato un accordo per l’installazione dello scudo missilistico Thaad (Terminal High Altitude Area Defense), che avrà il compito di neutralizzare la minaccia missilistica nordcoreana. Il test simultaneo di inizio marzo ha accelerato i piani di dispiegamento, tanto che le prime componenti dello scudo missilistico sarebbero già arrivate in Corea poco dopo.
Seoul fra Cina e Usa Ed è proprio sulla questione dell’installazione del Thaad che nelle settimane passate le relazioni tra Pechino e Seoul si sono fatte sempre più tese. Nonostante la Cina abbia recentemente riconosciuto la necessità per la Corea del Sud di far fronte alla crescente minaccia nordcoreana, dal suo punto di vista lo scudo missilistico americano rappresenterebbe più una manovra di contenimento nei confronti del Paese del Dragone che un sistema di difesa per Seoul.
Il raggio d’azione dello scudo si estenderebbe, infatti, ben oltre la penisola coreana e, se integrato con nuove installazioni nelle Filippine ed in Giappone, rappresenterebbe una seria minaccia ai crescenti interessi della Cina nella regione.
Pechino ha minacciato ritorsioni economiche nei confronti di aziende sudcoreane: nel corso dell’ultima settimana, una campagna di boicottaggio ha preso di mira la catena di supermercati Lotte, dopo la notizia che il gruppo sudcoreano avrebbe concesso al governo di Seoul alcuni terreni di sua proprietà per ospitare il Thaad.
Le crescenti tensioni diplomatiche rischiano di mettere in seria discussione non solo i rapporti commerciali e finanziari tra i due Paesi ma anche di trascinare la Cina verso un’ulteriore corsa agli armamenti. Alle parole del ministro degli Esteri cinese WangYi (secondo il quale Seoul e Washington “dovranno rispondere di tutte le conseguenze” che scaturiranno dalle loro “scelte sbagliate”) hanno fatto seguito i preoccupati editoriali pubblicati dal Global Times e dall’agenzia cinese Xinhua, nei quali si invitava Pechino a incrementare il proprio arsenale militare per controbilanciare l’egemonia militare statunitense.
I candidati alla successione Come prevedibile, l’impeachment della presidentessa Park ha riportato gran parte del consenso dell’elettorato sudcoreano verso l’attuale forza di opposizione, il Democratic Party of Korea (Dpk), per il quale ora si presenta una grande occasione per riconquistare la presidenza dopo i due mandati consecutivi del partito conservatore.
Stando alle ultime proiezioni rilasciate dall’agenzia Realmeter, la breve campagna elettorale non dovrebbe riservare grandi sorprese: i due candidati favoriti sono entrambi del Democratic Party e hanno un distacco percentuale che gli avversari potranno difficilmente recuperare. In testa ai sondaggi, con il 32% delle preferenze, è Moon Jae-in, sessantaquattrenne ex parlamentare del Dpk, l’avversario sconfitto dalla Park nel 2012 con uno scarto di appena il 3%.
In politica estera, Moon si discosta profondamente dall’amministrazione uscente: è a favore di un approccio più flessibile con Pyongyang ed ha anche promesso di rivedere la decisione di dispiegare il Thaad alla luce della reazione cinese.
Il candidato che potrebbe maggiormente insidiare Moon è An Hee-jung, anch’egli proveniente dall’ala di centrosinistra: secondo le rilevazioni, è dato al 17%. Come Moon, An suggerisce di rivedere la strategia nazionale nei confronti della Corea del Nord, ma senza rinunciare allo sviluppo del Thaad. Con la sua posizione più moderata, An ha intenzione di creare una grande coalizione, cercando di attirare i voti non solo dell’elettorato centrista ma anche dei conservatori delusi dalla Park.
Fra le fila del centrodestra, attualmente al minimo storico dei consensi, potrebbe emergere la candidatura del presidente ad interim Hwang Kyo-ahn, considerato uno dei fedelissimi della Park e fermo sostenitore della sua politica estera. Dalla sua parte sarebbe al momento il 9% dell’elettorato. Hwang, che ha promesso di portare a termine l’istallazione dello scudo missilistico prima delle elezioni, potrebbe sfruttare questi ultimi due mesi prima del voto per raccogliere consensi tra i sostenitori della presidentessa delusi dalla decisione della Corte costituzionale.
Lorenzo Mariani e Giuseppe Spatafora sono assistenti alla ricerca dell’area Asia dello IAI, dove si occupano di Relazioni internazionali dell’Asia orientale.
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