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I Paesi dell’Europa centro-orientale hanno un ruolo significativo per l’attuazione della Belt & Road Inititative (Bri), la nuova Via della Seta che punta a migliorare collegamenti e cooperazione nella regione eurasiatica. Una convinzione rafforzata dalle visite del presidente cinese Xi Jinping a Praga, Belgrado e Varsavia, l’anno scorso.
Già nel 2012, la Cina aveva lanciato una piattaforma per la cooperazione 16+1 con i sedici paesi dell’Europa centrale, orientale e sud-orientale. Con l’avvio della Bri, nel 2013 il raggruppamento 16+1 è stato riformulato come uno dei meccanismi per l’implementazione della nuova iniziativa. Insoddisfazione per l’Ue, arriva Pechino In Europa, il principale interrogativo attorno alla cooperazione 16+1 riguarda i suoi potenziali effetti sulle relazioni fra Unione europea, Ue e Cina: undici dei Paesi interessati sono infatti membri dell’Ue. Interrogativi altrettanto importanti - anch’essi con ricadute sulle relazioni fra Bruxelles e Pechino - suscita pure la cooperazione fra la Cina e i rimanenti cinque Paesi della regione, interlocutori privilegiati dell’Ue in ottica di allargamento: Albania, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Montenegro e Serbia. Le guerre degli anni Novanta e il conseguente declino politico ed economico della regione hanno privato i Paesi balcanici di buona parte del loro peso internazionale. Negli ultimi 25 anni, l’agenda regionale è stata di fatto dettata dalla comunità internazionale, vale a dire in primis dall’Ue e dagli Stati Uniti. Vista in passato come portatrice di cambiamenti positivi, l’Ue è oggi considerata sempre più come parte del problema. Ancora peggiore è il bilancio sul piano delle trasformazioni economiche. Le riforme neoliberiste hanno prodotto devastazione economica. La crisi finanziaria globale ha finito per consolidare la posizione dei Balcani quale “super-periferia” dell’Europa, che ha sofferto maggiormente della recessione globale del 2008-2009. Se i settori ad alta intensità di lavoro prosperano nella regione, è perché qui il lavoro manuale costa ancora meno che in Cina. Una cooperazione pragmatica La Bri approda quindi nei Balcani proprio nel momento in cui a dominare è l’insoddisfazione per i paradigmi prevalenti negli ultimi 25 anni. I principi su cui si basa l’iniziativa sono assai differenti da quelli sinora promossi dall’Occidente. La parola-chiave impiegata dalla Cina è infatti “potenziale economico non sfruttato”: la cooperazione interessa cioè diversi ambiti, ma viene qualificata come “pragmatica”, nel senso che le questioni politiche vengono lasciate al di fuori del perimetro delle discussioni. L’attenzione si concentra piuttosto sull’elaborazione e sull’attuazione di progetti concreti, in alcuni settori prioritari: le reti infrastrutturali di trasporto ed energia, la cooperazione in materia di capacità industriale e il potenziamento di commercio e investimenti. Lentamente ma con costanza, la Cina ha saputo garantire risultati concreti: autostrade, centrali elettriche e stabilimenti siderurgici sono in fase di realizzazione o sono già stati completati, mentre un numero sempre maggiore di progetti è oggetto di discussione in svariate sedi politiche e accademiche. Nonostante Pechino riconosca la differenza esistente fra Stati membri dell’Ue e non - e anzi attribuisca ai secondi una maggiore “flessibilità” nella cooperazione -, l’approccio sinora seguito dalla Cina rifugge dalla caratterizzazione dei Balcani come gruppo strutturalmente distinto per specificità storiche e culturali (spesso negative). Al contrario, Pechino guarda ai Paesi dell’ex Jugoslavia come parte di una regione più ampia, definita sulla base di somiglianze strutturali e prossimità geografiche. Allo stesso modo, la geografia mentale della Cina non vede nei Balcani il retroterra dell’Europa, bensì un ponte fra regioni diverse. È su queste basi che sono stati inclusi nella Bri progetti infrastrutturali su vasta scala, come la cosiddetta China-Europe Land-Sea Express Railway, che collega Budapest al porto greco del Pireo (ora posseduto al 67% dalla cinese Cosco) attraverso Serbia e Macedonia, coinvolgendo Paesi Ue e non. Si mira così a superare le distinzioni e le contrapposizioni storiche attraverso una cooperazione intra-regionale che appare oggi imprescindibile. Ciò dovrebbe permettere ai Balcani di ritrovare un ruolo internazionale e di agire in prima persona sulla propria agenda di sviluppo. La cooperazione all’interno della Brisi presenta come un processo aperto e senza condizionalità, con risultati facilmente visibili e misurabili in termini di investimenti infrastrutturali e di flussi commerciali. L’iniziativa è ancora allo stadio iniziale e avrà bisogno di tempo per crescere ed espandersi. Assumendo che la tendenza attuale continui, quali potranno esserne i risultati? La Cina non intende sostituire l’Ue e gli Stati Uniti quale principale attore esterno nella regione; non ne avrebbe peraltro il potenziale. Né può fare miracoli, come spera qualcuno.L’esperienza di altre regioni mostra, tuttavia, che a un intensificarsi della diplomazia economica cinese corrispondono migliori performance economiche. Anche se ciò ha un prezzo: per esempio, la Cina influenza indirettamente il dibattito locale sui modelli politici, offrendo spesso ispirazione ai fautori di militarismo e liberalizzazione economica. Bca, Bri e riflessi per l’Italia Quale sarà la risposta degli altri attori globali - e dell’Ue in particolare - all’espansione della Bri nei Balcani? Nel 2014, Bruxelles ha avviato il cosiddetto Processo di Berlino sui Balcani occidentali e nel 2015 la Balkan connectivity agenda (Bca), mettendo per la prima volta l’accento sullo sviluppo economico. Dati il cambiamento di approccio e la somiglianza con quanto la Cina sta facendo nella regione, la Bca è stata vista da alcuni come la risposta europea alla Bri. Ma Cina e Ue restano dopotutto partner strategici: così come hanno individuato forme di coordinamento fra il piano Juncker e la Bri, potrebbero riuscire a creare sinergie tra la Bca e la componente balcanica della Bri. Infine, che cosa significa per l’Italia il crescente coinvolgimento della Cina nei Balcani? Tramite il mare Adriatico e il porto di Trieste, l’Italia è fisicamente connessa ai Balcani, i suoi legami storici e culturali con la regione sono profondi e Roma resta tuttora uno dei principali partner economici dei Paesi balcanici. Le nuove vie di comunicazione terrestri e marittime delineate dalla Bri non potranno che rafforzare tali legami, mentre il rilancio di un’agenda economica per i Balcani creerà nuove opportunità per la cooperazione economica. Sono questi, di per sé, incentivi sufficienti per mettere a frutto l’esperienza che l’Italia ha maturato nella cooperazione tanto con la Cina quanto con i Balcani. Traduzione dall’inglese a cura di Simone Dossi. Articolo pubblicato su OrizzonteCina, rivista online sulla Cina contemporanea a cura di Torino World Affairs Institute e Istituto Affari Internazionali. Anastas Vangeli, dottorando, Graduate School for Social Research dell’Accademia polacca delle scienze; junior research fellow, T.wai |
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