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![]() Seul è stata infatti la prima capitale di un grande Paese industrializzato a siglare un accordo di libero scambio (Free trade agreement – Fta) con l’Ue nel luglio 2011. Da allora, l’interscambio Ue-Corea del Sud è in continuo aumento, anche perché dal 1̊ luglio 2016 i dazi all’importazione sono stati eliminati su tutti i prodotti ad eccezione di un numero limitato di derrate agricole. Rapporti Corea del Sud-Ue sempre più stretti L’interscambio bilaterale Italia-Corea del Sud è cresciuto di conseguenza negli ultimi anni. Secondo i dati Ice, nel 2010 l’interscambio complessivo era pari a 5,5 miliardi di euro con esportazioni italiane per 2,5 miliardi di euro. Nel 2015, l’interscambio è arrivato a 7,7 miliardi di euro e le nostre esportazioni sono salite oltre i 4,5 miliardi di euro, a dimostrazione del salto di qualità rappresentato dall’accordo di libero scambio. I dati definitivi per il 2016, sebbene non ancora pubblicati, lasciano intravvedere un aumento ulteriore dell’interscambio, in particolare nell’alimentare e nella moda, ma anche in settori quali automotive, macchine utensili, biomedicale e biotecnologie. Sull’onda del successo dell’accordo con la Corea del Sud, la Ue sta finalizzando un Fta con il Giappone (che si dovrebbe concludere quest’anno), ha aperto le discussioni con l’India e ha in corso negoziazioni con la Cina su un accordo sugli investimenti. La Corea del Sud ha pertanto fatto da apripista agli accordi commerciali tra la Ue e i grandi Paesi asiatici. Seul rappresenta – dopo Giappone, Cina e India - la quarta potenza economica dell’Asia e la sesta potenza manifatturiera mondiale, avendo superato proprio l’Italia nel 2010. Il legame tra Corea del Sud e Europa non è solo economico, ma anche politico. Seul è stata, infatti, la prima capitale sempre di un grande Paese industrializzato a siglare, nel 2015, un accordo con la Ue per la partecipazione alle missioni europee di gestione delle crisi, in particolare in Africa. Anche in questo caso, la Corea del Sud sta facendo da apripista per altri paesi asiatici. Questa luna di miele tra Ue e Seul richia, però, di venire turbata da un terzo incomodo: Pyongyang. La minaccia nord-coreana La Corea del Sud si trova ora in uno stato di massima allerta, dopo che il 6 marzo, quattro missili sono stati lanciati simultaneamente dal sito militare di Tongchang-ri in Corea del Nord. Il lancio è avvenuto in risposta all’inizio delle annuali esercitazioni militari congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud, che da quarant’anni si tengono solitamente in questo periodo e che Pyongyang vede come delle vere e proprie prove di invasione. Allo stesso tempo, Usa e Corea del Sud hanno trovato un accordo per l’installazione dello scudo missilistico Thaad (Terminal High Altitude Area Defense), che avrà il compito di neutralizzare la minaccia missilistica nordcoreana. Il test simultaneo di inizio marzo ha accelerato i piani di dispiegamento, a tal punto che le prime componenti dello scudo missilistico sono già arrivate a Seul. Il tutto succede in un momento di grave crisi politica nel Sud, dopo che il 10 marzo – e dopo ben quattro mesi dallo scandalo che aveva portato la presidentessa Park Geun-hye alla messa in stato d’accusa - la Corte costituzionale sudcoreana ha confermato con voto unanime le accuse mosse nei confronti della Park, obbligandola di fatto a rassegnare le proprie dimissioni. In un tale conteso, il 17 marzo è avvenuta la visita di Rex Tillerson in Corea del Sud. Il segretario di Stato Usa ha voluto rassicurare l’alleato, dichiarando che tutte le opzioni sono aperte (‘all options are on the table’) nei confronti della Corea del Nord. Cosa può fare l’Italia Di fronte alla minaccia nord-coreana e al dispiegamento del Thaad, non c’è molto che l’Europa e l’Italia possano fare, se non ricordare - come ha fatto l’Alto Commissario Federica Mogherini in varie dichiarazioni nelle ultime settimane – la ferma condanna alle provocazioni provenienti da Pyongyang e l’auspicio che si trovi una soluzione che garantisca pace e stabilità alla penisola coreana. Una cosa però il governo italiano può fare. Ed è di ricordarsi che la penisola coreana non è cosi lontana, e che i missili nord-coreani colpiscono indirettamente anche noi, visto che minacciano la sicurezza di un Paese – la Corea del Sud - che è sempre piu vicino a noi, sia economicamente, che politicamente. In qualità di membro del club del G7, l’Italia deve sforzarsi – nonostante il provincialismo della maggioranza della classe politica italiana – a pensare in maniera globale. Perche se è vero che Roma può fare poco, è altrettanto vero che, anche solo mantenendo l’attenzione viva sulla crisi che attanaglia la penisola coreana, l’Italia dà il suo contributo alla questione. In tal senso il 30 marzo lo IAI organizza a Firenze una conferenza su What Future for the Korean Peninsula?. Nicola Casarini è coordinatore dell’area di ricerca Asia dello IAI. |
venerdì 31 marzo 2017
Le due Coree: prospettive italiane
martedì 28 marzo 2017
Una volta si chiamava Birmania
domenica 26 marzo 2017
Corea del sud:: si cerca una soluzione
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![]() Il 10 marzo, dopo quattro mesi dallo scandalo che aveva portato la presidentessa alla messa in stato d’accusa, la Corte costituzionale sudcoreana ha confermato con voto unanime le accuse mosse nei confronti della Park, obbligandola di fatto a rassegnare le proprie dimissioni. La Park era stata sospesa dall’incarico nel dicembre dello scorso anno a seguito del presunto coinvolgimento nel caso di corruzione che aveva portato all’arresto di Choi Soo Sil, sua amica d’infanzia. Dalle indagini era emerso che la Choi, vera e propria eminenza grigia dell’amministrazione Park, aveva avuto regolare accesso a documenti governativi riservati ed era accusata di aver influenzato le scelte della presidentessa: una circostanza che aveva messo in discussione l’integrità e l’affidabilità della più alta carica dello Stato. Il vuoto di potere generato dalla crisi di governo apre ora un periodo delicato per la Corea del Sud. Se il rallentamento della crescita economica e la necessità di riformare le chaebol (i conglomerati industriali che dominano l’economia sudcoreana) rappresentano i due temi di politica interna di maggior urgenza, è tuttavia dal punto di vista internazionale che il prossimo presidente dovrà scegliere con cautela la propria strategia. In un clima globale particolarmente teso, il primo ministro e presidente ad interim Hwang Kyo-ahn avrà di fronte a sé 60 giorni per condurre il Paese alle elezioni anticipate. Equilibri nella penisola Dal punto di vista internazionale, Seoul si ritrova in una situazione geopolitica particolarmente critica, marcata dalle crescenti tensioni con la Corea del Nord e dalle scelte in possibile rotta di collisione con la Cina del presidente statunitense Donald Trump. Il 6 marzo, quattro missili sono stati lanciati simultaneamente dal sito militare di Tongchang-ri in Corea del Nord: tre di questi sono ammarati nel Mar del Giappone, all’interno della zona economica esclusiva (Zee) di Tokyo. Il lancio è avvenuto in risposta all’inizio delle annuali esercitazioni militari congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud, che da quarant’anni si tengono solitamente in questo periodo e che Pyongyang vede come delle vere e proprie prove di invasione. L’elezione di Trump, lo scorso novembre, aveva messo in discussione la cooperazione militare tra americani e sudcoreani, ma il presidente sembrerebbe essere tornato sui suoi passi riguardo la necessità per Washington di mantenere salda la propria presenza nella penisola, almeno per il momento. Allo stesso tempo, Usa e Corea del Sud hanno trovato un accordo per l’installazione dello scudo missilistico Thaad (Terminal High Altitude Area Defense), che avrà il compito di neutralizzare la minaccia missilistica nordcoreana. Il test simultaneo di inizio marzo ha accelerato i piani di dispiegamento, tanto che le prime componenti dello scudo missilistico sarebbero già arrivate in Corea poco dopo. Seoul fra Cina e Usa Ed è proprio sulla questione dell’installazione del Thaad che nelle settimane passate le relazioni tra Pechino e Seoul si sono fatte sempre più tese. Nonostante la Cina abbia recentemente riconosciuto la necessità per la Corea del Sud di far fronte alla crescente minaccia nordcoreana, dal suo punto di vista lo scudo missilistico americano rappresenterebbe più una manovra di contenimento nei confronti del Paese del Dragone che un sistema di difesa per Seoul. Il raggio d’azione dello scudo si estenderebbe, infatti, ben oltre la penisola coreana e, se integrato con nuove installazioni nelle Filippine ed in Giappone, rappresenterebbe una seria minaccia ai crescenti interessi della Cina nella regione. Pechino ha minacciato ritorsioni economiche nei confronti di aziende sudcoreane: nel corso dell’ultima settimana, una campagna di boicottaggio ha preso di mira la catena di supermercati Lotte, dopo la notizia che il gruppo sudcoreano avrebbe concesso al governo di Seoul alcuni terreni di sua proprietà per ospitare il Thaad. Le crescenti tensioni diplomatiche rischiano di mettere in seria discussione non solo i rapporti commerciali e finanziari tra i due Paesi ma anche di trascinare la Cina verso un’ulteriore corsa agli armamenti. Alle parole del ministro degli Esteri cinese WangYi (secondo il quale Seoul e Washington “dovranno rispondere di tutte le conseguenze” che scaturiranno dalle loro “scelte sbagliate”) hanno fatto seguito i preoccupati editoriali pubblicati dal Global Times e dall’agenzia cinese Xinhua, nei quali si invitava Pechino a incrementare il proprio arsenale militare per controbilanciare l’egemonia militare statunitense. I candidati alla successione Come prevedibile, l’impeachment della presidentessa Park ha riportato gran parte del consenso dell’elettorato sudcoreano verso l’attuale forza di opposizione, il Democratic Party of Korea (Dpk), per il quale ora si presenta una grande occasione per riconquistare la presidenza dopo i due mandati consecutivi del partito conservatore. Stando alle ultime proiezioni rilasciate dall’agenzia Realmeter, la breve campagna elettorale non dovrebbe riservare grandi sorprese: i due candidati favoriti sono entrambi del Democratic Party e hanno un distacco percentuale che gli avversari potranno difficilmente recuperare. In testa ai sondaggi, con il 32% delle preferenze, è Moon Jae-in, sessantaquattrenne ex parlamentare del Dpk, l’avversario sconfitto dalla Park nel 2012 con uno scarto di appena il 3%. In politica estera, Moon si discosta profondamente dall’amministrazione uscente: è a favore di un approccio più flessibile con Pyongyang ed ha anche promesso di rivedere la decisione di dispiegare il Thaad alla luce della reazione cinese. Il candidato che potrebbe maggiormente insidiare Moon è An Hee-jung, anch’egli proveniente dall’ala di centrosinistra: secondo le rilevazioni, è dato al 17%. Come Moon, An suggerisce di rivedere la strategia nazionale nei confronti della Corea del Nord, ma senza rinunciare allo sviluppo del Thaad. Con la sua posizione più moderata, An ha intenzione di creare una grande coalizione, cercando di attirare i voti non solo dell’elettorato centrista ma anche dei conservatori delusi dalla Park. Fra le fila del centrodestra, attualmente al minimo storico dei consensi, potrebbe emergere la candidatura del presidente ad interim Hwang Kyo-ahn, considerato uno dei fedelissimi della Park e fermo sostenitore della sua politica estera. Dalla sua parte sarebbe al momento il 9% dell’elettorato. Hwang, che ha promesso di portare a termine l’istallazione dello scudo missilistico prima delle elezioni, potrebbe sfruttare questi ultimi due mesi prima del voto per raccogliere consensi tra i sostenitori della presidentessa delusi dalla decisione della Corte costituzionale. Lorenzo Mariani e Giuseppe Spatafora sono assistenti alla ricerca dell’area Asia dello IAI, dove si occupano di Relazioni internazionali dell’Asia orientale. |
mercoledì 8 marzo 2017
CINA: nuove prospettive in Europa
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![]() Già nel 2012, la Cina aveva lanciato una piattaforma per la cooperazione 16+1 con i sedici paesi dell’Europa centrale, orientale e sud-orientale. Con l’avvio della Bri, nel 2013 il raggruppamento 16+1 è stato riformulato come uno dei meccanismi per l’implementazione della nuova iniziativa. Insoddisfazione per l’Ue, arriva Pechino In Europa, il principale interrogativo attorno alla cooperazione 16+1 riguarda i suoi potenziali effetti sulle relazioni fra Unione europea, Ue e Cina: undici dei Paesi interessati sono infatti membri dell’Ue. Interrogativi altrettanto importanti - anch’essi con ricadute sulle relazioni fra Bruxelles e Pechino - suscita pure la cooperazione fra la Cina e i rimanenti cinque Paesi della regione, interlocutori privilegiati dell’Ue in ottica di allargamento: Albania, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Montenegro e Serbia. Le guerre degli anni Novanta e il conseguente declino politico ed economico della regione hanno privato i Paesi balcanici di buona parte del loro peso internazionale. Negli ultimi 25 anni, l’agenda regionale è stata di fatto dettata dalla comunità internazionale, vale a dire in primis dall’Ue e dagli Stati Uniti. Vista in passato come portatrice di cambiamenti positivi, l’Ue è oggi considerata sempre più come parte del problema. Ancora peggiore è il bilancio sul piano delle trasformazioni economiche. Le riforme neoliberiste hanno prodotto devastazione economica. La crisi finanziaria globale ha finito per consolidare la posizione dei Balcani quale “super-periferia” dell’Europa, che ha sofferto maggiormente della recessione globale del 2008-2009. Se i settori ad alta intensità di lavoro prosperano nella regione, è perché qui il lavoro manuale costa ancora meno che in Cina. Una cooperazione pragmatica La Bri approda quindi nei Balcani proprio nel momento in cui a dominare è l’insoddisfazione per i paradigmi prevalenti negli ultimi 25 anni. I principi su cui si basa l’iniziativa sono assai differenti da quelli sinora promossi dall’Occidente. La parola-chiave impiegata dalla Cina è infatti “potenziale economico non sfruttato”: la cooperazione interessa cioè diversi ambiti, ma viene qualificata come “pragmatica”, nel senso che le questioni politiche vengono lasciate al di fuori del perimetro delle discussioni. L’attenzione si concentra piuttosto sull’elaborazione e sull’attuazione di progetti concreti, in alcuni settori prioritari: le reti infrastrutturali di trasporto ed energia, la cooperazione in materia di capacità industriale e il potenziamento di commercio e investimenti. Lentamente ma con costanza, la Cina ha saputo garantire risultati concreti: autostrade, centrali elettriche e stabilimenti siderurgici sono in fase di realizzazione o sono già stati completati, mentre un numero sempre maggiore di progetti è oggetto di discussione in svariate sedi politiche e accademiche. Nonostante Pechino riconosca la differenza esistente fra Stati membri dell’Ue e non - e anzi attribuisca ai secondi una maggiore “flessibilità” nella cooperazione -, l’approccio sinora seguito dalla Cina rifugge dalla caratterizzazione dei Balcani come gruppo strutturalmente distinto per specificità storiche e culturali (spesso negative). Al contrario, Pechino guarda ai Paesi dell’ex Jugoslavia come parte di una regione più ampia, definita sulla base di somiglianze strutturali e prossimità geografiche. Allo stesso modo, la geografia mentale della Cina non vede nei Balcani il retroterra dell’Europa, bensì un ponte fra regioni diverse. È su queste basi che sono stati inclusi nella Bri progetti infrastrutturali su vasta scala, come la cosiddetta China-Europe Land-Sea Express Railway, che collega Budapest al porto greco del Pireo (ora posseduto al 67% dalla cinese Cosco) attraverso Serbia e Macedonia, coinvolgendo Paesi Ue e non. Si mira così a superare le distinzioni e le contrapposizioni storiche attraverso una cooperazione intra-regionale che appare oggi imprescindibile. Ciò dovrebbe permettere ai Balcani di ritrovare un ruolo internazionale e di agire in prima persona sulla propria agenda di sviluppo. La cooperazione all’interno della Brisi presenta come un processo aperto e senza condizionalità, con risultati facilmente visibili e misurabili in termini di investimenti infrastrutturali e di flussi commerciali. L’iniziativa è ancora allo stadio iniziale e avrà bisogno di tempo per crescere ed espandersi. Assumendo che la tendenza attuale continui, quali potranno esserne i risultati? La Cina non intende sostituire l’Ue e gli Stati Uniti quale principale attore esterno nella regione; non ne avrebbe peraltro il potenziale. Né può fare miracoli, come spera qualcuno.L’esperienza di altre regioni mostra, tuttavia, che a un intensificarsi della diplomazia economica cinese corrispondono migliori performance economiche. Anche se ciò ha un prezzo: per esempio, la Cina influenza indirettamente il dibattito locale sui modelli politici, offrendo spesso ispirazione ai fautori di militarismo e liberalizzazione economica. Bca, Bri e riflessi per l’Italia Quale sarà la risposta degli altri attori globali - e dell’Ue in particolare - all’espansione della Bri nei Balcani? Nel 2014, Bruxelles ha avviato il cosiddetto Processo di Berlino sui Balcani occidentali e nel 2015 la Balkan connectivity agenda (Bca), mettendo per la prima volta l’accento sullo sviluppo economico. Dati il cambiamento di approccio e la somiglianza con quanto la Cina sta facendo nella regione, la Bca è stata vista da alcuni come la risposta europea alla Bri. Ma Cina e Ue restano dopotutto partner strategici: così come hanno individuato forme di coordinamento fra il piano Juncker e la Bri, potrebbero riuscire a creare sinergie tra la Bca e la componente balcanica della Bri. Infine, che cosa significa per l’Italia il crescente coinvolgimento della Cina nei Balcani? Tramite il mare Adriatico e il porto di Trieste, l’Italia è fisicamente connessa ai Balcani, i suoi legami storici e culturali con la regione sono profondi e Roma resta tuttora uno dei principali partner economici dei Paesi balcanici. Le nuove vie di comunicazione terrestri e marittime delineate dalla Bri non potranno che rafforzare tali legami, mentre il rilancio di un’agenda economica per i Balcani creerà nuove opportunità per la cooperazione economica. Sono questi, di per sé, incentivi sufficienti per mettere a frutto l’esperienza che l’Italia ha maturato nella cooperazione tanto con la Cina quanto con i Balcani. Traduzione dall’inglese a cura di Simone Dossi. Articolo pubblicato su OrizzonteCina, rivista online sulla Cina contemporanea a cura di Torino World Affairs Institute e Istituto Affari Internazionali. Anastas Vangeli, dottorando, Graduate School for Social Research dell’Accademia polacca delle scienze; junior research fellow, T.wai |
martedì 7 marzo 2017
Orizzonte CIna: Marzo 2017
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• La Belt & Road Initiative e il nuovo globalismo sinocentrico di Pechino | Enrico Fardella
• La geo-economia marittima, la Cina e la nuova centralità del Mediterraneo | Massimo Deandreis • L’impatto della Belt & Road Initiative sull’economia italiana | Giorgio Prodi • La dimensione people-to-people nella Belt & Road Initiative: come un pubblico strategico cinese percepisce l’Italia | Giovanni Andornino • La Via della seta nei Balcani: contesto e prospettive | Anastas Vangeli • Sicurezza, stabilità e interessi sulle sponde del Mar Rosso: il ruolo dei caschi blu cinesi | Andrea Ghiselli • La Via della seta marittima e il Mediterraneo | Nicola Casarini e Lorenzo Mariani • L’importanza crescente degli studenti universitari cinesi per la società italiana | Daniele Brigadoi Cologna • Li Kunwu e Philippe Ôtié, Una vita cinese. Il tempo del padre | Recensione di Giuseppe Gabusi |
CIna: le influenze economiche in Italia
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![]() È difficile dare una risposta precisa, mentre il presidente cinese Xi Jinping, incontrando a Pechino il Capo dello Stato Sergio Mattarella, invita l’Italia a essere un partner chiave della Bri. Da un lato, molti degli investimenti in infrastrutture devono essere ancora effettuati, se non addirittura progettati. Dall’altro, gli investimenti infrastrutturali sono solo una delle componenti della Bri. Va tuttavia notato che gli investimenti previsti dalla Bri si concentrano prevalentemente in Asia. In primo luogo, quindi, la Bri renderà più forti le connessioni tra i Paesi asiatici: il Vecchio Continente potrebbe, almeno in termini relativi, perdere parte della sua centralità economica. Due sono gli aspetti che possono avere maggiore impatto sulle imprese e sull’economia dell’Italia: le nuove reti ferroviarie che connettono la Cina all’Europa e il rafforzamento dei porti, in particolare nel sud del continente. Ferrovie: Roma vs Berlino La Bri prevede tre corridoi principali. Il primo è quello che dalla Cina attraversa Kazakhstan, Russia e Polonia e termina in Germania. Il secondo connette la Cina alla Transiberiana e quindi all’Europa. Il terzo è invece un passaggio più a sud. Il primo servizio di trasporto ferroviario commerciale che unisce Pechino all’Europa è del 2011 ed è quindi antecedente all’annuncio della Bri. Più recentemente, altri ne sono stati attivati, portando treni dalla Cina a Madrid e in altre città europee (ma pure a Teheran), anche se, bisogna dire, si tratta di treni con pochissimi container. L’aumento delle connessioni ferroviarie con l’Asia (non solo con la Cina) crea sicuramente nuove opportunità per le nostre imprese. Tuttavia l’impatto, almeno nel medio periodo, non sarà particolarmente rilevante. Le stime più accreditate prevedono che le nuove ferrovie saranno in grado di movimentare dai 300mila ai 500mila container l’anno. Numeri interessanti ma che rappresentano una piccola percentuale dei circa 20 milioni di container trasportati via mare ogni anno tra Europa e Asia. Vi sono però filiere produttive che potrebbero veder cambiare la propria posizione competitiva. Chi esporta prodotti che hanno un rapporto valore/peso elevato può guardare con interesse a un’opportunità che permette di tagliare i tempi di trasporto tra Europa e Asia da 35/40 giorni a 15/18 giorni, a fronte però di costi di trasporto che possono essere dalle tre alle quattro volte superiori a quelli via nave. Il settore automobilistico è uno di questi. Oggi, i produttori italiani hanno un limitato vantaggio competitivo rispetto ai competitor tedeschi: poiché quasi tutto viene trasportato via mare, ciò che è imbarcato nei porti italiani ha cinque giorni nave di vantaggio rispetto a quanto è imbarcato in Germania. L’utilizzo del trasporto su ferro azzererebbe il vantaggio tricolore e anzi lo ribalterebbe in parte, perché i tedeschi risulterebbero più vicini alla Cina rispetto ai concorrenti italiani. Diventerebbe però più facile per i cinesi esportare sui mercati europei e, quindi, anche in Italia. Ad oggi, l’Europa importa oltre 12 miliardi di dollari in beni relativi al settore automobilistico dalla Cina: è una percentuale minima rispetto al totale delle importazioni (350 miliardi di euro nel 2015), ma si tratta di volumi che potrebbero aumentare considerevolmente. Porti: il Pireo cannibalizza l’Adriatico? La sfida più importante che l’Italia deve affrontare riguarda però gli investimenti che la Cina sta facendo in diversi porti del Mediterraneo. Il più importante è sicuramente l’acquisizione del porto del Pireo da parte di Cosco, ma altri corposi investimenti sono in programma, ad esempio nel porto di Cherchell, in Algeria, che potrebbe competere con Gioia Tauro per le attività di trasbordo. È tuttavia il porto greco che può cambiare gli equilibri competitivi dell’Europa meridionale. Da un lato, il rafforzamento del Pireo è un fattore positivo perché aumenta l’attrattività del Mediterraneo, ma, dall’altro, può togliere traffico ai nostri porti, in particolare a quelli adriatici. Prima dell’investimento cinese, il porto ateniese movimentava circa 500mila container l’anno, oggi divenuti 3,1 milioni e con prospettive di raddoppiamento in pochi anni. Se a questo si aggiunge che, con fondi cinesi, si sta progettando una ferrovia per collegare il Pireo al centro Europa passando per i Balcani, appare chiaro come i porti italiani siano in una posizione di potenziale debolezza. Una condizione che non si ferma solo ai porti, ma colpisce anche le imprese che utilizzano queste infrastrutture e i relativi territori, che si trovano ad essere meno competitivi. Necessaria una strategia nazionale La dimensione degli investimenti previsti e il numero dei Paesi coinvolti obbliga questi ultimi a sviluppare una strategia nazionale. Il localismo, in questo caso, non paga. Entrando nel capitale della Banca per gli investimenti cinesi, l’Italia si è assicurata di poter almeno sedere a uno dei tavoli strategici più importanti. Questo però non basta. I porti di Ravenna, Venezia e Trieste movimentano oggi meno della metà dei container del solo Pireo. Per rispondere a una crescita di questo tipo è necessario che i porti del nord Adriatico attuino una strategia comune. Nessuno di essi, da solo, è in grado di attrarre sufficienti volumi di traffico e gli investimenti necessari per diventare una scelta alternativa al Pireo. Gli stessi cinesi potrebbero essere interessati ad avere una sorta di seconda opzione al Pireo. Ad esempio, se la costruzione della ferrovia che deve attraversare i Balcani incontrasse degli ostacoli - con i rapporti tra i paesi dell’area non esattamente pacificati -, la rotta adriatica potrebbe acquisire nuova centralità. Articolo pubblicato su OrizzonteCina, rivista online sulla Cina contemporanea a cura di Torino World Affairs Institute e Istituto Affari Internazionali. Giorgio Prodi, Università di Ferrara e T.wai. |
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