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Metodo di ricerca ed analisi adottato

Per il medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

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sabato 8 aprile 2017

Cina: Il ritorno dello Stato e la guerra del popolo

Cina
Xinjiang, misure contro la radicalizzazione
Paolo Recaldini
11/04/2017
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Dopo l’adozione della discussa legge omnicomprensiva sul terrorismo nell’agosto scorso, il 1° aprile 2017 è entrato in vigore il regolamento della Regione autonoma uigura dello Xinjiang sulla de-radicalizzazione, che mira all’eradicazione e al contenimento dell’estremismo attraverso la prevenzione della violenza terroristica nella più estesa regione cinese, situata nel nord-ovest del Paese.

Il nuovo regolamento si aggiunge alle misure di antiterrorismo adottate fino ad ora e mostra che Pechino è ancora in cerca di una strategia efficace contro la radicalizzazione della minoranza uigura, composta da 10 milioni di musulmani turcofoni.

Nel complesso, può sembrare che la Cina stia tentando un approccio multilivello, associando all’intervento statale la partecipazione popolare, in una sinergia fondata sulla “guerra del popolo”. La Repubblica popolare avrebbe dunque capito che la mera repressione coercitiva non sia la strategia migliore da applicare nella regione, visti gli scarsi risultati ottenuti. Un’analisi accurata, infatti, rivela che le cause di radicalizzazione derivano in primis da problemi economici e di integrazione.

Il ritorno dello Stato e la guerra del popolo
Le norme rivelano chiaramente l’intenzione di salvaguardare il carattere secolare della società cinese. Il nuovo provvedimento proibisce un elenco di comportamenti che potrebbero diffondere il “fanatismo”, tra i quali indossare il niqabo barba di lunghezza “anormale”.

Sono quindi vietate pratiche ritenute “pericolose”: si ribadisce, ad esempio, l’esigenza di permettere ai bambini la frequenza delle scuole pubbliche, accanto all’obbligo di conformarsi alle politiche di pianificazione familiare, in combinazione con il divieto di contrarre matrimonio unicamente tramite cerimonie religiose.

Sebbene a prima vista il provvedimento sembri mirato a contenere l’Islam radicale, tra le righe compare la chiara intenzione del governo di riportare la regione dello Xinjiang sotto l’influenza della capitale, così da combatterne le tendenze separatiste. La pervasività del regolamento, motivata come conseguenza necessaria di fronte a un estremismo radicale lesivo per la popolazione, vuole in realtà riaffermare la presenza dello Stato e l’unità statale, in particolare tra i 56 gruppi etnici, principio fondamentale anche nella Costituzione.

Nell’ottica di Pechino, tuttavia, l’intervento della legge si dovrà combinare con la partecipazione attiva dei cittadini. Il regolamento regionale richiama la legge nazionale sul terrorismo, che sancisce il principio della “guerra del popolo” e dispone per organizzazioni e individui l’obbligo di assistenza e cooperazione con le autorità.

L’efficacia di tale strategia, infatti, dipende dal coordinamento tra potere pubblico e organizzazioni civiche: l’adesione volontaria di civili nelle varie comunità e minoranze etniche incoraggerebbe l’intera popolazione a collaborare nella prevenzione di attività terroristiche.

Il principio della “guerra del popolo” fu utilizzato con risultati positivi già nell’agosto 2014, quando più di 30 mila residenti nella prefettura di Hotan, nello Xinjiang, furono mobilitati per individuare dieci sospetti terroristi. Questo principio e la strategia derivata si basano sull’idea che la popolazione, qualora stimolata a farlo, partecipa volontariamente alla lotta al terrorismo perché può trarvi un beneficio impareggiabile, dato che vi convive in stretto contatto e ne riceve danni duraturi nel tempo.

Incentivi economici e sconti di pena
Nel febbraio scorso, le autorità dello Xinjiang hanno incrementato le ricompense pecuniarie in cambio di informazioni, per un totale di 100 milioni di yuan. A marzo, invece, sono stati promessi sconti o esenzioni di pena a chi confessa determinati crimini, dalla pianificazione di attacchi terroristici all’incitazione al terrorismo o separatismo. Inoltre, chi consegna spontaneamente armi, esplosivo o munizioni alle autorità, può ricevere somme di denaro proporzionali.

Questi provvedimentifanno seguito ad altri interventi da parte del governo centrale, che dopo gli episodi del 2009 ha adottato diverse misure per stabilizzare la regione e combattere il separatismo, non solo per mezzo di misure punitive ma anche con aiuti economici ed investimenti (soprattutto nel settore tessile) volti a diminuire lo scontento della popolazione uigura.

Tra le cause remote degli attriti tra l’etnia degli uiguri e quella degli han (la più diffusa in Cina) non devono annoverarsi solo il sostanzioso aumento di cinesi Han negli ultimi 60 anni e le diversità tra le identità culturali. Studi recenti mostrano infatti come le forti disparità - non solo di reddito o standard di vita, ma anche di livello di istruzione e accessibilità ai servizi sanitari - abbiano ampliato il divario tra uiguri e han, strettamente legato a fattori socio-economici. I primi, autoctoni della regione, cercano quindi una soluzione nella rottura con Pechino.

La centralità della regione
Lo Xinjiang ricopre tuttavia un ruolo centrale per la Cina dal punto di vista energetico, economico e strategico, soprattutto in una prospettiva di lungo periodo; la Repubblica popolare è quindi intenzionata a mantenere un controllo stabile e duraturo sulla regione. La strategia repressiva adottata dopo il 2009 non ha però prodotto risultati, incrementando invece la radicalizzazione tra gli uiguri. Le nuove modalità, soprattutto quelle che cercano il contributo attivo della popolazione, non paiono inserite in un piano di lungo periodo che possa affrontare le cause reali del malcontento diffuso tra la popolazione.

Sembra piuttosto che le autorità abbiano rinunciato ad elaborare una vera e propria tattica, e stiano invece tornando a misure di tipo punitivo e coercitivo. Le possibilità di riuscita di una strategia frammentata e di breve periodo sono molto basse; certo è che le autorità, per ottenere risultati positivi e duraturi, dovrebbero tenere conto delle peculiarità dello Xinjiang e delle cause profonde delle frizioni tra le due comunità.

Paolo Recaldini è studente della laurea magistrale congiunta in International Security Studies presso la Scuola Superiore Sant'Anna e l'Università degli Studi di Trento.

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