Asia

Per la traduzione in una lingua diversa dall'Italiano.For translation into a language other than.

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

Metodo di ricerca ed analisi adottato

Per il medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

Cerca nel blog

mercoledì 26 aprile 2017

India: nuovi rapporti con UE ed Italia

Verso Vertice ottobre
Ue-India: Federica Mogherini a Nuova Delhi 
Stefania Benaglia
23/04/2017
 più piccolopiù grande
Il 21 e 22 aprile, l’Alto Rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e di sicurezza comune e vicepresidente della Commissione europea, Federica Mogherini, ha compiuto una visita ufficiale in India - la prima dopo oltre quattro anni.

La Mogherini ha incontrato il premier Modi, il ministro degli Esteri Sushma Swaraje il consigliere per la Sicurezza nazionale Ajit Doval. Fra i vari temi, si è discusso dei preparativi del 14° Vertice India–Ue, che si terrà in ottobre a Nuova Delhi.

Rilancio dei rapporti 
La visita sancisce il rilancio dei rapporti tra Ue e India, dopo un periodo di raffreddamento tra il 2012 e il 2016, anche a causa della crisi nelle relazioni bilaterali tra India e Italia conseguente all’arresto dei fucilieri di marina Massimo Latorre e Salvatore Girone.

L’ultimo dialogo ad alto livello Ue-India a Nuova Delhi si tenne infatti nel gennaio 2012, quando l’allora Alto Rappresentante Catherine Ashton incontrò il ministro degli Esteri indiano S. M. Krishna. La visita fu ricambiata a Bruxelles dal ministro degli Esteri Salman Khurshid nel gennaio 2013. Da allora, i ministri degli Esteri europeo e indiano non si erano più incontrati.

Questa visita conferma, quindi,la volontà da parte di entrambi di superare le tensioni passate e di rilanciare una partnership strategica in grado di dialogare - con la speranza di iniziare presto anche a cooperare attivamente - su temi di comune interesse.

Il ravvicinamento si era concretizzato già nel marzo 2016, quando si tenne a Bruxelles il Vertice Ue-India, dopo un’attesa di quattro anni. In quell’occasione, i leader concordarono l’Agenda 2020, una roadmap su temi strategici di comune interesse, nel quadro di una cooperazione bilaterale estesa anche a temi d’interesse globale. Il prossimo Vertice di ottobre traccerà un bilancio provvisorio di questa agenda di lavoro e, se possibile, l’approfondirà.

Trasformare i valori comuni in interessi comuni
Federica Mogherini, durante il discorso d’inaugurazione della mostra dedicata ai 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma, presso l’Ambasciata Italiana a Nuova Delhi, ha ricordato che “abbiamo interessi comuni nel campo dell'economia, ma anche di sicurezza, difesa, anti-terrorismo, e nella soluzione di alcune crisi regionali che sono importanti per noi e per l'India, come Afghanistan e Corea del Nord”.

La lista degli interessi comuni è difatti lunga. In particolare, la cooperazione nella lotta al terrorismo – priorità condivisa da Paesi membri dell’Ue, tra cui l’Italia - ha riscontrato un’enfasi speciale da entrambe le parti. Durante la visita, è stato confermato pure l’interesse per la possibilità di rilanciare i negoziati per unaccordo commerciale di libero scambio.

Strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea
In occasione di questa missione, l’Alto Rappresentate ha discusso della Strategia globale per la politica estera e di sicurezza della Ue. Affermare l’Ue come un importante attore di sicurezza globale è fondamentale per il suo futuro, e ancor più per la rilevanza dei suoi Stati membri.

Come ha ricordato Federica Mogherini, quando ci si rapporta con un Paese di 1,3 miliardi di persone, ciascuno dei Paesi dell’Ue è “piccolo”. Inoltre, più del 50% della popolazione indiana (ovvero circa 665 milioni) è composta da giovani di età inferioreai 25 anni, mentre i giovani sotto i 15 anni dei paesi dell’Ue (che conta 500 milioni di abitanti, includendo il Regno Unito) sono a malapena 80 milioni.

Questi semplici numeri aiutano a capire l’impatto demografica nel futuro, e quanto sia importante per gli stati dell’Ue agire in concerto per mantenere una posizione influente nei prossimi 30 anni rispetto ad attori di dimensioni economiche, demografiche e politiche quasi “continentali”.

Rilancio delle relazioni bilaterali Italia-India
La visita segnala anche un rilancio delle relazioni Italia-India: la scelta d’includere nel programma ufficiale l’inaugurazione della mostra presso l’Ambasciata d’Italia non è casuale.

A riconferma di questo rilancio, la prossima settimana il sottosegretario al Commercio Ivan Scalfarotto guiderà in India una delegazione di imprese italiane per una serie d’incontri con imprese e autorità indiane. A seguire, una delegazione di alto livello indiana si recherà in Italia ad inizio maggio.

Stefania Benaglia è ricercatrice associato, IAI; trasferitasi a Nuova Delhi nel 2014, vi lavora come consulente e ricercatrice freelance.

mercoledì 19 aprile 2017

Nord Corea: confronto Usa-Cina

Escalation Trump vs Kim
Corea: vicini all’epilogo della crisi
Enrico Mariutti
15/04/2017
 più piccolopiù grande
Da quando, nell’ottobre del 2006, la Corea del Nord ha compiuto il primo test atomico, la tensione lungo il 38° parallelo sperimenta periodiche escalation. Non di rado nel corso dell’ultimo decennio un gruppo da battaglia della US Navy s’è avvicinato alla penisola coreana e anche i movimenti di truppe lungo il confine sino-coreano sono stati piuttosto frequenti.

Il riposizionamento della USS Carl Vinson e il rafforzamento del dispositivo di sicurezza sul fronte cinese del confine tra le due Repubbliche popolari si potrebbero quindi interpretare come un ennesimo momento di una crisi politico-diplomatica decennale a intensità intermittente.

Tuttavia, comparando gli eventi odierni con il passato e contestualizzandoli alla luce dei profondi mutamenti che stanno sconvolgendo lo scenario internazionale, emerge un quadro assai più inquietante. L’escalation militare per la prima volta appare reale e addirittura imminente, mentre i contrappesi strategici a un intervento unilaterale Usa si dimostrano improvvisamente fragili e aleatori.

Il quadro tattico
Non è la prima volta che la USS Carl Vinson solca le acque limitrofe alla penisola coreana. Nel corso degli ultimi anniil Pacifico occidentale, il Mar Cinese e il Mar Giallo hanno ricevuto periodicamente la visita di super-portaerei classe Nimitz: la USS Nimitz, la USS George Washington o la USS Ronald Reagan, che con il suo gruppo da battaglia è di stanza presso la base navale di Yokosuka, lungo le coste sud-occidentali del Giappone.

Una complessa catena di eventi, però, assegna al riposizionamento del Carrier Strike Group One una valenza del tutto nuova. A partire da gennaio 2016 gli F-22 Raptor di stanza a Elmendorf, Alaska, hanno iniziato a fare la spola tra la base Usa, quella giapponese di Yokota e quella australiana di Tindal.

Il Raptor è l’unico velivolo al mondo con capacità stealth di V generazione ed è stato appena testato in Siria, dove il Pentagono ha messo alla prova il suo ‘pupillo’, ancora digiuno di un vero e proprio battesimo del fuoco, contro sistemi antiaerei che potrebbero avere caratteristiche molto simili, se non superiori, a quelli nordcoreani. Le straordinarie capacità del Raptor si aggiungono a quelle dei B-1 e B-2, altre due punte di diamante dell’arsenale Usa, che sovente decollano dalla base di Guam per sorvolare la regione.

Mentre la capacità di proiezione degli Usa nell’area si è andata progressivamente rafforzando, una serie di esercitazioni congiunte tra la US Navy, le forze armate giapponesi e quelle sudcoreane hanno testato, con successo, la capacità dei rispettivi dispositivi antimissile di intercettare missili a corto e medio raggio, minacciando di incrinare il meccanismo di deterrenza che garantisce, almeno teoricamente, il fragile equilibrio regionale.

All’inizio del mese mese scorso il Governo statunitense ha annunciato di aver inviato le prime componenti del Thaad (Terminal High Altitude Area Defense) in Corea del Sud, aggiungendo così l’ultimo tassello all’ombrello antimissile che copre tutte le principali basi americane nella regione e completando inoltre l’accerchiamento del regime nordcoreano.

Il quadro strategico
L’argine naturale a un’escalation individuato, talvolta aprioristicamente e fideisticamente, dalla letteratura specializzata non è però di natura militare e di ordine tattico, ma di natura politica e di ordine strategico. Per lungo tempo, infatti, la gran parte degli esperti internazionali ha identificano nella Cina di Xi Jinping il convitato di pietra al tavolo della crisi, nonché l’adeguato contraltare alle tentazioni interventiste statunitense.

Improvvisamente, la Cina si scopre troppo debole o troppo poco interessata per contenere la pressione Usa. Mettere a confronto le parole con cui a novembre del 2013 il presidente cinese promulgò unilateralmente l’Adiz (Air Defense Identification Zone) con le dichiarazioni odierne risulta, infatti, impietoso.

L’approccio assertivo e muscolare che ha contraddistinto sin dall’inizio la presidenza di Xi si stempera improvvisamente in quelle che, con una certa malizia, potrebbero essere interpretate come docili suppliche agli Usa perché “rimangano calmi ed esercitino moderazione”, mentre contemporaneamente il governo cinese cerca di fare pressione su Pyongyang sospendendo la cooperazione economica.

Gli unici movimenti militari significativi si hanno lungo il confine sino-coreano, dove Pechino ha rischierato circa 175.000 uomini in pochi giorni. Evidentemente senza alcun intento minaccioso. Ma un rafforzamento che non ha precedenti nella storia recente, fatta di rischieramenti tempestivi ma dal valore simbolico.

La svolta protezionistica paventata dal nuovo presidente statunitense ha messo a nudo contraddizioni della globalizzazione a lungo sottaciute, imponendo una rapida reinterpretazione della struttura del commercio globale e dei conseguenti rapporti di forza internazionali. Venuto meno il contrappeso cinese, sempre che vi sia mai stato, l’opzione militare appare improvvisamente reale; e le dichiarazionidi Trump suonano drammaticamente come un ultimatum al regime nordcoreano.

Lo stile di Trump
Da molte parti nel corso dei suoi due mandati si erano levate critiche alla politica estera di Obama, accusato di debolezza. Trump vuole affermare la differenza del suo approccio rispetto a quello del predecessore e lo fa nella maniera più semplice e teatrale possibile, senza alcun senso di responsabilità nei confronti del contesto internazionale, fedele al suo credo isolazionista ed eccezionalista.

L’intervento in Siria è stato il primo atto, ma la piece trumpiana si nutre di continui rilanci, di un simbolismo dissacrante e iconoclasta. La Corea del Nord appare quindi il teatro ideale su cui mettere in scena il coupe de theatre che potrebbe segnare così precocemente il suo mandato.

Uno dei gruppi da battaglia più potenti di tutta la US Navy, composto dalla USS Carl Vinson, che imbarca i temibili F-18 Super Hornet e dispone del primo centro di controllo per Uav imbarcato, da due incrociatori classe Ticonderoga e dal Destroyer Squadron 1, che dispone di cacciatorpediniere classe Arleigh Burke, incrocia al largo della penisola coreana. Sia gli incrociatori che le cacciatorpediniere sono equipaggiate con il sistema di combattimento integrato Aegis, che garantisce loro la possibilità di intercettare missili balistici a corto e medio raggio, oltre a integrare le capacità di attacco.

Cacciatorpediniere giapponesi classe Kongo, anch’esse equipaggiate con sistema di attacco integrato Aegis, sono in procinto di unirsi alla squadra navale statunitense. Complessivamente, il gruppo da battaglia Usa dispone di quasi 300 celle per missili da crociera. È altamente probabile, inoltre, che anche sottomarini nucleari e bombardieri strategici pattuglino le acque e i cieli della regione. Difficile interpretarla come una parata.

Improvvisamente, la Corea del Nord si scopre nuda. O quasi. Oltre al basso profilo le rimangono solo poche opzioni. Folli, fatalmente controproducenti e dall’esito incerto. Le voci su un test nucleare programmato per il fine settimana, in coincidenza con i festeggiamenti per il 105° anniversario della nascita di Kim Il-sung, si rincorrevano oramai da giorni: il tempismo dell’exploit statunitense non è casuale. Se i preparativi erano già in corso, infatti, la mossa Usa mette Kim Jong-un in una posizione molto difficile. Tutto è pronto. Ma non è detto che il ‘gran finale’ vada in scena.

Enrico Mariutti, laureato in storia antica presso la Sapienza, ha conseguito un Master di II livello in Geopolitica e Sicurezza Globale; attualmente collabora con l’Istituto Alti Studi di Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG).

sabato 8 aprile 2017

Cina: Il ritorno dello Stato e la guerra del popolo

Cina
Xinjiang, misure contro la radicalizzazione
Paolo Recaldini
11/04/2017
 più piccolopiù grande
Dopo l’adozione della discussa legge omnicomprensiva sul terrorismo nell’agosto scorso, il 1° aprile 2017 è entrato in vigore il regolamento della Regione autonoma uigura dello Xinjiang sulla de-radicalizzazione, che mira all’eradicazione e al contenimento dell’estremismo attraverso la prevenzione della violenza terroristica nella più estesa regione cinese, situata nel nord-ovest del Paese.

Il nuovo regolamento si aggiunge alle misure di antiterrorismo adottate fino ad ora e mostra che Pechino è ancora in cerca di una strategia efficace contro la radicalizzazione della minoranza uigura, composta da 10 milioni di musulmani turcofoni.

Nel complesso, può sembrare che la Cina stia tentando un approccio multilivello, associando all’intervento statale la partecipazione popolare, in una sinergia fondata sulla “guerra del popolo”. La Repubblica popolare avrebbe dunque capito che la mera repressione coercitiva non sia la strategia migliore da applicare nella regione, visti gli scarsi risultati ottenuti. Un’analisi accurata, infatti, rivela che le cause di radicalizzazione derivano in primis da problemi economici e di integrazione.

Il ritorno dello Stato e la guerra del popolo
Le norme rivelano chiaramente l’intenzione di salvaguardare il carattere secolare della società cinese. Il nuovo provvedimento proibisce un elenco di comportamenti che potrebbero diffondere il “fanatismo”, tra i quali indossare il niqabo barba di lunghezza “anormale”.

Sono quindi vietate pratiche ritenute “pericolose”: si ribadisce, ad esempio, l’esigenza di permettere ai bambini la frequenza delle scuole pubbliche, accanto all’obbligo di conformarsi alle politiche di pianificazione familiare, in combinazione con il divieto di contrarre matrimonio unicamente tramite cerimonie religiose.

Sebbene a prima vista il provvedimento sembri mirato a contenere l’Islam radicale, tra le righe compare la chiara intenzione del governo di riportare la regione dello Xinjiang sotto l’influenza della capitale, così da combatterne le tendenze separatiste. La pervasività del regolamento, motivata come conseguenza necessaria di fronte a un estremismo radicale lesivo per la popolazione, vuole in realtà riaffermare la presenza dello Stato e l’unità statale, in particolare tra i 56 gruppi etnici, principio fondamentale anche nella Costituzione.

Nell’ottica di Pechino, tuttavia, l’intervento della legge si dovrà combinare con la partecipazione attiva dei cittadini. Il regolamento regionale richiama la legge nazionale sul terrorismo, che sancisce il principio della “guerra del popolo” e dispone per organizzazioni e individui l’obbligo di assistenza e cooperazione con le autorità.

L’efficacia di tale strategia, infatti, dipende dal coordinamento tra potere pubblico e organizzazioni civiche: l’adesione volontaria di civili nelle varie comunità e minoranze etniche incoraggerebbe l’intera popolazione a collaborare nella prevenzione di attività terroristiche.

Il principio della “guerra del popolo” fu utilizzato con risultati positivi già nell’agosto 2014, quando più di 30 mila residenti nella prefettura di Hotan, nello Xinjiang, furono mobilitati per individuare dieci sospetti terroristi. Questo principio e la strategia derivata si basano sull’idea che la popolazione, qualora stimolata a farlo, partecipa volontariamente alla lotta al terrorismo perché può trarvi un beneficio impareggiabile, dato che vi convive in stretto contatto e ne riceve danni duraturi nel tempo.

Incentivi economici e sconti di pena
Nel febbraio scorso, le autorità dello Xinjiang hanno incrementato le ricompense pecuniarie in cambio di informazioni, per un totale di 100 milioni di yuan. A marzo, invece, sono stati promessi sconti o esenzioni di pena a chi confessa determinati crimini, dalla pianificazione di attacchi terroristici all’incitazione al terrorismo o separatismo. Inoltre, chi consegna spontaneamente armi, esplosivo o munizioni alle autorità, può ricevere somme di denaro proporzionali.

Questi provvedimentifanno seguito ad altri interventi da parte del governo centrale, che dopo gli episodi del 2009 ha adottato diverse misure per stabilizzare la regione e combattere il separatismo, non solo per mezzo di misure punitive ma anche con aiuti economici ed investimenti (soprattutto nel settore tessile) volti a diminuire lo scontento della popolazione uigura.

Tra le cause remote degli attriti tra l’etnia degli uiguri e quella degli han (la più diffusa in Cina) non devono annoverarsi solo il sostanzioso aumento di cinesi Han negli ultimi 60 anni e le diversità tra le identità culturali. Studi recenti mostrano infatti come le forti disparità - non solo di reddito o standard di vita, ma anche di livello di istruzione e accessibilità ai servizi sanitari - abbiano ampliato il divario tra uiguri e han, strettamente legato a fattori socio-economici. I primi, autoctoni della regione, cercano quindi una soluzione nella rottura con Pechino.

La centralità della regione
Lo Xinjiang ricopre tuttavia un ruolo centrale per la Cina dal punto di vista energetico, economico e strategico, soprattutto in una prospettiva di lungo periodo; la Repubblica popolare è quindi intenzionata a mantenere un controllo stabile e duraturo sulla regione. La strategia repressiva adottata dopo il 2009 non ha però prodotto risultati, incrementando invece la radicalizzazione tra gli uiguri. Le nuove modalità, soprattutto quelle che cercano il contributo attivo della popolazione, non paiono inserite in un piano di lungo periodo che possa affrontare le cause reali del malcontento diffuso tra la popolazione.

Sembra piuttosto che le autorità abbiano rinunciato ad elaborare una vera e propria tattica, e stiano invece tornando a misure di tipo punitivo e coercitivo. Le possibilità di riuscita di una strategia frammentata e di breve periodo sono molto basse; certo è che le autorità, per ottenere risultati positivi e duraturi, dovrebbero tenere conto delle peculiarità dello Xinjiang e delle cause profonde delle frizioni tra le due comunità.

Paolo Recaldini è studente della laurea magistrale congiunta in International Security Studies presso la Scuola Superiore Sant'Anna e l'Università degli Studi di Trento.