Asia I capitalisti cinesi investono in Italia Elisabetta Esposito Martino 04/11/2014 |
Già all’inizio del 1600, Matteo Ricci - autore di un capolavoro dell’etnografia premoderna - non riportava i soliti stereotipi sulla Cina parlando di come "gli artigiani cinesi non si sforzano tanto di produrre manufatti perfetti quanto di farlo con poca spesa ed in un tempo limitato, al fine di vendere la propria merce ad un prezzo ridotto; spesso falsificando molti prodotti, dando loro solo una bella apparenza. Questa è l’imperfezione delle merci cinesi".
Queste parole, che rivelano in fondo la concezione occidentale del sistema economico cinese, ci permettono di comprendere le motivazioni delle scelte politiche dello Stato di Mezzo, frutto di tradizionali strategie geopolitiche, ma soprattutto dell’intenzione di ottenere il definitivo sdoganamento quale grande potenza, per un nuovo Rinascimento, preconizzato in questi mesi di intensi scambi culturali e diplomatici (la visita del presidente del consiglio italiano in Cina, quella del primo ministro cinese in Italia ed il vertice Asem, focalizzati sul Belpaese.
Italia e Cina eccellenze di Occidente e Oriente
In Italia, si sta assistendo negli ultimi mesi a un notevole incremento degli investimenti cinesi, paralle-lamente all’intensificarsi delle relazioni istituzionali tra i due paesi, che il premier Li Keqiang ha definito le “eccellenze” dell’occidente e dell’oriente.
L’input è stato dato dal XVIII Congresso del Partito comunista cinese che, a fronte di una note-vole decelerazione della crescita nello Stato di Mezzo, ha deciso di procedere con una riconversione in un modello sostenibile di lungo termine, attraverso un rallentamento controllato della crescita economica (soft landing), trainata dal terziario avanzato e dalla popolazione urbana che, per la prima volta nella storia cinese, ha superato quella rurale.
Questa strategia complessiva è stata implementata con scelte tattiche finalizzate a dirigere i flussi d’investimenti diretti esteri non solo verso i paradisi fiscali, ma anche verso l’occidente in generale e l’Italia in particolare, probabilmente per l’attrattività del suo territorio e per il ruolo di eccellenza, che vede l'innovazione tecnologica e l’elevato livello di progettazione raccordarsi armoniosamente a conoscenze scientifiche modulate con creatività.
Investimenti cinesi in Italia
Secondo i dati del Centro studi per l'impresa della Fondazione Italia-Cina, sono in costante aumento sia gli investimenti greenfield, con società create ex novo da investitori cinesi sia le acquisizioni dirette da parte di imprenditori cinesi di società italiane preesistenti.
Nel 2014 sono presenti in Italia circa 272 imprese, di cui 187 partecipate da investitori della Cina Popolare e 85 della zona amministrativa speciale di Hong Kong, che impiegano 12mila lavoratori; circa il 90% del totale delle imprese, localizzate per il 75% al nord ed il 15% nel Lazio.
I settori interessati sono estremamente diversificati, con una leggera prevalenza delle imprese commerciali sul settore dei macchinari, chimico e farmaceutico, degli elettrodomestici, delle imbarca-zioni, delle auto.
Molto interesse suscitano poi i settori delle infrastrutture, del fotovoltaico, delle tecnologie industriali, dei personal computer, delle reti per le telecomunicazioni e dell’energia.
A ciò si aggiunge il trend del turismo cinese, in vorticoso aumento, per i risvolti che produce in termini di indotto nei settori del brand e del lusso, del design, della moda e delle manifatture hi-tech.
Il consumismo dei nuovi ricchi cinesi
Le dinamiche di consumo che hanno sostituito, nella post modernità, quella della produzione che ha caratterizzato la modernità, stanno forgiando il consumatore, trasformandolo in creatore di cultura, detentore di un potere di agency per certi versi ancora inesplorato, ma comunque determinante per i risvolti politici e sociali.
Questo avviene soprattutto nella Repubblica popolare cinese dove la realizzazione della via cinese al socialismo è passata dal rifiuto di ogni bene superfluo e differenziato durante la rivoluzione culturale, allo sfrenato consumismo dei nuovi ricchi nel primo decennio del ventunesimo secolo, per approdare, ai giorni nostri, nel più sicuro porto della sobrietà, grazie alle proficue campagne di massa contro gli sprechi e la corruzione.
I timori di un’eccessiva ingerenza cinese nell’economia italiana sono molteplici, come già acca-duto in Grecia nel 2008. Ora come allora, la Cina cerca di guadagnare terreno laddove morde la crisi e l’Italia può approfittare della necessità cinese di investire in Europa ma, d’altro canto, deve mantenere alti i suoi valori e non venderli al miglior offerente: la democrazia, le radici cristiane, lo stato di diritto.
La sfida è quindi aperta. La speranza per la quale si lavora è quella enunciata dal capo del governo cinese, di “dare una vita migliore a tutti”: in Italia recuperando gli immensi patrimoni dalle poliedriche sfaccettature e in Cina attingendo alla millenaria cultura che ha prodotto l’armonia del Celeste Impero e il socialismo con caratteristiche cinesi, declinando il tutto con la libertà.
Elisabetta Esposito Martino è sinologa costituzionalista.
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Queste parole, che rivelano in fondo la concezione occidentale del sistema economico cinese, ci permettono di comprendere le motivazioni delle scelte politiche dello Stato di Mezzo, frutto di tradizionali strategie geopolitiche, ma soprattutto dell’intenzione di ottenere il definitivo sdoganamento quale grande potenza, per un nuovo Rinascimento, preconizzato in questi mesi di intensi scambi culturali e diplomatici (la visita del presidente del consiglio italiano in Cina, quella del primo ministro cinese in Italia ed il vertice Asem, focalizzati sul Belpaese.
Italia e Cina eccellenze di Occidente e Oriente
In Italia, si sta assistendo negli ultimi mesi a un notevole incremento degli investimenti cinesi, paralle-lamente all’intensificarsi delle relazioni istituzionali tra i due paesi, che il premier Li Keqiang ha definito le “eccellenze” dell’occidente e dell’oriente.
L’input è stato dato dal XVIII Congresso del Partito comunista cinese che, a fronte di una note-vole decelerazione della crescita nello Stato di Mezzo, ha deciso di procedere con una riconversione in un modello sostenibile di lungo termine, attraverso un rallentamento controllato della crescita economica (soft landing), trainata dal terziario avanzato e dalla popolazione urbana che, per la prima volta nella storia cinese, ha superato quella rurale.
Questa strategia complessiva è stata implementata con scelte tattiche finalizzate a dirigere i flussi d’investimenti diretti esteri non solo verso i paradisi fiscali, ma anche verso l’occidente in generale e l’Italia in particolare, probabilmente per l’attrattività del suo territorio e per il ruolo di eccellenza, che vede l'innovazione tecnologica e l’elevato livello di progettazione raccordarsi armoniosamente a conoscenze scientifiche modulate con creatività.
Investimenti cinesi in Italia
Secondo i dati del Centro studi per l'impresa della Fondazione Italia-Cina, sono in costante aumento sia gli investimenti greenfield, con società create ex novo da investitori cinesi sia le acquisizioni dirette da parte di imprenditori cinesi di società italiane preesistenti.
Nel 2014 sono presenti in Italia circa 272 imprese, di cui 187 partecipate da investitori della Cina Popolare e 85 della zona amministrativa speciale di Hong Kong, che impiegano 12mila lavoratori; circa il 90% del totale delle imprese, localizzate per il 75% al nord ed il 15% nel Lazio.
I settori interessati sono estremamente diversificati, con una leggera prevalenza delle imprese commerciali sul settore dei macchinari, chimico e farmaceutico, degli elettrodomestici, delle imbarca-zioni, delle auto.
Molto interesse suscitano poi i settori delle infrastrutture, del fotovoltaico, delle tecnologie industriali, dei personal computer, delle reti per le telecomunicazioni e dell’energia.
A ciò si aggiunge il trend del turismo cinese, in vorticoso aumento, per i risvolti che produce in termini di indotto nei settori del brand e del lusso, del design, della moda e delle manifatture hi-tech.
Il consumismo dei nuovi ricchi cinesi
Le dinamiche di consumo che hanno sostituito, nella post modernità, quella della produzione che ha caratterizzato la modernità, stanno forgiando il consumatore, trasformandolo in creatore di cultura, detentore di un potere di agency per certi versi ancora inesplorato, ma comunque determinante per i risvolti politici e sociali.
Questo avviene soprattutto nella Repubblica popolare cinese dove la realizzazione della via cinese al socialismo è passata dal rifiuto di ogni bene superfluo e differenziato durante la rivoluzione culturale, allo sfrenato consumismo dei nuovi ricchi nel primo decennio del ventunesimo secolo, per approdare, ai giorni nostri, nel più sicuro porto della sobrietà, grazie alle proficue campagne di massa contro gli sprechi e la corruzione.
I timori di un’eccessiva ingerenza cinese nell’economia italiana sono molteplici, come già acca-duto in Grecia nel 2008. Ora come allora, la Cina cerca di guadagnare terreno laddove morde la crisi e l’Italia può approfittare della necessità cinese di investire in Europa ma, d’altro canto, deve mantenere alti i suoi valori e non venderli al miglior offerente: la democrazia, le radici cristiane, lo stato di diritto.
La sfida è quindi aperta. La speranza per la quale si lavora è quella enunciata dal capo del governo cinese, di “dare una vita migliore a tutti”: in Italia recuperando gli immensi patrimoni dalle poliedriche sfaccettature e in Cina attingendo alla millenaria cultura che ha prodotto l’armonia del Celeste Impero e il socialismo con caratteristiche cinesi, declinando il tutto con la libertà.
Elisabetta Esposito Martino è sinologa costituzionalista.
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