Asia

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Metodo di ricerca ed analisi adottato

Per il medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

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venerdì 10 febbraio 2017

Cina: appesi a Twitter

Usa-Cina-Taiwan
Trump scaglia i repubblicani contro Pechino
Serena Console
05/02/2017
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Stando all’uso che ne fanno suoi autorevoli esponenti, Twitter è considerato un indicatore diplomatico affidabile nelle file del partito repubblicano statunitense. A gennaio, il senatore texano Ted Cruz, già battagliero sfidante di Donald Trump alle primarie repubblicane, ha cinguettato: “Sono onorato di aver incontrato la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen”.

L’incontro è avvenuto dopo che la leader taiwanese ha effettuato uno scalo tecnico a Houston, Texas, sulla via per il Centro America, dove l’attendevano gli incontri con i quattro alleati regionali di Taiwan: Honduras, Nicaragua, Guatemala ed El Salvador.

Il meeting di Tsai con il senatore Cruz e con il governatore del Texas Greg Abbott, anch’egli repubblicano, ha fatto però infuriare Pechino, che aveva precedentemente chiesto alle autorità statunitensi di negare il sorvolo alla leader di Taipei. La risposta di Cruz non si è fatta attendere: “La Repubblica popolare cinese deve capire che negli Stati Uniti decidiamo autonomamente chi incontrare. Questo non riguarda Pechino, ma la nostra relazione con l’alleato Taiwan”.

Nella città texana si è quindi discusso dell’opportunità di migliorare le relazioni bilaterali fra i due Paesi, a cominciare dagli scambi commerciali e dalla cooperaizone economica, specialmente nel settore agricolo.

La politica dell’“Unica Cina”
Pechino è il nuovo bersaglio della politica estera americana. A colpi di tweet, il neopresidente Trump si rivolge ai membri del Politburo accusandoli di aver approfittato dell’ultima fase della globalizzazione economica ai danni degli Stati Uniti. La minaccia dell’introduzione di una tassa sull’importazione di prodotti cinesi aumenta il risentimento della leadership cinese nei confronti della leadership repubblicana per il continuo affronto sulla questione taiwanese.

Il caso non si limita solo alla telefonata che Trump ha avuto con la presidente taiwanese lo scorso dicembre, ma anche all’intervista rilasciata all’emittente americana Fox News, in cui il tycoon aveva espresso la sua contrarietà alla politica dell’“Unica Cina”, pilastro su cui si sostengono le relazioni sino-americane.

È dal 1979 che gli Stati Uniti riconoscono infatti la Cina nel solo governo di Pechino. Da quel momento, Washington ha negato il riconoscimento diplomatico formale a Taiwan, che la Cina considera invece una provincia ribelle che tornerà, prima o poi, sotto l’ombrello politico di Pechino.

Eppure, un ulteriore segnale è stato inviato all’altra sponda del Pacifico in occasione dell’insediamento di Trump a Capitol Hill: a partecipare all’Inauguration Day c’era infatti anche una delegazione di undici politici taiwanesi, capeggiati dall'ex primo ministro dell'isola, Yu Shyi-kun.

Timori di guerra commerciale? 
Con l’insediamento di Trump alla Casa Bianca si configura un nuovo assetto globale: il tycoon newyorkese cerca di consolidare il rapporto diplomatico con Vladimir Putin, mentre la Cina si presenta come leader della globalizzazione. Ne è stato un esempio il discorso di apertura del presidente cinese Xi Jinping al forum economico di Davos: per circa un’ora, il portavoce del “socialismo con caratteristiche cinesi” si è presentato al mondo come alfiere della globalizzazione e avversario di protezionismo e populismo.

Le metafore, tipiche della dialettica di Xi Jinping, hanno lasciato minimi margini di fraintendimento: il discorso era rivolto al 45° presidente Usa, sebbene il leader di Pechino non lo abbia mai menzionato.

In Svizzera, a difendere la posizione già critica di Trump, c’era il consigliere Anthony Scaramucci che ha assicurato: “Né gli Stati Uniti né la Cina vogliono una guerra commerciale”. L’amministrazione americana ha di certo ben presente l’ultimo dato rilasciato dall'Ufficio nazionale di statistica cinese: Pechino è ormai entrata nella cosiddetta epoca economica del “new normal”, dove la crescita del Pil non conosce più i numeri a doppie cifre del decennio d’oro, ma - nel penultimo trimestre del 2016 - si assesta a un 6,7%.

Un successo che è il risultato di accordi bilaterali con diversi Paesi, dell’incredibile progetto della Nuova Via della Seta per il miglioramento dei collegamenti e della cooperazione nella sfera eurasiatica, e dell’atteggiamento della leadership nella gestione delle crisi internazionali. Proprio in questo senso si comprende la condotta di non ingerenza negli affari interni degli altri Stati: Pechino pone poche prerogative di natura politica e mira a stabilire rapporti di natura economica, tralasciando la visione della democrazia dei vari Paesi.

Il futuro dell’Asia
Ma con Trump a Washington, cosa può succedere sull’altra sponda del Pacifico? L’imprevedibilità del nuovo presidente preoccupa Pechino, tanto che il Global Times - spin-off inglese del Quotidiano del Popolo - ha giudicato il nuovo inquilino della Casa Bianca “immaturo” in diplomazia e “molto superficiale” nella conoscenza delle relazioni tra Cina e Stati Uniti.

I delicati equilibri nell’area orientale si incrinano sotto lo sguardo di Taipei e Pechino. Dal giorno della vittoria di Trump, la Cina ha dimostrato fermezza davanti a ogni provocazione americana, ostentando la necessità di costruire una stabilità economica e politica dentro e fuori la Grande Muraglia.

Taipei non si vuole far cogliere impreparata, e nello stretto di Taiwan si tiene militarmente pronta a una possibile invasione cinese: a metà gennaio, per due giorni, sono state infatti condotte esercitazioni di simulazione di un possibile attacco da parte dell’esercito di Pechino.

Taipei è pronta a fronteggiarele minacce della seconda potenza economica mondiale, forte anche delle dichiarazioni rilasciate da John Bolton, ex ambasciatore di Bush all’Onu e oggi consigliere di Trump per la politica estera, secondo cui i militari statunitensi potrebbero essere spostati da Okinawa, in Giappone, a Taiwan in risposta a possibili incursioni di Pechino.

È difficile prevedere come si evolveranno i rapporti tra Cina, Stati Uniti e Taiwan: qualche indizio, però, potrebbe arrivare dai prossimi tweet. Stavolta, rispetto al passato, lanciati dall’account presidenziale, @POTUS.

Serena Console è stata stagista per la comunicazione dello IAI.

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