lunedì 20 febbraio 2017
lunedì 13 febbraio 2017
Pacifico: verso la instabilità
venerdì 10 febbraio 2017
Un Triangolo da studiare: Malesa-Cina Coree
| ||||||||
![]() La morte di Kim Jong-nam, fratellastro del dittatore nordcoreano Kim Jong-un, lascia aperti numerosi interrogativi per le autorità malesi e l’opinione pubblica internazionale. Proprio nella capitale della Malesia, infatti, Kim Jong-nam è stato avvelenato da due donne mentre era in procinto di imbarcarsi per Macao, città in cui abitava da oltre cinque anni con la seconda moglie. Al momento del decesso, avvenuto durante il trasporto in ospedale, aveva con sé un passaporto a nome di Kim Chol. Il fratellastro dell’uomo più potente della Corea del Nord pare fosse abituato a usare documenti falsi. La protezione di Pechino Il 2001 è un anno infausto per Kim Jong-nam, fino a quel momento considerato il probabile successore di Kim Jong-il, il leader supremo della Repubblica popolare democratica di Corea. Le sorti della sua ascesa politica subiscono tuttavia una brusca battuta d’arresto quando viene fermato in Giappone in possesso di un falso passaporto dominicano. Da allora, Kim Jong-nam ha trascorso una vita da esule tra Macao, Hong Kong, Singapore e Malesia, sfuggendo a numerosi tentativi di omicidio. Dal 2012 - pochi mesi dopo il passaggio di potere nelle mani del fratellastro, il più giovane Capo di Stato al mondo - pare fosse sotto la lente dei servizi segreti nordcoreani, a causa di alcune dichiarazioni rilasciate al quotidiano giapponese Tokyo Shimbun, in cui esprimeva le sue critiche rispetto al salto dinastico alla terza generazione. Stando ad alcune dichiarazioni di Lee Byung-ho, capo dell’intelligence della Corea del Sud, il fratellastro di Kim Jong-un era da anni sotto la protezione di Pechino. Si tratta di affermazioni che, però, devono essere analizzate nell’ottica delle tensioni in corso da decenni fra le due Coree, e che non ricevono conferma da parte del governo cinese. Il Global Times, tabloid del Quotidiano del Popolo, il principale organo di stampa cinese, difende a spada tratta l’alleato nordcoreano e stigmatizza quelle che considera speculazioni del governo di Seul per rovesciare il regime di Kim. Ma i servizi di intelligence sudcoreani incalzano e definiscono l’omicidio dell’esule nordcoreano un “attacco terroristico” progettato dal leader di Pyongyang. La Cina mantiene invece un atteggiamento ambivalente: da un lato “segue con attenzione la vicenda”, secondo quanto dichiarato dal portavoce del ministro degli Esteri; dall’altro, ha sospeso tutte le importazioni di carbone dalla Corea del Nord fino alla fine del 2017, nel rispetto dell'ultima tornata di sanzioni approvata dalle Nazioni Unite lo scorso novembre. Secondo i dati rilasciati dal Palazzo di Vetro, le esportazioni della Corea del Nord verso la Cina hanno rappresentato oltre l’85% nel 2015: di questa fetta, più della metà riguarda l’esportazione di antracite, una varietà di carbone. La misura decisa da Pechino mette senza dubbio in crisi l’economia del Regno eremita, per cui il Paese del Dragone è il primo partner commerciale, e minaccia di incrinare i già deboli rapporti tra Corea del Nord e Cina. Lo spionaggio in rosa di Pyongyang Molti particolari attorno alla morte di Kim restano ancora da confermare. Ad oggi, sono state arrestate quattro persone, tra cui due donne, mentre continuano le ricerche di altri sette, la maggior parte nordcoreani. Secondo quanto riportato dalla China Press, l’agenzia di stampa malese in lingua cinese, una delle due arrestate, Siti Aishah, avrebbe creduto di partecipare ad un programma televisivo: durante l’interrogatorio, infatti, avrebbe ribadito l’estraneità al piano omicida. Ma c’è da domandarsi che ruolo ha svolto l’altra donna in manette, la vietnamita Doan Thi Huong. Forse le indiscrezioni dei servizi segreti sudcoreani non sono così poi assurde se si considerano le numerose donne che hanno fatto la storia dello spionaggio nordcoreano: da Kim Hyon-hui, che nel novembre 1987 piazzò una bomba ad orologeria su un aereo di linea sudcoreano in volo da Baghdad a Seul, a Won Jeong-Hwa, la Mata Hari della Corea del Nord, abile a carpire informazioni militari dagli ufficiali sudcoreani. Senza dimenticare Lee Sun-sil: attualmente sepolta nel cimitero dedicato ai patrioti del Paese, creò e guidò nella Corea del Sud un ramo segreto del Partito del Lavoro di Corea, la forza dominante nel nord della penisola. Le mediazioni di Kuala Lumpur Il coinvolgimento delle autorità malesi nelle attività investigative, giudiziarie ed autoptiche stanno incrinando i rapporti tra Corea del Nord e Malesia. In un annuncio, Pyongyang ha rifiutato gli esiti dell’autopsia disposta dal governo malese e ha sollecitato l’immediato rientro della salma nel Paese per avviare investigazioni congiunte. L'identità del deceduto, infatti, non è ancora tecnicamente certificata. Il richiamo a Kuala Lumpur dell’ambasciatore malese in Corea del Nord profila un ulteriore punto di collisione, anticipando quelli che sono i presupposti di uno scontro diplomatico, temibile per l’economica dello Stato eremita, per cui la Malesia è uno dei pochi partner nella regione. Le relazioni economiche bilaterali, che ammontano ad appena 5 milioni di dollari, hanno avuto il merito di consolidare il potere della compagnia aerea nordcoreana, la Air Koryo, e hanno garantito la formazione a Kuala Lumpur di una piccola comunità di nordcoreani impegnati nella ristorazione, nell’edilizia e nel turismo: quest’ultimo settore è favorito dall’esenzione dei visti per i malesi che vogliono visitare il Paese di Kim. Nell’analisi dello scacchiere geopolitico internazionale, inoltre, la Malesia svolge un ruolo di mediatore rilevante, perché intrattiene relazioni bilaterali sia con gli Stati Uniti sia con la Corea del Nord; una condizione che rende Kuala Lumpur zona franca per gli incontri diplomatici delle due controparti, soprattutto considerati i mancati rapporti di Kim Jong-un con le amministrazioni americane di qualsiasi colore. Le reali motivazioni dietro l’omicidio di Kim Jong-nam sono ancora un mistero, ma non è difficile pensare alla fobica volontà del dittatore nordcoreano di consolidare il potere nel Paese eremita, eliminando le “mele marce” nel giardino di casa e di lanciare un monito di narcisismo politico agli occhi di Washington e Pechino. Serena Console è stata stagista per la comunicazione dello IAI. | ||||||||
Cina: appesi a Twitter
| ||||||||
![]() L’incontro è avvenuto dopo che la leader taiwanese ha effettuato uno scalo tecnico a Houston, Texas, sulla via per il Centro America, dove l’attendevano gli incontri con i quattro alleati regionali di Taiwan: Honduras, Nicaragua, Guatemala ed El Salvador. Il meeting di Tsai con il senatore Cruz e con il governatore del Texas Greg Abbott, anch’egli repubblicano, ha fatto però infuriare Pechino, che aveva precedentemente chiesto alle autorità statunitensi di negare il sorvolo alla leader di Taipei. La risposta di Cruz non si è fatta attendere: “La Repubblica popolare cinese deve capire che negli Stati Uniti decidiamo autonomamente chi incontrare. Questo non riguarda Pechino, ma la nostra relazione con l’alleato Taiwan”. Nella città texana si è quindi discusso dell’opportunità di migliorare le relazioni bilaterali fra i due Paesi, a cominciare dagli scambi commerciali e dalla cooperaizone economica, specialmente nel settore agricolo. La politica dell’“Unica Cina” Pechino è il nuovo bersaglio della politica estera americana. A colpi di tweet, il neopresidente Trump si rivolge ai membri del Politburo accusandoli di aver approfittato dell’ultima fase della globalizzazione economica ai danni degli Stati Uniti. La minaccia dell’introduzione di una tassa sull’importazione di prodotti cinesi aumenta il risentimento della leadership cinese nei confronti della leadership repubblicana per il continuo affronto sulla questione taiwanese. Il caso non si limita solo alla telefonata che Trump ha avuto con la presidente taiwanese lo scorso dicembre, ma anche all’intervista rilasciata all’emittente americana Fox News, in cui il tycoon aveva espresso la sua contrarietà alla politica dell’“Unica Cina”, pilastro su cui si sostengono le relazioni sino-americane. È dal 1979 che gli Stati Uniti riconoscono infatti la Cina nel solo governo di Pechino. Da quel momento, Washington ha negato il riconoscimento diplomatico formale a Taiwan, che la Cina considera invece una provincia ribelle che tornerà, prima o poi, sotto l’ombrello politico di Pechino. Eppure, un ulteriore segnale è stato inviato all’altra sponda del Pacifico in occasione dell’insediamento di Trump a Capitol Hill: a partecipare all’Inauguration Day c’era infatti anche una delegazione di undici politici taiwanesi, capeggiati dall'ex primo ministro dell'isola, Yu Shyi-kun. Timori di guerra commerciale? Con l’insediamento di Trump alla Casa Bianca si configura un nuovo assetto globale: il tycoon newyorkese cerca di consolidare il rapporto diplomatico con Vladimir Putin, mentre la Cina si presenta come leader della globalizzazione. Ne è stato un esempio il discorso di apertura del presidente cinese Xi Jinping al forum economico di Davos: per circa un’ora, il portavoce del “socialismo con caratteristiche cinesi” si è presentato al mondo come alfiere della globalizzazione e avversario di protezionismo e populismo. Le metafore, tipiche della dialettica di Xi Jinping, hanno lasciato minimi margini di fraintendimento: il discorso era rivolto al 45° presidente Usa, sebbene il leader di Pechino non lo abbia mai menzionato. In Svizzera, a difendere la posizione già critica di Trump, c’era il consigliere Anthony Scaramucci che ha assicurato: “Né gli Stati Uniti né la Cina vogliono una guerra commerciale”. L’amministrazione americana ha di certo ben presente l’ultimo dato rilasciato dall'Ufficio nazionale di statistica cinese: Pechino è ormai entrata nella cosiddetta epoca economica del “new normal”, dove la crescita del Pil non conosce più i numeri a doppie cifre del decennio d’oro, ma - nel penultimo trimestre del 2016 - si assesta a un 6,7%. Un successo che è il risultato di accordi bilaterali con diversi Paesi, dell’incredibile progetto della Nuova Via della Seta per il miglioramento dei collegamenti e della cooperazione nella sfera eurasiatica, e dell’atteggiamento della leadership nella gestione delle crisi internazionali. Proprio in questo senso si comprende la condotta di non ingerenza negli affari interni degli altri Stati: Pechino pone poche prerogative di natura politica e mira a stabilire rapporti di natura economica, tralasciando la visione della democrazia dei vari Paesi. Il futuro dell’Asia Ma con Trump a Washington, cosa può succedere sull’altra sponda del Pacifico? L’imprevedibilità del nuovo presidente preoccupa Pechino, tanto che il Global Times - spin-off inglese del Quotidiano del Popolo - ha giudicato il nuovo inquilino della Casa Bianca “immaturo” in diplomazia e “molto superficiale” nella conoscenza delle relazioni tra Cina e Stati Uniti. I delicati equilibri nell’area orientale si incrinano sotto lo sguardo di Taipei e Pechino. Dal giorno della vittoria di Trump, la Cina ha dimostrato fermezza davanti a ogni provocazione americana, ostentando la necessità di costruire una stabilità economica e politica dentro e fuori la Grande Muraglia. Taipei non si vuole far cogliere impreparata, e nello stretto di Taiwan si tiene militarmente pronta a una possibile invasione cinese: a metà gennaio, per due giorni, sono state infatti condotte esercitazioni di simulazione di un possibile attacco da parte dell’esercito di Pechino. Taipei è pronta a fronteggiarele minacce della seconda potenza economica mondiale, forte anche delle dichiarazioni rilasciate da John Bolton, ex ambasciatore di Bush all’Onu e oggi consigliere di Trump per la politica estera, secondo cui i militari statunitensi potrebbero essere spostati da Okinawa, in Giappone, a Taiwan in risposta a possibili incursioni di Pechino. È difficile prevedere come si evolveranno i rapporti tra Cina, Stati Uniti e Taiwan: qualche indizio, però, potrebbe arrivare dai prossimi tweet. Stavolta, rispetto al passato, lanciati dall’account presidenziale, @POTUS. Serena Console è stata stagista per la comunicazione dello IAI. |
Iscriviti a:
Post (Atom)