di Federico Salvati
La Georgia insieme alla Moldavia rappresenta una della “success
stories” della Eastern Partnership
europea. Il paese, negli ultimi anni, ha fatto grandi sforzi per
rialzarsi da una situazione che all'inizio degli anni 90, lo vedeva
praticamente in ginocchio (ricordiamo che la Georgia era stata
dichiarata ufficialmente uno stato fallito dopo le guerre con
l'Abkhazia e l'Ossezia). Oggi, nelle strade di Tbilisi, è
impossibile trovare il caos e la tensione sociale che è descritto
nei report delle missioni ONU e OSCE negli anni immediatamente
seguenti alla caduta dell'Unione Sovietica.
La Georgia nelle sue relazioni con l'Europa si prodiga in ogni modo.
Lo slancio del governo nelle riforme istituzionali per il
“perfezionamento della democrazia nazionale” è eguagliato solo
dall' “ammirazione che i georgiani hanno dell'Europa”.
Dietro tutti questi titanici sforzi istituzionali, però, scavando
nel profondo, si nasconde una realtà ben più amara, la quale il
paese cerca di nascondere dietro il suo “entusiasmo riformista”.
Diciamo innanzi tutto, per mettere subito le cose in chiaro, che
“freedom house” definisce la Georgia come “un'autarchia
competitiva”. Questo significa che nonostante l'alternanza
periodica nell'elezioni politiche i contendenti, una volta al poter,
detengono un potere che è va decisamente al di la di quelli che sono
i limiti costituzionali, politici e giuridici che contraddistinguono
una democrazia.
La società georgiana è caratterizzata da un alto livello di
informalità e comunitarismo che male si sposa con gli standard
politico amministrativi proposti dall'occidente e dall'EU in
particolare. A contraddistinguere la situazione socio-politica del
paese è un altissimo livello di amministrazione informale (shadow
governance) che continua a pesare sui processi istituzionali in
maniera consistente. Tutto ciò crea un forte scollamento tra la base
elettorale e le élite di governo.
La classe politico-amministrativa vive in un “paradiso dorato”
fatto di privilegi e benessere, mentre la gente comune rimane legata
a standard di vita piuttosto bassi in generale.
L'opinione pubblica non ha nessuna fiducia ne nelle istituzioni ne
nei suoi rappresentanti. Per questo motivo la vita socio-economica
ruota ancora intorno alle conoscenze personali, le dinamiche
familiari e l'appartenenza etnica.
Emblematico
di ciò che si è appena detto è la figura dell'ex presidente
Ivanashvili. Tim Ogden1
scrivendo per GeorgiaToday, si dice sempre più perplesso dal fatto
che l'ex presidente Mr. Ivanashvili (che ricordiamo al momento non
rimane né più e né meno di un privato cittadino), nonostante abbia
esplicitamente affermato il suo non-convolgimento in qualunque azione
governativa, continui ad apparire in maniera incessante in tutti gli
eventi pubblici di prestigio e sia allo stesso tempo un assiduo
frequentatore degli ambienti politici di governo. L'autore afferma
apertamente come eventuali disaccordi tra la posizione del Presidente
Margvelashvili e quella di Mr Ivanashvili continuano a causare,
“inspiegabilmente”, crisi interne nel consiglio di ministri.
Democrazia e Georgia è un binomio che ancora stride in
maniera evidente. Per chiarire meglio il concetto, di seguito andiamo
a commentare due eventi che, nell'opinione di scrive chi scrive, sono
iconici della situazione socio-politica georgiana.
Governance e riforma del sistema di difesa
Alla fine dello scorso anno il governo ha finalizzato un
processo di riforma che andava avanti da anni. L'enorme sforzo
legislativo ha portato con successo a ristrutturare in maniera
consistente il sistema di difesa. Il programma è stato implementato
in maniera soddisfacente, con tanto di complimenti dell'ambasciatrice
Inglese che ha supervisionato e promosso la riforma.
Nel corso della cerimonia per la chiusura dei lavori
però, nei loro discorsi diretti ai presenti, vari partecipanti hanno
notato come la questione si presentasse tutt'altro che risolta. Con
tale riforma quello che la Georgia voleva ottenere era un maggiore
controllo civile delle forze armate. Ciò però può accadere solo
attraverso una solida e funzionante base istituzionale che presenti
dei requisiti minimi di trasparenza, rule of law e accountability.
Quello che invece è emerso durante la discussione è
che ci sono ancora seri dubbi sulle capacità delle sfere militari
nazionali di esercitare con successo le funzioni di comando e
controllo. Inoltre, gran parte dell'alto comando rimane ancora legato
ad una visione sovietica dell'esercito. Ciò sta a significare che i
comandanti si rifiutano di abbracciare l'idea di un esercito
professionalizzato e svincolato da un qualsiasi coinvolgimento nei
processi politico-civili.
Più di ogni altra cosa però si è rimarcato come
l'accentramento del potere nella mani delle istituzioni civili non
corrisponda ad un parallelo aumento della trasparenza nella gestione
delle questioni amministrative e in particolare del budget e degli
approvvigionamenti. La debolezza dell'autorità statale, infatti,
lascerebbe troppo spazio ad interessi privati che potrebbero avere un
peso fondamentale nei processi di decision-making.
Peacebuilding e società civile
È un fatto, ormai, più che rinomato che la Georgia
(sponsorizzata da cospicui fondi internazionali per la pace e la
stabilità) compie quotidianamente grandi sforzi per costruire un
futuro pacifico tra la madre patria e le regioni secessioniste del
Sud Ossezia e dell'Abkhazia. Una miriade di NGO , INGO, fondazioni e
gruppi d'azione lavora da 20 anni sul processo di pace, promuovendo a
scadenze serrate progetti sociali sui temi più vari. Indagando
sull'argomento, però, cominciano ad affiorare le solite
contraddizioni che fanno sempre apparire profonde rughe sulle fronti
di qualunque social worker di Tbilisi, coinvolto nell'argomento.
Messa in maniera semplice, la società civile ha
riportato nel campo del peacebuilding
risultati a dir poco inconsistenti. L'autore dell'articolo tiene a
sottolineare che esistono delle meravigliose eccezioni alla regola in
Georgia e alcune associazioni portano avanti programmi che
obiettivamente meriterebbero un caloroso e incondizionato supporto
sia dalle autorità nazionali che da quelle internazionali. Per la
maggior parte però il processo di pace, per come è svolto, lascia
grandi dubbi sulla sua efficacia. Nel complesso il quadro potrebbe
essere definito più o meno così: da una parte c'è il governo che
mantiene una posizione che sembra quasi di disinteresse sulla cosa;
dall'altra ci sono le associazioni non governative che cercano di
accaparrarsi i fondi della cooperazione alla pace, proponendo ogni
volta progetti rivoluzionari che promettono di innescare radicali
cambiamenti sociali (i tristemente famosi silver bullet projects). La
società civile, comunque, si guarda bene dall'essere sia troppo
audace che troppo innovativa. Presentarsi in questa maniera significa
suscitare il dubbio tra i donors internazionali e la preoccupazione
del governo il quale lascia lavorare la associazioni fin tanto che
queste non propongano una vera e propria agenda di opposizione. Da
tali circostanze, l'unico risultato ottenibile sarebbe solo
l'esclusione del gruppo operante da qualsiasi rete di finanziamento.
A chiudere il circolo troviamo la comunità
internazionale che continua finanziare i progetti di cui sopra con
la ingenua speranza di avere finalmente dei risultati tangibili.
Chi si occupa un minimo di società civile avrà notato
che c'è un grande assente nelle dinamiche appena descritte: il
processo di advocacy. L'advocacy è uno dei fattori chiave per
permettere alla società civile di partecipare attivamente al
dibattito democratico. Questa è il perno della partecipazione
popolare attraverso le strutture non-governative. Le associazioni
georgiane che si occupano di pace non possono permettersi di fare
pressioni sul governo per il raggiungimento di un accordo negoziale
al più presto. Tutto ciò è impensabile. Un'azione del genere
provocherebbe la furia dei media, del governo e anche di gran parte
dei comuni cittadini. Risultando nella cessazione dell'operato della
sventurata associazione. Si capisce che ciò che resta ai soggetti
della società civile è la speranza di continuare a lavorare nel
loro piccolo, portando a casa risultati al quanto limitati e innocui,
mentre pregano che fondi internazionali che le finanziano di non
smettano di arrivare nelle loro tasche.
La situazione oggi in Georgia assomiglia molto a quella
dell'ex jugoslava post Dyton. Il processo di pace si muove in maniera
gattopardesca. Gli sforzi della società civile vengono finanziati da
lauti fondi internazionali che hanno trasformato il settore in uno
dei principali sbocchi d'impiego del paese. La Georgia ha,
numericamente, una quantità di NGO legalmente registrate che supera
di quella delle stesse presenti in tutti gli Stati Uniti (fonte: City
hall Tbilisi). Non è azzardato prevedere che una volta che i fondi
per la pace e la cooperazione cominceranno a diminuire tutti questi
soggetti spariranno da un giorno all'altro (come è già successo
nell'ex Jugoslavia) dal momento che il potere statale non ha ne le
risorse ne l'interesse per mantenere in piedi questa complessa
struttura.
Conclusioni
Come giudicare la Georgia di oggi dunque? Nel complesso
stiamo parlando di un paese che ha un ex calciatore del Milan
(Kaladze) che è stato eletto inspiegabilmente ministro delle risolse
naturali e dell'energia. Di certo non si deve essere troppo duri con
questa povera nazione ma è opinione dell'autore che in passato i
commenti riguardo i cambiamenti socio-economico del paese sono stati
un pochino esagerati.
Letto in questa ottica diventa più comprensibile, il
rifiuto delle Germania sull'approvazione della facilitazione del
visti Shengen per la Georgia. La notizia ha suscitato nel paese una
rabbia sociale inaspettata. I giornali erano coperti di articoli che
recitavano che esprimevano lo sdegno dell'opinione pubblica con
espressioni anche forti.
La Georgia, nonostante quello che dicano i georgiani,
rimane un partner che soddisfa gli standard Europei di cooperazione
solo in superficie. Nel profondo il sistema politico manca ancora dei
principali strumenti di rule of law e partecipazione democratica.
L'informalità e l'incapacità di amministrazione delle autorità non
promettono un miglioramento delle relazioni tra l'EU e il paese nel
caso di un'apertura del regime di visti.
In conclusione vorrei comunque citare le parole de
rappresentante della NATO qui a Tbilisi che ha commentato, definendo
la Georgia un esempio di democrazia per gli altri paesi nella
regione.
Si può concordare in pieno con queste parole.
Visti ti risultati di Azerbaijan e Armenia la Georgia
appare come il proverbiale orbo in terra di cechi. Ma di certo le
possibilità e la realtà politiche del paese non devono essere
esagerate, altrimenti rischiamo di scambiare orbi per aquile reali.