sia Duterte, il giustiziere filippino anti-americano Francesco Valacchi 12/09/2016
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Il presidente filippino Rodrigo Duterte fa parlare di sé. Non solo per le offese rivolte al presidente Barack Obama, seguite a quelle riservate a Papa Francesco, ma anche per la sua politica, interna ed estera.
Infatti oltre al pronunciamento della corte internazionale dell’Aia sulla controversia per le isole del Mar Cinese Meridionale che ha dato forza alla posizione di Manila, è stata rilevante l’attività del Paese in ambito Asean ed i passi avanti nel ristabilimento completo dell’autorità del governo nel Sud del territorio, con l’inizio del dialogo con il gruppo Abu Sayyaf (legato al sedicente “stato islamico”).
Il recente attentato avvenuto a Davao il 2 settembre, rivendicato appunto dal gruppo Abu Sayyaf, a seguito del quale Duterte ha annullato la prima tappa di una serie di viaggi tra i Paesi dell’ASean, spinge però ad una più critica e completa analisi della strategia filippina.
L’antiamericanismo di Duterte Dal momento della sua elezione il presidente ha iniziato una politica estera di confronto diretto con gli Stati Uniti che ha visto forti prese da parte di Manila sempre più caratterizzate da un pittoresco anti-americanismo. Basti pensare alle parole con le quali Duterte ha accusato gli Stati Uniti di favorire estremismo islamico e terrorismo con la loro spregiudicata politica estera.
Il confronto è avvenuto con toni esasperati da parte filippina mentre Washington ha smorzato le polemiche di facciata, definendo le uscite di Duterte delle ragazzate. Tuttavia i rapporti fra i due paesi, tradizionalmente legati dalla colonizzazione statunitense, non potranno certo essere cancellati con un colpo di spugna dalle intemperanze momentanee del nuovo leader di Manila.
Fra gli Usa e le Filippine si era già tenuto un vertice economico che aveva fra gli argomenti di spicco la cooperazione in ambito Wto, Apec e Asean in marzo e la cooperazione risulterà fondamentale per l’implementazione del trattato Trans-Pacific Partnership (Ttp).
Inoltre i ben 18 miliardi di dollari di interscambio commerciale raggiunti nel 2015 sono certo una cifra di tutto rispetto ed avranno un loro peso nel mantenere buono il rapporto fra i due Paesi, così come l’accesso, consentito alle truppe americane, a cinque basi militari su territorio filippino (accordo di marzo 2016).
Pena di morte e schiaffo ai diritti umani Il versante della politica interna ha fatto registrare gli aspetti più stridenti dell’azione di Duterte. A partire dalla sua elezione infatti, con una violentissima lotta al traffico della droga il governo ha calpestato numerose libertà civili (sembra che la polizia abbia sommariamente ucciso 2000 cittadini).
Il Presidente ha inoltre annunciato l’intenzione di voler reintrodurre la pena capitale. Da più parti, organizzazioni non governative come Human Rights Watch gridano alla sistematica violazione dei diritti umani, mentre le Nazioni Unite hanno pesantemente criticato la politica interna di Duterte.
Se la recrudescenza della lotta ai trafficanti, già applicata da Duterte durante il suo mandato come sindaco della città di Davao, può aver colpito duramente le organizzazioni criminali, ha di certo impressionato la popolazione e l’ha portata ad avvicinarsi a gruppi più radicali.
L’aumento del consenso per gruppi come Abu Sayyaf sta motivando estremisti e l’attentato di Davao potrebbe essere solo il primo segnale di una maggior aggressività di tali attori. Dal canto suo Duterte ha risposto con la collaudata decisione e, dopo aver dichiarato lo stato d’emergenza e concesso poteri straordinari all’esercito, ha singolarmente affermato di voler “divorare” i terroristi.
Da un certo punto di vista l’inflessibilità del metodo Duterte ha portato alcuni risultati nella municipalità da lui amministrata per ben sette mandati, dal momento che Davao da città violenta per antonomasia è passata nella classifica delle dieci città più sicure al mondo.
Ma l’altro lato della medaglia è stata la completa subordinazione dei diritti umani ai poteri della polizia nella città. Questa dinamica, come abbiamo visto, ha rafforzato i gruppi estremisti presenti nell’area e nelle aree limitrofe, fomentando il fuoco della ribellione sotto la parvenza della governance imposta dall’alto.
Manila verso la presidenza Asean Duterte ha ereditato una situazione economica in ripresa e le Filippine sono definite dalla Banca Mondiale come uno dei migliori Paesi per crescita economica nell’area; la crescita prevista per l’economia quest’anno è del 6,4%.
All’inizio del suo mandato ha dichiarato di volersi focalizzare, come il predecessore Benigno Aquino, sullo sviluppo delle infrastrutture e sul perfezionamento della politica fiscale (punto peraltro direttamente legato alla sua politica di lotta alla corruzione).
L’economia del Paese è inserita in maniera propositiva nel contesto dell’Asean e della sua Comunità economica e ne ha tratto grande vantaggio negli ultimi due anni. Le Filippine assumeranno la presidenza dell’organizzazione per il 2017, ottenendo un’ulteriore occasione di promuovere la propria economia.
Un’importante sfida per Duterte sarà la gestione del rapporto con la Cina. La relazione con questo partner economico di peso è segnata dalla sentenza della corte internazionale dell’Aja che ha bocciato le pretese cinesi sulle isole filippine.
Se il rapporto con Pechino dovesse compromettersi e le intemperanze del presidente dovessero mettere in discussione la cooperazione con gli Stati Uniti, Mosca sarebbe un ottimo candidato per allacciare rapporti più stretti. La Russia è infatti interessata alla promozione dei rapporti commerciali con i Paesi Asean, come ampiamente dimostrato nel vertice di Sochi di quest’anno.
Allacciare una più profonda collaborazione con le Filippine sarebbe un’importantissima leva di penetrazione nei rapporti dell’organizzazione. Oltre all’attrazione economica, la Russia è sicuramente vicina a Manila nella sanguinosa lotta al terrorismo di matrice islamica che Duterte sembra essere intenzionato a mettere in atto.
Duterte si era già professato entusiasta di incontrare Putin durante il meeting dei Paesi Asean in Laos (6-8 settembre), dal momento che si era definito “molto simile” al presidente russo. Al termine del vertice, nel quale ha accettato la presidenza dell’Asean per il 2017, Duterte ha dichiarato che lavorerà “per portare l’Asean ad un modello di regionalismo e di attore globale che metta l’interesse del popolo al centro delle sue politiche”. Si vedrà nell’arco del suo mandato se nell’interesse del popolo verrà inclusa maggiore attenzione per i diritti umani o meno.
Francesco Valacchi si è laureato in Scienze Strategiche nel 2004 presso l’ateneo di Torino ed in Studi internazionali presso quello di Pisa nel 2013. È appassionato di geopolitica e strategia; è ufficiale in servizio permanente effettivo nell’esercito italiano.
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