Cina Il piano quinquennale sempre meno cogente Romeo Orlandi 07/12/2015 |
"Dobbiamo essere realistici e ammettere che per un periodo di tempo considerevolmente lungo a venire, i nostri piani economici nel complesso possono essere solo a grandi linee ed elastici e non possiamo fare più che esercitare un controllo effettivo sulle questioni principali, puntando a un equilibrio generale nella pianificazione e attraverso la regolamentazione con mezzi economici, consentendo nel frattempo flessibilità su quelle di minore importanza".
Queste impegnative affermazioni hanno il marchio del CC del Partito comunista cinese nel 1984, quando l’impostazione collettivista di Mao stava per essere smantellata.
La straordinaria, efficace, virata di Deng Xiao Ping ha costruito i binari sui quali viaggia ancora spedita la locomotiva cinese. Senza sorprese né deviazioni la recente assise del Pcc ha infatti consegnato l’impalcatura del 13̊ piano quinquennale che sarà perfezionata e approvata nella primavera del 2016 dall’Assemblea nazionale del popolo.
Il lessico è rimasto invariato dai tempi della pianificazione sovietica; la liturgia è immutabile: da 66 anni la continuità è sacra; da millenni, nelle storia cinese, la forma è sostanza.
Imprese private sempre più dinamiche
Tuttavia, la società e l’economia cinese sono radicalmente cambiate. Le “questioni principali” sono effettivamente rimaste in mano al partito-stato, ma quelle “di minore importanza” sono cresciute esponenzialmente. Le imprese pubbliche concorrono con quote decrescenti alla formazione del Pil.
Sono ancora importanti per l’occupazione, i settori strategici, i canali opachi che le legano al governo. Sono però le imprese private a mostrare maggiore dinamismo, abilità imprenditoriali, capacità di generare reddito nella catena globale del valore.
Anche l’export registra il dominio pressoché assoluto delle aziende private e delle multinazionali che hanno investito in Cina. Rimane invece forte il controllo politico della sfera economica, come se a essa fosse stata concessa una delega per le sue migliori capacità di produrre ricchezza sociale.
Made in China 2025, occhio alla qualità
Il blueprint del 13̊ piano quinquennale riflette in pieno questa contraddizione: l’impossibilità di gestire l’economia, non poterne prendere le redini pur mantenendone il controllo. Tornare alla vecchia impostazione è oggi impossibile. Non a caso, anche in cinese la parola “piano” è stata sostituita da “linee guida”.
Quelle enunciate erano attese. Il primo obiettivo sarà la combinazione tra innovazione e miglioramento tecnologico. È un percorso obbligato se la Cina intende uscire da una dimensione quantitativa della crescita, che per tanti, troppi anni l’ha relegata al ruolo di opificio mondiale.
La gigantesca macchina da merci impiantata sul suo territorio l’ha redenta dal sottosviluppo ma ha consegnato il suo futuro a un’incessante produzione. La Cina è nota per essere “la fabbrica del mondo”, non per la sofisticazione dei suoi prodotti. L’obiettivo del piano è promuovere il programma “Made in China 2025”, nell’orgoglio di saper offrire al mondo la qualità cinese.
La green economy cinese
La scelta della green economy - altra priorità del piano - è sia un obiettivo intermedio che uno strumento utile. Sono consegnati alla storia - o dovrebbero esserlo - le negligenze sull’inquinamento da carbone, l’irresponsabile emissione di Co2, le visioni del traffico impazzito nelle metropoli.
Siamo ancora in presenza di una contraddizione: la Cina è il principale responsabile dell’inquinamento e il paese che spende di più per combatterlo. Lo stesso sforzo di servire l’industria è stato affidato allo sviluppo di internet e della rete, per la loro capacità di tagliare orizzontalmente tutti i settori produttivi.
La riforma del sistema finanziario è l’auspicio probabilmente più ambizioso del piano. Si articola in una maggiore libertà nel mercato dei capitali, nella convertibilità del renminbi, nella richiesta di includerlo tra le valute di riserva del Fondo monetario internazionale. Su questo terreno le resistenze interne e internazionali saranno serrate, perché la riforma si annuncia destabilizzante per interessi ed equilibri consolidati.
È stato infine annunciato un miglioramento del welfare state, con l’estensione delle coperture assicurative per le malattie e un miglioramento del sistema pensionistico. Sono segnali importanti per incrementare il consenso, garantire la stabilità e consegnare alla storia ineguaglianze sociali sempre meno giustificabili.
Il piano quinquennale riprende dunque temi già avviati dal governo; li codifica, ma non li introduce. La sua funzione è simbolica e programmatica, ma sempre meno cogente. Conferma che ogni decisione cinese è frutto di sintesi prima ancora che di scontro tra linee antitetiche, anche se questo non significa che le decisioni prese saranno redditizie o indolori per tutti.
Romeo Orlandi è Sinologo, economista, Professore di Economia dell’Asia Orientale all’Università di Bologna.
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La straordinaria, efficace, virata di Deng Xiao Ping ha costruito i binari sui quali viaggia ancora spedita la locomotiva cinese. Senza sorprese né deviazioni la recente assise del Pcc ha infatti consegnato l’impalcatura del 13̊ piano quinquennale che sarà perfezionata e approvata nella primavera del 2016 dall’Assemblea nazionale del popolo.
Il lessico è rimasto invariato dai tempi della pianificazione sovietica; la liturgia è immutabile: da 66 anni la continuità è sacra; da millenni, nelle storia cinese, la forma è sostanza.
Imprese private sempre più dinamiche
Tuttavia, la società e l’economia cinese sono radicalmente cambiate. Le “questioni principali” sono effettivamente rimaste in mano al partito-stato, ma quelle “di minore importanza” sono cresciute esponenzialmente. Le imprese pubbliche concorrono con quote decrescenti alla formazione del Pil.
Sono ancora importanti per l’occupazione, i settori strategici, i canali opachi che le legano al governo. Sono però le imprese private a mostrare maggiore dinamismo, abilità imprenditoriali, capacità di generare reddito nella catena globale del valore.
Anche l’export registra il dominio pressoché assoluto delle aziende private e delle multinazionali che hanno investito in Cina. Rimane invece forte il controllo politico della sfera economica, come se a essa fosse stata concessa una delega per le sue migliori capacità di produrre ricchezza sociale.
Made in China 2025, occhio alla qualità
Il blueprint del 13̊ piano quinquennale riflette in pieno questa contraddizione: l’impossibilità di gestire l’economia, non poterne prendere le redini pur mantenendone il controllo. Tornare alla vecchia impostazione è oggi impossibile. Non a caso, anche in cinese la parola “piano” è stata sostituita da “linee guida”.
Quelle enunciate erano attese. Il primo obiettivo sarà la combinazione tra innovazione e miglioramento tecnologico. È un percorso obbligato se la Cina intende uscire da una dimensione quantitativa della crescita, che per tanti, troppi anni l’ha relegata al ruolo di opificio mondiale.
La gigantesca macchina da merci impiantata sul suo territorio l’ha redenta dal sottosviluppo ma ha consegnato il suo futuro a un’incessante produzione. La Cina è nota per essere “la fabbrica del mondo”, non per la sofisticazione dei suoi prodotti. L’obiettivo del piano è promuovere il programma “Made in China 2025”, nell’orgoglio di saper offrire al mondo la qualità cinese.
La green economy cinese
La scelta della green economy - altra priorità del piano - è sia un obiettivo intermedio che uno strumento utile. Sono consegnati alla storia - o dovrebbero esserlo - le negligenze sull’inquinamento da carbone, l’irresponsabile emissione di Co2, le visioni del traffico impazzito nelle metropoli.
Siamo ancora in presenza di una contraddizione: la Cina è il principale responsabile dell’inquinamento e il paese che spende di più per combatterlo. Lo stesso sforzo di servire l’industria è stato affidato allo sviluppo di internet e della rete, per la loro capacità di tagliare orizzontalmente tutti i settori produttivi.
La riforma del sistema finanziario è l’auspicio probabilmente più ambizioso del piano. Si articola in una maggiore libertà nel mercato dei capitali, nella convertibilità del renminbi, nella richiesta di includerlo tra le valute di riserva del Fondo monetario internazionale. Su questo terreno le resistenze interne e internazionali saranno serrate, perché la riforma si annuncia destabilizzante per interessi ed equilibri consolidati.
È stato infine annunciato un miglioramento del welfare state, con l’estensione delle coperture assicurative per le malattie e un miglioramento del sistema pensionistico. Sono segnali importanti per incrementare il consenso, garantire la stabilità e consegnare alla storia ineguaglianze sociali sempre meno giustificabili.
Il piano quinquennale riprende dunque temi già avviati dal governo; li codifica, ma non li introduce. La sua funzione è simbolica e programmatica, ma sempre meno cogente. Conferma che ogni decisione cinese è frutto di sintesi prima ancora che di scontro tra linee antitetiche, anche se questo non significa che le decisioni prese saranno redditizie o indolori per tutti.
Romeo Orlandi è Sinologo, economista, Professore di Economia dell’Asia Orientale all’Università di Bologna.
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