Arabia Saudita
La settimana scorsa l’Arabia Saudita ha rifiutato il proprio seggio tra i membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, decisione inedita nella storia dell’organizzazione. A spiegare la presa di posizione di Riyadh è stato, alcuni giorni dopo, l’influente principe Bandar bin Sultan al-Saud, per parecchi anni Ambasciatore a Washington, che nel luglio del 2012 ha assunto l’incarico di direttore dell’intelligence saudita. Parlando con alcuni funzionari europei a margine di una riunione sulla crisi siriana, Bandar ha sottolineato l’inefficienza del Consiglio di Sicurezza nella gestione del conflitto in Siria e del riavvio del processo di pace israelo-palestinese, ma ha anche messo in rilievo le divergenze venutesi a creare tra Riyadh e gli Stati Uniti dopo la decisione americana di abbandonare i piani per un’operazione militare contro il regime di Bashar al-Assad. In effetti, il capo dell’intelligence saudita! sembra essersi impegnato in prima linea nel sostegno all’opposizione siriana a partire dalla scorsa estate, pressando il governo di Riyadh, per un incremento degli aiuti militari nei confronti dei ribelli, e Washington, per l’organizzazione di un’azione militare in grado di ribaltare gli equilibri di forza nell’ambito del conflitto siriano. Dopo l’accordo sull’asse Washington-Mosca-Damasco per la dismissione dell’arsenale chimico siriano, l’Arabia Saudita è oggi portatrice della linea più intransigente tra i Paesi che appoggiano le forze anti-Assad. Una linea sposata anche, di recente, da una parte della Coalizione Nazionale Siriana – organismo nato a Doha nel novembre scorso come ombrello per le forze dell’opposizione, su cui i sauditi esercitano un innegabile influenza – che ha annunciato di voler boicottare la conferenza di Ginevra II per la ricerca di una soluzione diplomatica al conflitto.
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