IL SALUTO ALL’ITALIA DEL POETA INDIANO
RABINDRANATH TAGORE
Ten. cpl. Art. Pe. Sergio Benedetto Sabetta
SALUTO DI TAGORE
Prima di lasciare l’Italia, il grande Poeta Indiano Rabindranath Tagore ha rivolto il seguente poetico messaggio di commiato:
“Io ti dissi:
Regina! Al pari dei molti altri amanti che portarono i loro doni ai tuoi piedi, sono venuto; come l’allodola che vola verso i cancelli dell’aurora, solo per cantarti il mio canto e poi fuggire; a te che mi hai parlato attraverso il tuo velo;
Ora è inverno, Poeta; il mio cielo è fosco di brume; i miei giardini sono spogli di fiori.
Regina, io ho portato il mio flauto, dal mio paese d’Oriente, sperando di suonarlo alla luce dei tuoi occhi neri. Aprimi il tuo velo!
Torna indietro, o mio impaziente Poeta, poiché ancora non mi sono ornata dei miei colori. Quando nel dolce mese di maggio siederò sul mio trono di fiori, allora sì ti inviterò al mio fianco.
Regina, in questa parola di speranza è il frutto del mio lungo viaggio. Portata dalla brezza di primavera, la magia del tuo invito farò sbocciare i fiori della mia selva lontana, Ed io riprenderò il sentiero di ritorno verso la tua finestra in un giorno pieno di sole, inebriato di fragranze e tutto armonioso di api ronzanti.
Ma oggi, mentre prendo commiato e me ne vo lontano, io canto: Vittoria a Te.”
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Oggi, 2 febbraio, Tagore lascerà l’Italia. Egli s’imbarcherà a Venezia e salperà verso la sua patria lontana.
Il suo saluto all’Italia, che tutta la stampa indipendente italiana ha riprodotto, spiega a sufficienza le ragioni di questa sua repentina partenza. “Il cielo d’Italia – egli ha detto – è fosco di brume; i suoi giardini sono spogli di fiori”. – Tutti hanno compreso, perché questo, appunto, è il grande, incomparabile dono dei Poeti, quello di farsi comprendere da tutti, senza abbassarsi a indicare le cose col loro nome volgare.
Al Poeta partente andranno certo il saluto e l’augurio di tutti gli Italiani. Tutti gli italiani comprendono la tua grandezza e, specialmente in quest’ora, sentono come un solenne ammonimento la sua voce, che parla di bontà e di fratellanza umana.
Auguri di viaggio, felice, o Poeta. Grazie del tuo saluto, che tutti gli Italiani hanno compreso e perdona le parole di scherno dei vili che sono ben diverse da quelle che l’Italia ti invia.
A Tagore
Tu eri venuto dalle cerule rive del tuo fiume sacro per portare all’Italia la tua anfora votiva.
L’anfora era il tuo cuore, colmo dell’ambrosia di Soma, il dio lunare dei tuoi avi.
E tu pensavi spargere il nettare colto sui margini fioriti dei tuoi tropicali giardini ai piedi di Roma.
Un canto tessuto d’immagini ultraterrene, come un inno Vedico, già ti fremeva sul labbro, impaziente di sciogliere il volo.
Di sciogliere il volo verso la Madre Universale, l’Infinita, cioè Roma.
Nessuna voce, nessun Carme secolare avrebbe eguagliato il tuo canto, o Poeta.
Nell’aspettativa trepida e muta già fremevano le anime nostre, come all’aurora le frasche stormenti sulle acque luminose del Gange.
Ma, come dal cuore fraterno t’irruppe la prima parola: - Pace! – ti fermasti turbato.
Il cielo premeva corrusco la bella terra d’Italia, come se Agui, il dio del fuoco, avesse suscitato un vastissimo incendio dall’Alpi severe all’Ionio ridente .E Jama, la Morte, pareva sola regina.
Il tuo volto si scolorò come il fiore del loto quando il sole tramonta.
Pavido, interrogasti il tuo cuore:
Dov’è la sponda Elisia da me sognata? Dove sono i canti amebei nei giardini, pensili sulle mura, che videro i secoli? Dov’è la gaia festività del popolo? Quale cruccio segreto segna di una ruga profonda la fronte di molti? E questi altri, perché portano sul volto una livida maschera di odio? Dov’è , dov’è la gioia della vita? Così ti interrogasti e ti sentisti quaggiù sperduto come nel deserto del Tibet.
E sei fuggito …
O torna, torna, illustre poeta dall’animo grande, al tuo lontano paese ad intrecciare ghirlande che sorridono colle labbra colorate dal fiore di Vinoba.
E canta ancora la Pace, l’Amore, la Fratellanza fra gli uomini. Ancora inneggia alla libertà.
Esecra l’odio e la vendetta, abbandona all’ira degli Dei colui che si macchia le mani di sangue fraterno.
Saetta la luce dei tuoi aperti pensieri contro Vrtra, il mostro delle tenebre, che copre i delitti.
Canta ed esalta la verità …
… Ma nel tuo paese .
Poiché oggi l’Italia è piena di gente che non ti può comprendere.
In riva al mare in tempesta presso Genova, 2 febbraio 1925
Tratto dalle memorie del Legionario EDOARDO LANDI
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