Il ruolo dell’impresa
nella liberalizzazione dell’economia cinese post-Mao è stato centrale sin dalle
fasi iniziali e, da allora, le grandi aziende cinesi si sono dovute evolvere, per
diventare competitive a livello internazionale.
I
leaders cinesi sapevano che avrebbero dovuto costruire potenti compagnie a
livello mondiale affinché l'economia del Paese potesse crescere in modo
sostenibile. Nell’agosto del ‘98, l’allora Vice Premier Wu Bangguo affermò che:
“La nostra posizione nazionale nell’ordine economico internazionale sarà in
gran parte determinata dalla posizione dei
nostri grandi gruppi e imprese.”
Influenzato
dall'esperienza del modello sud coreano
chaebol e del giapponese keiretsu, Pechino decise di selezionare
ciò che Nolan ha chiamato
una Nazionale
delle grandi imprese industriali, per alimentarle, favorirle e supportarle in
modo da renderle
competitive a livello
globale.
Questi
pochi eletti che
The Economist ha definito
campioni
nazionali, sono stati sostenuti con politiche industriali favorevoli, prezzi
immobiliari ridotti, prestiti preferenziali e quotazioni
privilegiate in borsa.
Tra i prescelti comparivano la Sinopec
(China National Petrochemical Corporation) e la CNPC (China National Petroleum
and Gas Corporation), per il settore petrolifero e petrolchimico; l’AVIC
(Aviation Industries of China) per il settore aerospaziale; le città di
Shanghai, Harbin e Dongfang per gli apparati elettrici; le città di Yiqi, Erqi
e Shanghai, per il settore auto; la China Mobile e la China Unicom per il
settore delle telecomunicazioni.
In Cina, alcuni settori
industriali e commerciali sono considerati il cuore dell'economia nazionale e,
pertanto, la legge prescrive che tutte le imprese ivi operanti siano di
proprietà dello Stato o da esso controllate, a prescindere dalla struttura
azionaria (tab.1). I settori in argomento sono: energetico (generazione e distribuzione);
petrolifero, carbonifero, petrolchimico; gas naturale; macchinario;
automobilistico; ferroso, acciaifero e metallifero; edile; informazione; telecomunicazioni;
armamenti aerei e marittimi.
Tabella 1: Imprese
cinesi collegate al governo
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Attività
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Produzione e distribuzione di petrolio
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Telefonia
mobile
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Informatica
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Fonte:
BusinessWeek, agosto 22/29, 2005
La crescente diffusione
di entità commerciali al di fuori dei confini nazionali è divenuta un elemento importante per la Cina
dove gli attori di politica estera non si limitano al governo, al PCC e ai
militari, ma si estendono, nell’attuale panorama, alle aziende di Stato, agli
istituti finanziari e alle società del settore energetico. Questo fenomeno non
riguarda esclusivamente la Cina, ma i suoi effetti sono molto piu’
appariscenti, poichè esiste una relazione simbiotica tra imprese, governo e
leaders del partito. Inoltre, la particolare attenzione della Cina ad
assicurarsi il flusso di materie prime provenienti da sedi offshore è
accompagnata da implicazioni commerciali
di carattere politico, economico e di sicurezza. L’ imperativo di far crescere l'economia cinese con i suoi
associati ODI, come descritto in precedenza, comporta anche l'importante ruolo di
politica estera svolto dalle aziende commerciali. La diplomazia
del “libretto di assegni” di Pechino si
basa sulla presenza economica all'estero e quindi le imprese interessate sono
un perno fondamentale intorno al quale
ruota la diplomazia.
Le aziende cinesi
coinvolte nei settori di importanza strategica per lo Stato, ovvero
il petrolio, i minerali e la difesa, hanno un
ruolo di rilievo nella politica estera cinese. Pertanto, quando si procede a formulare
la politica di sicurezza energetica, i leaders delle grandi aziende di Stato
(SOE) competenti in materia partecipano in qualità di membri al ciclo
decisionale ufficiale.
I dirigenti di queste aziende ricadenti sotto il
governo centrale come la China National Petroleum Corporation (CNPC), ad
esempio, sono nominati dal Dipartimento Organizzazione del Comitato Centrale
del PCC e hanno rango di ministro o vice ministro e sono membri supplenti del
Comitato centrale.
La partecipazione dei vertici
delle aziende SOE sia al sistema statale sia a quello partitico costituisce un
importante legame politico, detto
guanxi, che
consente loro di contribuire alle decisioni politiche relative agli specifici
settori di attività ed interesse.
A volte, il confine tra azienda e governo
è davvero molto labile.
Negli ultimi anni, ad esempio, due
funzionari degli Esteri sono stati assegnati agli uffici della CNPC ubicati in un
particolare paese, per poi divenire funzionari diplomatici in quello stesso
paese in cui avevano prestato servizio come funzionari CNPC.
Ciò sarebbe pressoché impossibile nel
corpo diplomatico di altri paesi, perché la maggior parte delle economie
sviluppate lo
considererebbe un inaccettabile
conflitto di interessi.
Le aziende sono strumenti frequentemente usati
per attuare la politica estera di Pechino come nel caso degli aiuti ai paesi
del terzo mondo che, molto spesso, consistono nel realizzare grandi progetti
infrastrutturali con imprese e finanziamenti bancari forniti dalla stessa Cina.
Molte strade, stadi e ospedali in Africa, Asia Centrale, Sud Pacifico e nel
bacino dei Caraibi sono stati costruiti dalla diplomazia del dollaro cinese. L'ambito
e la portata delle attività commerciali cinesi all'estero dettano certamente fino
a che punto esse devono essere considerate elementi di politica estera, com’e’
di solito molto evidente nel caso delle aziende energetiche cinesi in Africa e
in Asia centrale.
Inoltre, altri accordi concernenti le
risorse naturali sembrano rafforzare l’interdipendenza tra imprese e governo.
In
Afghanistan, nel 2007, la China Metallurgical Construction Corporation acquistò
la miniera di rame Aynak e i media diedero ampia informazione riguardante le
forti pressioni cinesi sul governo afgano e le presunte tangenti versate per
ottenere il sostegno dei principali leaders afgani.
L’affare da 3,5 miliardi di dollari
prevedeva un impegno cinese a lungo termine per sviluppare infrastrutture ferroviarie,
energetiche e sanitarie del paese.
Tutte le imprese cinesi
hanno un’organizzazione del PCC parallela alla struttura societaria, nel
rispetto di un requisito standard che permette al PCC di essere sempre ben presente,
vigile e visibile nelle attività commerciali. Sebbene decenni di riforme
abbiano prodotto un’evoluzione delle aziende di Stato in molti settori, il
ruolo del partito risulta ancora determinante.
Il
Chief Executive Officer (CEO) di un’azienda di Stato deve considerare alcuni fattori
politici che non rientrano tra le competenze delle multinazionali e degli amministratori
delegati di altri paesi.
I CEO delle più grandi SOE sono in
realtà nominati dal Dipartimento Organizzazione Centrale del PCC.
La Commissione
di Supervisione e Amministrazione degli Assetti Statali (CSAAS) controlla registra e valuta le
attività di circa 200 imprese statali.
La CSAAS
ha ruotato senza alcun preavviso
la
leadership tra alcune compagnie telefoniche rivali (China Telecom, China Unicom
e China Mobile).
Ciò assicura che le
attività delle aziende cinesi, sia in patria sia all'estero, siano in linea con
gli obiettivi del governo e del PCC che decide la regolare rotazione dei funzionari
tra governo e cariche aziendali.
Come indicato nel precedente
esempio relativo ai diplomatici cinesi, l’influenza dell’apparato centrale è
evidente anche in altri settori.
Nell'ottobre 2003, ad esempio, Wei
Liucheng divenne Governatore Provinciale dell'isola di Hainan dopo essere
stato, nel suo precedente incarico, Amministratore Delegato, Presidente del
Consiglio e Segretario di Partito della China National Offshore Oil
Corporation.
Il significativo legame
tra partito e settore privato è ancora più evidente nel caso
di una delle società di maggior successo, l’Haier
Group, produttore di elettrodomestici. Probabilmente questa società non ha una rilevanza
strategica, ma negli Stati Uniti e’ molto famosa per i piccoli frigoriferi
ideali sia per i vini sia per gli alloggi universitari,
e ha dunque un ruolo di rilievo dettato
dall’enorme successo internazionale.
Pertanto, il suo presidente,
Zhang Ruimin, è stato nominato membro supplente del PCC dal Comitato Centrale del
2002, divenendo uno dei pochi imprenditori che ricoprono un simile incarico,
segno evidente delle sue connessioni politiche.
La Export Import Bank
of China (Eximbank) e la China Development Bank (CDB) sono le principali banche
cinesi controllate dal governo. L’Eximbank
è indirizzata all’espansione del commercio internazionale, mentre la CDB ha il
compito di promuovere lo sviluppo delle infrastrutture economiche in Cina. Entrambe
sostengono direttamente la politica governativa del going global, attraverso l’erogazione di prestiti, garanzie e crediti
per le esportazioni a favore delle imprese cinesi operanti all'estero. Sia
l’Eximbank sia la CDB sono concentrate sulle società interessate allo
sfruttamento delle risorse e dei progetti di sviluppo delle infrastrutture
all'estero; pertanto, hanno assunto un ruolo importante per il supporto alle
aziende dedicate alle risorse minerali, al petrolio, alle telecomunicazioni e al
lavoro all'estero.
L’Eximbank è l'unica banca cinese autorizzata
a concedere prestiti agevolati ed è il principale finanziatore di prestiti ai governi
stranieri; quindi, è anche uno dei principali attori nell’allocazione degli aiuti
all’estero.
Sul
proprio sito web, nel 2007 ha così descritto la sua missione:“Attuare le
politiche statali nel settore industriale, del commercio estero, diplomatico,
economico, finanziario ...”
Nel
2009,
ha elargito un prestito di
5 miliardi di dollari alla Banca per lo
sviluppo del Kazakistan, per realizzare un progetto petrolifero.
L’operazione
era parte di un accordo che ha concesso alla CNPC una quota del 50% in uno dei
più grandi progetti relativi al gas e al petrolio Kazaki.
L’Eximbank
è anche una banca di policy
del
Consiglio di Stato, condizione che unita al suo ruolo di aiuti all’estero, le
dà voce in capitolo nel processo di formazione della politica estera per quanto
riguarda il commercio e gli investimenti.
La CDB, invece, nel 2004 ha concesso un
prestito agevolato di 10 miliardi di dollari all’Huawei Technologies, produttore
di apparati di telecomunicazione, al fine di favorirne l'espansione all'estero.
Nel 2007 ha investito 5 miliardi per costituire il Fondo di Sviluppo
Cina-Africa, teso a finanziare e migliorare i rapporti commerciali sino-africani.
Nel 2009 ha concesso un prestito di 25
miliardi alle società russe Transneft e Rosneft, gestrici di oleodotti, che ha
immediatamente permesso di raggiungere l’accordo inerente a un oleodotto
russo-cinese che sino ad allora era stato oggetto di aspri e inutili negoziati risalenti
addirittura al 1994.
Sempre nel 2009, la CDB ha anche erogato un prestito
di 10 miliardi al più grande produttore petrolifero brasiliano, la Petrobras,
ricevendo in cambio una fornitura decennale di petrolio.
Inoltre,
ha costituito una joint venture con una
banca in Pakistan destinata a supportare le aziende cinesi coinvolte nelle infrastrutture
e nella produzione, mentre
sul versante
occidentale ha stanziato 3 miliardi, nel 2007,
per acquisire un’importante quota della banca inglese Barclays.
La particolare rilevanza
e influenza della CDB, che ha un suo
braccio di ricerca di policy e si concentra sullo sviluppo economico, è
ulteriormente sottolineata dal rango ministeriale del Presidente della Banca.
E’ un evidente
vantaggio che gran parte degli investimenti cinesi all’estero vengano effettuati
da imprese statali.
Le SOE non sono infatti obbligate alla trasparenza
richiesta ai concorrenti occidentali, che viceversa sono tenuti a pubblicare
relazioni annuali per gli azionisti; inoltre, possono avere accesso immediato al
capitale governativo e possono permettersi una visione strategica a lungo termine,
integrata nelle priorità governative, senza l’assillo di dover inseguire i profitti
a breve termine e doversi preoccupare di indirizzi che non provengano dal governo
e dal Partito.
Gli investimenti esteri
sono diventati una realtà crescente dell'economia cinese. Alcuni sostengono che
ciò rappresenti un ampio processo di liberalizzazione economica e di ristrutturazione
in cui gioca un ruolo di primo piano il governo centrale anziché l'imprenditoria
privata. La spinta di Pechino agli investimenti all'estero è radicata nelle
caratteristiche fondamentali del mercato e nelle realtà della globalizzazione e
della regionalizzazione, oltre alle considerazioni geopolitiche e strategiche.
Vi è un’ampia
letteratura sugli obiettivi e le motivazioni dell’ODI. L’United Nations’
Department of Economic and Social Development, Transnational Corporations and
Management Division (UN TCMD) individua 5 categorie principali di investimenti realizzati
da imprese di paesi in via di sviluppo: ricerca di mercati per l’ODI; focus
sull’esportazione; ricerca di risorse, tecnologie ed efficienza.
Nel caso cinese, l'OCSE
fissa 5 grandi categorie di ricerca: risorse,
mercati, risorse strategiche, diversificazione ed efficienza.
Zhan cita le seguenti motivazioni
dell’ODI cinese: sicurezza e stabilità di approvvigionamento delle risorse
naturali indisponibili in Cina nelle quantità richieste; incremento delle
riserve; opportunità di aumento delle esportazioni; accesso alle tecnologie
avanzate e al capitale umano altrimenti indisponibili in Cina; consolidamento
di legami economici e politici tra la Cina e determinati paesi.
Alcuni studi hanno cercato
di sintetizzare le linee guida seguite dalle imprese cinesi nelle operazioni di
investimento estero con i seguenti punti:
-
ricerca di
nuovi mercati per le aziende di commercio;
-
desiderio delle aziende manifatturiere di evitare
la saturazione dei mercati nazionali e gli ostacoli agli scambi con altri
paesi;
-
necessità di assicurarsi un accesso stabile e sicuro
alle materie prime, alle fonti energetiche e alle risorse naturali;
-
necessità di acquisire competenze tecnologiche e
manifatturiere avanzate;
-
esigenza di ottenere marchi riconosciuti a
livello internazionale;
-
imparare
metodi avanzati di gestione;
-
sfruttare le politiche preferenziali di
investimento all’estero;
-
ridurre i costi di produzione;
- trasferire
all’estero l’eccesso di produzione.
Tra la fine del 1988
e la metà del 1989, la Fudan University di
Shanghai effettuò un'indagine, sotto la supervisione dell’Ufficio Cooperazione
Economica Internazionale del MOFTEC, per accertare i motivi che avrebbero
dovuto spingere la Cina ad investire all'estero.
Il
questionario
proponeva 18 alternative tra cui le prime sei erano:
creare le condizioni per altre attività commerciali; aprire nuovi mercati;
acquisire informazioni di prima mano sulla produzione estera e di mercato;
promuovere le esportazioni di beni strumentali, materiali e del lavoro;
acquisire tecnologie, capitali stranieri e capacità di gestione; sfruttare le condizioni
preferenziali offerte dal governo.
L’agenda politica ed economica a dimensione
globale del governo cinese è un fattore chiave della spinta alle imprese per andare
all'estero. Con
l'espansione dei legami economici bilaterali e multilaterali, Pechino è in
grado di aumentare il proprio peso politico e di influenzare sia le aree
oggetto di accordo sia quelle limitrofe. E' evidente che l’apertura
economica della Cina all'esterno, come si può osservare nei suoi mezzi e fini,
è chiaramente in linea con la strategia di rafforzare la presenza politica a
livello globale. Infatti,
i leaders politici ed economici (di Stato e di partito) operano in
coordinamento tra loro per rafforzare i rapporti cinesi con le altre regioni e paesi.
Pertanto, si può
concludere che ci sono diversi denominatori economici comuni che ispirano l’ODI
cinese, riassumibili nella possibilità di assicurarsi l'accesso ai mercati esteri, alle risorse
naturali, alle tecnologie avanzate e alla proprietà intellettuale.
La ricerca di nuovi
mercati è l’obiettivo principale della maggior parte degli investimenti
all’estero, in linea con l'economia di esportazione stabilita in Cina sin dalla
fine del 1970. Le
imprese cinesi hanno bisogno di andare all'estero per garantirsi il costante accesso
a clienti cui vendere i loro prodotti. Nel settore manifatturiero, la
domanda interna cinese è al suo zenith e si riscontrano anche grandi eccessi di
produzione in alcuni sub-settori quali il tessile, il calzaturiero e le
elettroforniture. L'economia
cinese dipende dalle esportazioni e le industrie prosperano in funzione delle commesse
estere, come dimostrato dalla recente recessione economica globale che ha provocato
immediati contraccolpi sulle fabbriche non appena gli ordini hanno iniziato a diradarsi. La
grande dipendenza dai mercati del Nord America e dell'Europa occidentale si è
ampliata ai mercati emergenti:Africa, America Latina, Eurasia e Sud-Est
asiatico. Di
conseguenza, le società di servizi cinesi hanno stabilito canali di
esportazione in queste aree, per
sostenere più efficacemente i produttori
cinesi mediante prodotti in linea con le esigenze della clientela d'oltremare. Queste
imprese avanzate fungono dunque da recettori di indicazioni di mercato. Un
altro motivo che spinge inoltre le imprese cinesi ad espandersi all'estero e’
la possibilità di evitare tariffe e
barriere commerciali.
La disponibilità di risorse naturali procapite
in Cina è relativamente bassa e, quindi, il Paese guarda all'estero per
garantirsi un accesso costante alle risorse naturali. Dall'inizio
di going global, la ricerca di
risorse naturali è in cima alle priorità governative relative all’ODI. Il
petrolio e il gas naturale necessari per alimentare l'industria e l'economia
nazionale sono oggetto di crescente attenzione, ma anche rame, stagno,
alluminio, ferro, legname e altre materie prime vengono sempre più alla ribalta,
giacché le imprese cinesi desiderano
assicurarsi l'accesso a lungo termine alle materie impiegate nella loro
economia di esportazione.
La ricerca di assets strategici è un tema
centrale per le società cinesi che si sono recate all'estero per
acquisire un marchio, una tecnologia, un’expertise o qualcosa di materiale o concettuale
difficilmente producibile in patria o senza aiuti esterni. Le imprese cinesi del
settore aeronautico, spaziale, elettronico e ingegneristico hanno cercato di
stabilirsi all'estero per canalizzare il ritorno in patria di tecnologie
fondamentali per migliorare le capacità produttive cinesi. Idem
dicasi per le attività di ricerca e sviluppo. Nel 1988, ad esempio, la Shougang
Corporation comprò il 70% del Masta Engineering Company, un'azienda americana tra
le più note a livello internazionale per la progettazione e la costruzione di
impianti metallurgici. Grazie all’acquisizione di questa quota di maggioranza, la Shougang si trovò in
condizione di accedere, praticamente da un giorno all'altro, a tutti i piani, progetti,
brevetti e tecnologie della Masta raggiungendo in un colpo solo livelli di capacità altrimenti impossibili da ottenere
in tempi così brevi.
Un altro esempio è rappresentato
dall’acquisto di un’icona automobilistica, la svedese Volvo, che nel 2010 lo sconosciuto
Zhejiang Geely Holding Group ha rilevato per 1,8 miliardi. Il Gruppo ha così acquisito
non solo il know-how su come gestire una catena di approvvigionamento
internazionale e una rete globale di concessionari, ma anche la proprietà
intellettuale in materia di sicurezza che ha reso la Volvo leader indiscusso
del settore e che ora consente all’industria cinese di sanare una delle sue più
gravi carenze nella produzione di vetture.
Ed infatti il portavoce del Ministero
del Commercio ha esplicitamente detto che l'accordo con la Volvo offre quelle
capacità tecnologiche che l’industria automobilistica cinese ha vanamente
agognato per lungo tempo.
Un elemento chiave che ancora manca alla
crescente capacità economica cinese è l’affermazione ed il riconoscimento di un
nome a livello internazionale. Con l'acquisto di marchi stranieri
affermati come IBM o Maytag, le aziende cinesi sono in grado di acquisire in 24
ore la notorietà internazionale di una marca e la proprietà intellettuale di imprese
estere che consentono un salto tecnologico per l'acquirente cinese.
In sintesi, le imprese stanno cercando di
rafforzare il loro loro accesso alle risorse naturali necessarie per continuare
ad alimentare la rapida crescita economica della Cina. L’acquisizione di gas e
petrolio esteri è in cima alle priorita’ governative e quindi le aziende statali
come Petrol Cina, Sinopec e CNOOC si stanno rapidamente espandendo oltremare in
cerca di assets che possano sostenere la crescita economica nazionale. Infine,
occorre anche considerare che l'ingresso di Pechino nel WTO ha sì aperto il
mercato cinese alle aziende straniere e ha creato una maggiore concorrenza interna,
ma ha anche spianato la strada per l'estero ai cinesi, che stanno costruendo le
proprie capacità per competere in modo più efficace e redditizio sia in patria sia
all’estero.
Capitolo 4 - I settori dell'ODI cinese e i relativi Attori
I dati 2009 indicano che, nell’ultimo decennio,
il valore delle acquisizioni cinesi all'estero (fusioni e acquisizioni
internazionali) ha toccato i 187 miliardi di dollari, proiettando il paese al 3°
posto nella classifica mondiale degli investitori, dopo USA e Francia. E’
un incremento notevole rispetto al 12
° posto del 2000.
Il
52% dell’ODI cinese è concentrato nella regione Asia-Pacifico, ma la Cina risulta
anche il 2° investitore in Australia e Canada, nonché 1° al mondo nel settore
energetico e 2° nelle materie prime.
Secondo il MOFCOM, all’estero sono presenti
circa 14,400 aziende cinesi, in gran parte a partecipazione statale e focalizzate sul settore energetico e delle
risorse naturali sin dall’avvio della campagna
going global.
Le risorse naturali hanno un ruolo centrale
nell’ODI cinese. Pechino
già soffre di una grave carenza per molte di esse e non è affatto disposta a
basare la sua crescita economica sulla capacità dei mercati di garantire la
regolarità di flusso delle risorse di cui ha bisogno, poiché teme che l'offerta
non sia in grado di tenere il passo con la sua crescente domanda e che la
concorrenza mondiale per accaparrarsi risorse sempre più limitate possa soltanto
ulteriormente aggravare la situazione. Negli anni ‘90, il governo cinese
iniziò a spingere le imprese petrolifere statali ad effettuare significativi
investimenti oltremare in risorse petrolifere e gas, nonché nelle reti di trasporto
necessarie per l’approvvigionamento cinese.
La Cina ha iniziato a importare petrolio nel
1993, con un 6% del fabbisogno poi salito al 42% nel 2005, al 49% nel 2008 e al
50% nel 2009 (tab. 2).
La previsione di dipendenza dall’estero indica il
70% nel 2020.
Nel 2007, la Cina annunciò che le compagnie
petrolifere nazionali avrebbero investito in nove paesi: Ecuador, Kuwait,
Libia, Marocco, Niger, Norvegia, Oman, Qatar, e Bolivia.
Gli investimenti iniziali furono
devoluti a progetti poco rischiosi di riabilitazione e sviluppo dei giacimenti.
Poi le attività sono state ampliate
. La Sinopec
si è concentrata sulla raffinazione; la CNPC e la CNOOC si sono dedicate all’esplorazione
e alla produzione (tab. 3).
Fonte: BP
Statistical Review of World Energy, dati storici - www.bp.com.
Tabella 3:
Paesi in cui le imprese cinesi operano una o più concessioni
|
Paesi
|
CNPC
|
Algeria,
Azerbaijan, Ciad, Ecuador, Guinea Equatoriale, Indonesia, Irak, Kazakistan, Mauritania,
Niger, Nigeria, Perù, Sudan, Siria, Thailandia, Turkmenistan, Venezuela
|
CNOOC
|
Guinea
Equatoriale, Indonesia, Kenya, Birmania, Filippine
|
Sinopec
|
Australia,
Arabia Saudita, Ecuador
|
Sinochem
|
Emirati Arabi Uniti
|
Fonti: Siti web delle Società e
US Energy Information Administration
Il 2009 ha visto un
livello particolarmente elevato di attività nel settore petrolifero. La SINOPEC
ha comprato la svizzera Addax Petroleum per 7,56 miliardi di dollari.
A
marzo, la CNPC ha acquistato per 390 milioni la canadese Verenex Energy, proprietaria
al 50% di un importante giacimento libico.
Un mese prima, la China
Development Bank e la China Petroleum and Oil Company hanno investito 10 miliardi
nella brasiliana Petrobras,
operatrice
di uno dei più grandi giacimenti di petrolio sottomarini al mondo, scoperto di recente.
Solo due giorni prima dell'affare Petrobras, la Cina ha prestato 15 miliardi alla
Rosneft e 10 miliardi alla Transneft, le principali ditte russe nel settore
degli oleodotti.
Questi contratti
prevedono che i prestiti vengano restituiti non in contanti, ma sottoforma di
greggio a prezzi di gran lunga inferiori
rispetto a quelli di mercato.
In termini di risorse
minerarie, la Cina possiede solo il 58% della media mondiale di ciò che è
necessario per soddisfare le sue esigenze.
La grande crescita e lo sviluppo negli ultimi trent’anni sono illustrati dalla
percentuale di consumo delle risorse globali.
Poiché la Cina fabbrica molti dei
beni di consumo mondiali, essa si affida alle materie prime per alimentare la
crescita delle industrie esportatrici.
Diverse fonti citano la necessità
cinese di materie prime. Un articolo opportunamente intitolato
La Cina mangia il mondo sottolineava
molto bene questo fenomeno storico e affermava che la quota cinese nel consumo
mondiale di alluminio, rame, minerali ferrosi e nichel era raddoppiata dal 7%
del 1990 al 15% del 2000, sino a raggiungere il 20% nel 2004.
Un altro rapporto del 2005 riportava i
seguenti consumi: cemento: 47%; cotone: 37%; riso: 32%; carbone: 30%: acciaio
grezzo: 26%: alluminio:21%: rame:20%; grano:16%; petrolio:8%.
Un terzo rapporto affermava che il consumo
di rame era passato dal 10% del ‘97 al 23% del 2007, con un tasso di incremento
annuo della domanda pari al 12,5%per la Cina, mentre il resto del mondo si
ferma all’1,5%.
Negli ultimi anni, i
funzionari cinesi hanno visto la crisi finanziaria globale come un'opportunità per
acquisire partecipazioni nelle forniture
internazionali di risorse naturali strategiche (tab. 4).
La
leadership di Pechino si rende perfettamente conto che in futuro il paese avrà
bisogno di tali risorse e quindi sta orientando gli investimenti in questi
settori, per sfruttare il momento di riduzione dei prezzi. E’ eloquente
in proposito l’attenzione che la Cina ha
riservato negli ultimi due anni all’Australia, sottolineata dagli sforzi compiuti
dall’Alluminum Corporation of China (Chinalco), dalla China Minmetals e dallo
Hunan Valin Iron and Steel Group of China per acquisire, rispettivamente,
rilevanti partecipazioni nelle australiane Rio Tinto, Oz Metals e Fortescue
Metals Group.
Nonostante le
grandi riserve cinesi di carbone, la Yanzhou Coal Mining Company ha acquistato per
2,9 miliardi la miniera di carbone operata dall’australiana Felix Resources
Limited,
Tabella 4:
Profilo delle società minerarie cinesi operanti all'estero
|
|
|
Aluminum Corporation of China (Chinalco)
|
Bauxite e alluminio
|
SOE
|
Baosteel Group Corporation
|
Ferro e acciaio
|
SOE
|
Nanchuan / Bosai
|
Bauxite
|
Privata
|
China Machinery and Electrical Equipment Export and Import Company
(CMEC)
|
Progettazione, costruzione, centrali
elettriche, energia, estrazione mineraria
|
SOE
|
China Metallurgical Group Corporation
(MCC)
|
Progettazione, costruzione, estrazione
mineraria
|
SOE
|
China Minmetals Corporation
|
Estrazione e commercializzazione metallifera
|
SOE
|
China National Geological and Mining Corp (CGM)
|
Produzione e commercializzazione metallifera
|
SOE
|
China Non-Ferrous Metals Mining Group (CNMC)
|
Progettazione, costruzione, estrazione
mineraria
|
SOE
|
Jinchuan
|
Nichel e platino
|
SOE
|
Luanhe Industrial Group
|
Acciaio e minerario
|
Privata
|
Shenhua Group Corporation
|
Carbone e produzione di energia
|
SOE
|
Shougang Group
|
Ferro e acciaio
|
SOE
|
Sinosteel
|
Acciaio e minerario
|
|
Tonghua Iron and Steel
|
Ferro e acciaio
|
SOE
|
Wuhan Iron and Steel
|
Ferro e acciaio
|
SOE
|
Yankuang
|
Carbone
|
SOE
|
Si può affermare che le
acquisizioni cinesi nei settori del petrolio e di altre risorse naturali sono
state guidate da Pechino per diversi motivi.
In primo luogo, il governo cinese
ha chiaramente individuato il bisogno, se non addirittura la dipendenza da
risorse naturali indisponibili in patria in
quantità adeguate, tant’è vero che questa dipendenza è aumentata negli ultimi
anni.
Una
relazione complementare riporta che la dipendenza della Cina dall’importazione
di petrolio è cresciuta dal 31% del 2000 al 41% nel 2010 e dovrebbe raggiungere
il 58% entro il 2020.
La percentuale di dipendenza dall’importazione di
rame è cresciuta dal 48% del 2000 al 72% del 2010 e dovrebbe attestarsi all’82%
nel 2020.
La
necessità di importare zinco è passata dallo 0% del 2000 al 53% del 2010 e
dovrebbe collocarsi al 69% nel 2020.
Queste risorse sono necessarie per
sostenere la crescita economica complessiva.
Le imprese cinesi hanno
concentrato gli sforzi anche sulle acquisizioni di aziende ad alta tecnologia
all'estero che, come visto in precedenza, costituiscono tema fondamentale della
strategia going global, mentre altri imperativi
sono da ricercare nell’affermazione del marchio, nel capitale umano e nella possibilità di compiere
balzi in avanti nella catena del valore. Il caso più evidente che
incorpora tutte le motivazioni appena elencate, è rappresentato dalla Lenovo
che, tra il 2004 e il 2005, ha acquistato, al prezzo di 1,75 miliardi di
dollari, la Divisione Personal Computer dell’IBM, ivi compresi la produzione,
la ricerca e lo sviluppo. La Legend, come si chiamava la
società prima di essere ribattezzata Lenovo, aveva raggiunto il suo picco nel
2002, toccando il 30% della quota di mercato cinese relativo ai PC. L'acquisizione
dell’IBM è stata poi in parte dettata dalla constatazione che la compagnia
cinese stava progressivamente perdendo quote di mercato interno a causa dell’arrivo
in Cina di nuovi attori quali le società
americane Dell e Hewlett-Packard.
L'accordo ha
immediatamente fornito alla Lenovo le tecnologie e le capacità supplementari
necessarie per trasformarsi in un attore globale nell’industria dei PC.
Ciò
ha comportato l'acquisizione di talenti gestionali di livello internazionale,
un marchio di valore, l'accesso a canali e clienti globali, nonché un
consolidato sistema di gestione e una presenza operativa a livelli planetari.
L'accordo prevedeva lo sfruttamento quinquennale della licenza del marchio,
l'acquisizione di marchi riconosciuti a livello mondiale come il ThinkPad,
un’alleanza strategica con la quale la IBM vende prodotti Lenovo ad aziende nel
mondo e un accordo per la fornitura di servizi di supporto IBM alla Lenovo a
livello mondiale.
Il
presidente della Lenovo, Yang Yuanging, ha annunciato che l'acquisizione ha
permesso all'azienda di accelerare i suoi piani di espansione globale di 10 o 20
anni, mentre la crescita organica sarebbe costata più di 2 miliardi di dollari.
Anche il fattore tempo
ha svolto un ruolo significativo nell’ODI cinese.
La
recente recessione globale ha fornito alla maggior parte degli investitori
cinesi l'opportunità di investire in risorse per il futuro, bloccando i prezzi
ai valori attuali e talvolta anche a soglie più competitive.
Ad
esempio, l’accordo precedentemente citato con le russe Rosneft e Transneft ha
permesso alla Cina di bloccare per 20 anni i prezzi del petrolio a circa 20
dollari al barile, ovvero ad un valore
di gran lunga inferiore rispetto ai tassi
prevalenti.
Ampie prove si riscontrano anche tra quelle
imprese americane ed europee che hanno vissuto gravi difficoltà finanziarie e si
sono trovate a dipendere da iniezioni di capitale governativo per garantirsi la
sopravvivenza commerciale.
Anche queste imprese sono
diventate oggetto di investimenti cinesi che stanno sfruttando la possibilità
di “pesca in profondità".
Il 3 dicembre 2009 la Xian Aircraft Industry
Group
(XAC) ha acquistato la quota di
controllo della società austriaca di componenti aerei Fischer Advanced
Composite Components (FACC).
Dopo un aumento di capitale da 40
a 80 milioni di euro, la XAC detiene il 95,625% di tutte le azioni FACC,
una società sottoposta ad un
notevole stress finanziario che non sarebbe mai stata in grado di sostenersi
senza un’assistenza esterna.
Di conseguenza, a
fronte di una diminuzione del 20% dell’ODI mondiale verificatasi nel 2008 , nello
stesso periodo l’ODI cinese e’ giunto addirittura a raddoppiarsi.