Asia

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Metodo di ricerca ed analisi adottato

Per il medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

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giovedì 31 marzo 2016

Hon Kong: un futuro da interpretare

Asia
Longa manus di Pechino su Hong Kong
Elisabetta Esposito Martino
25/03/2016
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Spesse e grigie nubi coprono il cielo di Hong Kong: siamo nel 2025, in una città stretta nella morsa di Pechino, dove non si sentono più risuonare gli otto toni del cantonese, tra storie tragiche ed inquietanti.

Questo è lo scenario di TenYears, una pellicola prodotta con un ridottissimo budget, che ha ricevuto la nomination al 35°Hong Kong Film Awards, ed ha già incassato 6 milioni di HK$.

Questo successo, inaspettato, ha però suscitato in Cina acerrime critiche: il Global Times ha stroncato i cinque racconti, definendoli assurdi e pessimistici, un “virus della mente”. Di conseguenza il film non sarà proiettato nel continente, né sarà trasmessa la premiazione, anche se rappresenta uno degli eventi cinematografici più importanti di tutta l’Asia; stessa sorte spetterà al Taipei Golden Horse Film Awards che si svolgerà alla fine dell’anno a Formosa.

I librai desaparecidos
Questo cinema indipendente, veicolo di critica sociale e politica, viene collegato agli scontri di Mong Kok, durante i festeggiamenti per il nuovo anno della scimmia, sfociati nella La Rivoluzione delle polpette, ultimo epigono della Rivoluzione degli Ombrelli che, dal settembre al dicembre 2014, ha veicolato molto vivacemente la richiesta di compiuta democrazia e il rispetto dei diritti fondamentali, ancor più in bilico dopo la sparizione e la successiva ricomparsa di cinque librai, che pubblicavano testi non graditi al governo centrale.

La TV satellitare Phoenix ha mandato in onda un’intervista ad alcuni di loro, annunciando che Gui Minhai sta scontando nel continente crimini pregressi (ammessi) mentre gli altri sarebbero liberi. Lee Bo, in Cina per contribuire ad un’inchiesta, avrebbe ammesso alcuni reati e rinunciato, probabilmente sotto pressione, alla cittadinanza del Regno Unito: forse un escamotage a fronte delle azioni, paventate dalla Corona Britannica, di agire contro la palese violazione del diritto internazionale. Dopo l’intervista è ricomparso nell’isola anche Cheung Chi-ping, che non ha lesinato dichiarazioni rassicuranti sulla vicenda.

L’autonomia garantita ad Hong Kong
La longa manus di Pechino sta violando lo status di Hong Kong, enclave in cui è garantito l’habeas corpus, presidio della libertà individuale contro ogni forma di arbitrio, garantito dallo speciale regime vigente dal 1° luglio 1997?

La tutela dell’ex colonia discende dalla Costituzione del 1982, che aveva previsto l’istituzione delle SARs (Special Administrative Regions) per predisporre il futuro inglobamento di Hong Kong e Macao, vagheggiando il grande ritorno, quello di Taiwan.

Da allora è sempre stato rispettato il principio “un paese due sistemi”, in base al quale in un unico Stato, la RPC, coabitano due sistemi politico-istituzionali: quello socialista e quello capitalista. La formula permette ai residenti di quelle aree di godere di una certa rappresentanza democratica, di un sistema giudiziario indipendente e di un’organizzazione multipartitica, atta a garantire una lenta transizione dell'ordinamento economico e giuridico che si compirà definitivamente nel 2047.

La parabola di Hong Kong
Nel rispetto delle peculiarità riconosciute ad Hong Kong, il Comitato permanente della XII Apn, nel 2014, aveva modificato il sistema elettorale, abrogando il precedente, che prevedeva sia un sistema proporzionale, a suffragio universale diretto, in circoscrizioni delimitate geograficamente (GeographicalConstituencies) sia una rappresentanza di categorie professionali (FunctionalConstituencies).

Il nuovo procedimento contemplava il suffragio universale, delimitando però l’elettorato passivo ai soli candidati (due o tre) selezionati da un Comitato di Designazione. Tali modifiche non hanno ottenuto, nel 2015, l’approvazione del Consiglio Legislativo, con un voto che ha sorpreso Pechino e il mondo, ma che le elezioni locali dello scorso novembre, per certi versi, hanno vanificato.

Utopie e distopie
A questo punto il Life Style dei sette milioni di abitanti di Hong Kong pare vacillare. Fino a pochi mesi fa, il governo cinese aveva evitato eccessive intromissioni, consentendo il godimento delle libertà costituzionali e persino le veglie commemorative dei fatti di piazza Tian’anmen.

Negli ultimi tempi, invece, forme di controllo sempre più stringenti stanno tracimando dai limiti del continente, attraverso un articolato sistema che coinvolge cultura, media, editoria, istruzione, come profetizzato in TenYears. Si allungano così precocemente le ombre del tramonto dell’autonomia di Hong Kong?

Intanto a Pechino le due Assemblee, Liǎnghuì两会, (il Parlamento e la Conferenza consultiva politica del popolo cinese) hanno discusso i target del 13° Piano quinquennale, già delineati dal CC del Pcc, basati su un’economia dell’offerta (per nuovi orizzonti di Reaganomics?), innovazione, lotta alla povertà, apertura, Internet Plus Plan, per raggiungere una crescita tra il 6, 5 ed il 7%, che non può prescindere dall’hub di Hong Kong.

Le periferie dell’ortodossia
Se la Rpc intende rivestire pienamente lo status di active participant allo sviluppo globale, in un mondo multilaterale, deve far attenzione alle periferie dell’ortodossia, Hong Kong e Taiwan, dove, dall’interazione tra il rispetto della sovranità e quello della libertà, può nascere un modello alternativo, retaggio dei cinquemila anni di cultura cinese declinati con i diritti umani affermati dall’Illuminismo.

Il coraggio di affrontare gli epigoni della rivoluzione colorata di giallo nel laboratorio di Hong Kong, melting pot di popoli e civiltà, di common law civil lawWestern-style democracy e socialismo con caratteristiche cinesi, misurerà la credibilità internazionale della leadership del Paese di Mezzo e, tra nuovi percorsi e millenarie tradizioni, svelerà se e in che misura la Cina tutta possa aspirare alla leadership del mondo globalizzato.

Elisabetta Esposito Martino è sinologa e costituzionalista. Responsabile Ufficio Affari generali dell'INdAM. Componente del Redress Committee del Progetto INdAM Cofund -VII Programma Quadro dell'Unione Europea.
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giovedì 24 marzo 2016

Myanmar: sulla via della democratizzazione

Myanmar
L’ex autista di Aung San Suu Kyi è presidente
Francesco Valacchi
20/03/2016
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La guida del primo governo democraticamente eletto dal 1962 in Myanmar sarà il braccio destro del Premio Nobel per la pace. Lo schivo e discreto economista Htin Kyaw che ha da sempre affiancato la leader della Lega Nazionale Democratica al punto da essere suo autista in occasione di numerosi spostamenti per la riorganizzazione del partito è stato eletto Presidente il 16 marzo.

La figlia del generale Aung San non poteva essere eletta Presidente a causa di una legge ad personam che impedisce di ricoprire tale incarico a chi sposa un cittadino straniero ed ha quindi promosso la candidatura di Htin Kyaw. La sua influenza sulle politiche governative del neo-eletto Presidente sarà quindi particolarmente forte come annunciato apertamente a seguito della vittoria alle elezioni di novembre.

Il peso della figura della campionessa di democrazia
Aung San Suu Kyi è stata determinante anche in questo inizio del complesso processo di democratizzazione del paese. Il Premio Nobel per la pace, nonostante l’ormai pluridecennale impegno nella lotta per i diritti umani e la democratizzazione del suo paese, per il quale ha pagato un altissimo prezzo sul piano personale, non ha certo perso lo smalto e le capacità del leader democratico.

Da novembre sino ad oggi la rappresentante della Lega Nazionale Democratica (Lnd) si è fatta carico di incontrare rappresentanze interne (come ad esempio l’incontro con le fazioni etniche tenuto assieme ai rappresentanti del governo uscente) per gestire al meglio il processo di avvicendamento delle istituzioni e attori internazionali (ad esempio l’incontro con Mr. Kurt Campbell, assistente del Segretario di Stato americano per l’Asia Orientale, successivo all’incontro col Segretario di Stato stesso).

Ma l’ormai enorme popolarità del personaggio, dimostrata appunto anche dalle attività nell’ambito internazionale e la figura di rilievo che è arrivata ad assumere in questi ultimi anni avrebbero avuto un peso forse eccessivo per poter coesistere con l’incarico istituzionale di capo del Governo in una fase tanto importante e delicata a prescindere dagli impedimenti legislativi.

Nell’attesa dell’insediamento delle nuove istituzioni Aung San Suu Kyi si era comunque impegnata a fondo anche nel ristrutturare la Lnd e a prepararne la dirigenza per affrontare i compiti prossimi venturi con a fianco il fedelissimo Htin Kyaw.

Democratizzazione: un processo in tre punti
Il nuovo governo avrà tre aspetti principali dei quali occuparsi: sviluppo economico, politica internazionale e integrazione etnica. Per quanto concerne lo sviluppo della propria economia Rangoon parte già da un buona base di Investimenti diretti esteri (Ide) dovuti allo sfruttamento delle ingenti risorse naturali e da un’ottima posizione strategica per il turismo internazionale (proveniente sia dall’Asia Orientale che dall’Europa).

La Cina rimane il primo investitore, insistendo con il 42% degli Ide, per un ammontare di circa 14 miliardi di dollari investiti attualmente su un totale di 33,67 (dati 2015).

Sarà importante per i futuri governanti mantenere l’attrattiva per la Cina che era tradizionalmente legata al regime militare, consolidando l’economia con riforme liberali, ma allo stesso tempo divenire appetibile anche per investitori europei (non legandosi quindi a doppio filo all’economia di Pechino).

E l’attrattiva per l’Europa, oltre alla novità del mercato potrebbe essere l’incentivo alla stabilizzazione di un’area chiave per la sicurezza dell’Oceano Indiano e il controllo delle rotte dei migranti.

Le riforme chiaramente devono evitare un eccessivo accentramento delle risorse economiche, nel momento dell’apertura al mercato e delle inevitabili ulteriori privatizzazioni, aggirando la pericolosa formazione di oligarchie.

Per quanto riguarda il turismo in particolare si dovrà evitare che un'esplosione incontrollata del settore crei flussi economici ingestibili o eccessivamente frammentari (ci sono alcune etnie, come ad esempio la Karen che hanno già sviluppato propri uffici turistici indipendenti). La svolta democratica porterà a una nuova articolazione dei rapporti internazionali.

Tra la Cina e l’India, Myanmar ripensa la sua politica estera
Myanmar è geopoliticamente in una posizione importantissima, trovandosi all’ingresso dello stretto di Malacca, è quindi fondamentale sia per l’India che per la Cina mantenere strette relazioni con Rangoon.

La politica estera di Myanmar è tradizionalmente vicina alla Repubblica Popolare Cinese. Tuttavia, a partire dalla seconda metà degli anni Duemila, si è assistito a un parziale raffreddamento dei rapporti con la Cina.

Allo stesso tempo, mentre la politica cinese di lotta all’estremismo del Presidente Hu causava il peggioramento delle relazioni con Rangoon, l’India si avvicinava a Myanmar paradossalmente proprio in virtù di accordi strategici per reprimere l’estremismo dei gruppi di etnia Chin (presenti sul confine indiano).

L’India ha da in passato appoggiato i movimenti democratici birmani causando alcuni screzi con il governo militare. L’assunzione del potere da parte di un governo democratico potrebbe porre quindi il dilemma di dover scegliere se spostare il proprio asse verso la Repubblica dell’India, rimanere sulle posizioni tradizionali di amicizia con Pechino o continuare a oscillare fra le simpatie dei due giganti dell’Area Pacifico.

A fianco di India e Cina si è assistito poi alla conferma dell’interesse statunitense per il paese e di quello inglese, come ribadito dalla visita - a gennaio - del Capo di Stato Maggiore della Difesa britannico.

Dai cinesi Han agli indiani: 135 gruppi etnici
Per quanto concerne la problematica etnica, ci si troverà a dover gestire la democratizzazione di un territorio che vede la presenza di ben 135 gruppi etnici riconosciuti, raggruppati in otto macro-gruppi, oltre ad alcune altre minoranze (tra cui Cinesi Han e Indiani che insieme formano il 3% della popolazione).

Nonostante la Birmania nella sua storia sia riuscita e gestire abbastanza bene le instabilità etniche grazie a forti meccanismi di integrazione: arrivando a coinvolgere le etnie nella redazione della Costituzione del paese, si sono avuti a varie riprese scontri di larga portata (come nel 1987).

La sfida del nuovo governo sarà quella di trattare univocamente con i vari gruppi etnici e trovare un accordo che soddisfi tutte le istanze, piuttosto che cercare di sfruttare il principio di “dividere per comandare” come avvenuto col governo militare.

Francesco Valacchi si è laureato in Scienze Strategiche nel 2004 presso l’ateneo di Torino ed in Studi Internazionali presso quello di Pisa nel 2013. È appassionato di geopolitica e strategia; è ufficiale in servizio permanente effettivo nell’esercito italiano.
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lunedì 14 marzo 2016

Afganistan: l'interesse di Mosca. Cambiamenti all'orizzonte

Afghanistan 
Mosca, i talebani e il timore dei foreign fighters
Giovanna De Maio
05/03/2016
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Fino a pochi anni fa l’Afghanistan era un terreno dove gli interessi delle grandi potenze sembravano convergere, soprattutto in termini di stabilità politica, lotta al terrorismo e al narcotraffico.

Tuttavia, ora che la comunità internazionale è in stallo e cresce il pericolo dei foreign fighters affiliati al sedicente “stato islamico”, Isis, in Asia centrale, la Russia mette in pratica il pensiero laterale.

Alla fine del 2015, un funzionario anonimo del Cremlino ha rivelato che Mosca avrebbe stabilito contatti con i Talebani, fino a poco tempo prima temuti al pari dei terroristi del Caucaso, in un originale do ut des. “Il fine giustifica i mezzi” - sembra dire Mosca.

Talebani ancora attivi in Afghanistani
In Afghanistan è in corso la difficile transizione dopo 14 anni di guerra trapuntata da elezioni presidenziali controverse e dal lento consolidamento di un esercito che fatica a prendere il posto della Nato, il cui ritiro era previsto per la fine del 2014.

Solo qualche mese fa, i talebani hanno preso il controllo della città di Kunduz nel nord dell’Afghanistan. Tuttavia, già da qualche tempo stavano recuperando terreno nella regione grazie anche all’aiuto dei militanti dell’Asia centrale affiliati con il Movimento islamico dell’Uzbekistan (MIU), di matrice sunnita.

La sinergia tra questi due gruppi ha portato a un consolidamento delle posizioni talebane tra le comunità uzbeke, turkmene e tagiche e alla presa di tutte e otto le città del nord-ovest dell’Afghanistan.

In cambio i talebani hanno aiutato il MIU a installare piattaforme di reclutamento dei militanti e a lanciare attacchi in cinque delle ex-Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale a prevalenza musulmana.

Tuttavia, questo idillio non è durato molto e di recente i talebani hanno preso le distanze dai colleghi centro-asiatici a causa dell’emergere tra essi di gruppi che hanno giurato fedeltà al sedicente “stato islamico”.

Riprendendo uno dei fondamentali della logica realista che contraddistingue la politica russa, il nemico del mio nemico è mio amico, ecco che la Russia ha colto al volo questa opportunità.

I foreign fighters nell’Asia centrale che spaventano la Russia
Perfettamente in linea con i recenti sviluppi in politica estera, la Russia ha saputo destreggiarsi abilmente negli spazi lasciati vuoti dalle indecisioni e dai tentennamenti dell’Occidente.

Subito dopo aver annunciato l’intervento russo in Siria, il presidente russo Vladimir Putin si era espresso sulle precarie condizioni della sicurezza in Afghanistan facendo leva in entrambi i casi sul pericolo rappresentato dai foreign fighters nell’Asia Centrale.

Il Tagikistan, l’Uzbekistan e il Turkmenistan sono per Mosca il cortile di casa e non c’è da stupirsi che la Russia si senta in pericolo.

Sin dalla guerra in Cecenia, i russi hanno sempre ribadito l’impossibilità di distinguere tra terroristi buoni e terroristi cattivi (i Talebani figurano nella lista russa delle organizzazioni terroristiche). Alla luce di ciò, questa collaborazione a livello di intelligence sembrerebbe del tutto contraddittoria, o quantomeno un altro colpo di teatro.

Certo la preoccupazione per la crescente penetrazione dell’Isis in Afghanistan non è una novità in Russia, come si evince dai ripetuti allarmi lanciati dal Ministro della difesa Sergej Shoigu.

Se i Talebani hanno negato, dal governo russo non è arrivata nessuna smentita. Il nocciolo della questione sarebbe un originale do ut des dove Mosca fa leva sul timore dei Talebani nei confronti dell’instaurazione di un grande Califfato che inglobi il territorio afghano.

In cambio di informazioni sui miliziani dell’Isis, Mosca promette un atteggiamento più flessibile riguardo all’alleggerimento delle sanzioni Onu contro i Talebani.

Rivalsa di Mosca
Sono in molti a pensare che dietro questo movente ci sia una sostanziale volontà di rivalsa nei confronti del mondo occidentale, di sfidare la NATO e indebolire gli Stati Uniti dove si trovano in una condizione di vulnerabilità.

Sembrerebbe una riproposizione alla rovescia di quanto accaduto durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel ’79, in cui gli Usa appoggiarono la ribellione contro l’allora presidente afghano filo-comunista. Nel caso della Russia questa componente non può essere scartata a priori.

Tuttavia, in queste circostanze è opportuno operare un altro tipo di riflessione che concerne Mosca e il ruolo che intende giocare sul piano internazionale. Si sente spesso ripetere che la Russia vuole essere considerata un partner alla pari nelle relazioni internazionali, ma ancora più di frequente non si comprende la sostanza.

Per Mosca questa uguaglianza non si riferisce a una rappresentanza nelle organizzazioni internazionali o a un collegamento con Unione europea o Nato, ma piuttosto all’avere voce in capitolo nel dettare gli equilibri geopolitici mondiali.

Dire che la Russia stia aizzando i talebani contro il governo afghano sarebbe forse un po’ azzardato, ma la rivalsa russa potrebbe avere un valore molto più simbolico e dimostrativo: mostrare agli occhi di tutti il fallimento delle iniziative di democratizzazione occidentale, capaci di apportare solo violenza e instabilità.

Giovanna De Maio è dottoranda di ricerca presso l'Università degli Studi di Napoli L'Orientale; è stata stagista per la comunicazione presso lo IAI.
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AZERBAIJAN. Appunti di un incontro


Federico Salvati


appunti che o preso durante un colloquio 
con NIjat mammadli 
capo dell'agenzia per la convivenza pacifica delle religioni.

secondo Nijat l'azerbaijan è una nazione democratica e laica. la società azera è una società d'ispirazione sciita ed è orgogliiosa delle sue radici. l'Azerbaijan è la prima nazione sciita che si è organizzata secondo un sistema laico e burocratico moderno. persino l'arabia saudita nonostante avesse raggiunto l'indipendenza prima aveva ancora un'impostazione tribalistica durante gli anni 20 del 900. la legge per la libertà religiosa è stata varata nel 1992 e da allora è stata modificata vaire volte per migliorare e raffinare 

il carattere laico dello statoe la protezione delle minoranze(???). nel 2001   haydar haliyev istituì il comitato per gli affari e le organizzazioni religiose che prmuove e si occupa della convivenza pacifica tra le varie fedi. circa l'85% della popolazione azera è sciita ma a fianco di questa grande maggioranza ci sono anche cristiani (di varie confessioni) ebrei, zoroastristi e musulmani sunniti. il presidente Nijat ci ha tenuto a sottolineare come viene concessa libertà di culto anche ad una piccola comunità armena che detiene l'autonomia della sua chiesa e non riceve pressioni e ritorsioni dallo stato. nonostante ciò comunque attenzione particolare viene dedicata alla religione sciita che comunque rimane la base dell'identità della nazione. particolarmente rilevante risulta il trattamento e la formazione degli Immamh all'interno dell'azerbaijan. mentre le comunità religiose hanno la facoltà di sottomettersi a istituzioni che si trovano al di la dei confini della nazione, gli Immamh azeri devono aver studiato l'islam in azerbaijan altrimenti non possono esercitare regolarmente. la norma ci è stato spiegato è stata inserita nella legislazione sulla religione per garantire il carattere supremo della laicità dello stato. in questo modo si scoraggiano le influenze di dottrine estere (in primis l'iran) che cercano di influenzare le politiche statali. tutte le confessioni comunque secondo costituzione mantengono la stessa dignità davanti alla legge. per quanto riguarda il conflitto del nagorno il patriarca armeno e quello russo con il shiekh ul islam pashazade hanno firmato una dichiarazione congiunta per una risoluzione pacifica del conflitto. il Nagorno comunque non è accentrato il tema religioso, in maniera trasversale attraversa i gruppi al livello trasversale più al livello etnico che religioso
un saluto alla cattedra di geopolitica