Il
16 ottobre 1964 alle ore 15 di Pechino, esplodeva a Baotou la prima atomica
cinese. L' ingresso del gigante comunista nel club delle potenze nucleari
cambiava l' equilibrio del terrore nella guerra fredda; era soprattutto l'
inizio di una rinascita scientifica della Cina che oggi prosegue con la
"lunga marcia" verso lo spazio e il boom dell' industria tecnologica.
Questa nuova realtà segnò, inoltre, una rottura con anni di dottrina maoista. Ricordiamo
che era stato infatti il leader cinese Mao Zedong a coniare la celebre frase:
«La bomba atomica è una tigre di carta», seguita dall' affermazione che «sono i
popoli, non le armi, a decidere l' esito delle guerre”. Pechino sanciva così un
rovesciamento di strategia: «Il test atomico è una grande conquista del popolo
cinese nella sua lotta per la difesa nazionale contro le minacce nucleari dell'
imperialismo americano”.
Inizialmente,
il programma nucleare cinese, nato all' inizio degli anni 50, fu avviato in
collaborazione con l'ex Unione Sovietica,
quando l' intesa con l' Urss di Stalin sembrava perfetta e i due Paesi
formavano un fronte compatto contro l' Occidente. Nel 1951 Pechino aveva
firmato un accordo segreto con Mosca nel quale i cinesi si impegnavano a
fornire uranio in cambio dell' assistenza sovietica nella ricerca nucleare. Nel
1953, alla vigilia della guerra di Corea, i trasferimenti di tecnologia russa
si erano intensificati, con la promessa che l' Urss avrebbe addirittura
regalato al grande alleato asiatico un «prototipo» di bomba-A. Di fatto l'
aiuto sovietico fu decisivo per costruire il primo impianto per l'
arricchimento dell' uranio, ma l'acuirsi della crisi tra i due Paesi costrinse
il governo di Pechino a procedere in maniera autonoma a partire dai primi anni
Sessanta. La rottura arrivò il 20 giugno 1959 quando Mosca annunciò la
sospensione di ogni assistenza alla ricerca nucleare cinese. A seguito dell'
avvio del processo di “destalinizzazione”
di Nikita Krusciov cominciavano a maturare i sospetti di «revisionismo»
verso la nuova leadership di Mosca, era l' avvio di un' evoluzione che avrebbe
portato la Cina a sfidare l' egemonia ideologica del comunismo sovietico e presentarsi come la potenza-guida per tutti i Paesi
del Terzo mondo. Proprio al termine degli anni 50, alla fine
del primo piano quinquennale (1953-1957), Mao Zedong avviò la Cina
verso un gigantesco sforzo di produzione collettivo, detto il "Grande
Balzo in Avanti"; il programma era volto a trasformare l'intera economia
del paese distogliendo uomini e risorse dall' agricoltura per la costruzione di
mini-altiforni siderurgici in tutte le campagne in risposta al modello
sovietico di industrializzazione pesante. Il risultato non fu quello sperato e
vi furono ripetute carestie con decine di milioni di morti ma la miseria di
massa e la partenza dei tecnici russi non impedirono alla Cina di costruirsi l'
atomica proprio in quegli anni, bruciando le tappe e smentendo lo scetticismo
di Mosca. Un merito particolare lo ebbero due scienziati di livello mondiale, i
«due Qian». Qian Sanqiang era l' Oppenheimer cinese; grande fisico, aveva
studiato a Parigi per undici anni con i coniugi Joliot-Curie e poi rientrato in
Cina nel 1948 alla vigilia della rivoluzione comunista. L' altro
personaggio-chiave nell' emancipazione scientifica di Pechino fu Qian Xuesen,
il Werner Von Braun cinese per il suo ruolo nella ricerca sui missili di lunga
gittata. Formato negli Stati Uniti, era rientrato in patria nel 1955 per
fuggire dal clima di caccia alle streghe anticomunista che negli anni del
maccartismo prendeva di mira anche i cinesi residenti negli Usa, sospettati di
essere agenti di Mao. Il programma nucleare e missilistico cinese riuscì a
sopravvivere perfino alla Rivoluzione culturale, l' altra ondata di estremismo
che ebbe conseguenze micidiali sul sistema universitario. Il 24 aprile 1970,
nel mezzo delle convulsioni violente del movimento delle Guardie Rosse, Pechino
riusciva a mettere in orbita il suo primo satellite, che avrebbe fatto il giro
della terra trasmettendo l' inno «l' Oriente è rosso». Seguirono i programmi
per la miniaturizzazione delle testate, lo sviluppo di una forza di una forza
di dissuasione nucleare marittima, e di armi nucleari tattiche, in parte a
scopo difensivo ma anche mirate ad un ipotetico relativo all’invasione di Taiwan.
L'arsenale
cinese ha raggiunto il suo picco nel 2001 con 540 testate operative, mentre
attualmente se ne contano 260, anche se è molto difficile fornire un numero
preciso, soprattutto per quanto riguarda quelle attive. Anche per la Cina,
come per la Francia, la firma del trattato di non proliferazione è arrivata
solo nel 1992.