Vaticano Bergoglio, pragmatismo per conquistare la Cina Nello del Gatto 18/02/2016 |
È la Cina uno dei principali obiettivi pastorali e diplomatici di Papa Francesco che in più di una occasione si è detto pronto ad andare lì anche subito.
I rapporti tra le parti sono però difficili. I due paesi non hanno relazioni diplomatiche dal 1951, anche per il riconoscimento della Santa Sede di Taiwan che Pechino ritiene proprio territorio.
Uno scoglio che il Vaticano ha fatto intendere di poter superare in cambio di poter legittimamente “entrare” in un paese dove, secondo alcune stime, ci sono almeno il 2,3% di cristiani, in maggioranza protestanti, con circa 14 milioni di cattolici (tra membri della chiesa statale e fedeli al Papa).
Il solco insormontabile è la presenza dell’Associazione Patriottica Cattolica Cinese, la chiesa autocefala cinese che, non legata al papato, nomina, consacra e ordina vescovi e sacerdoti. È proprio sui vescovi che Roma e Pechino hanno le maggiori distanze.
La prima intervista di Bergoglio a un giornale asiatico
Il 2 febbraio, il quotidiano on line di Hong Kong Asia Times, ha pubblicato una intervista a papa Bergoglio, la prima a un giornale asiatico sulla Cina e i cinesi.
L’intervista segue la poco realistica (visto l’intervistato, capo di uno stato di vera teocrazia e ierocrazia e di una religione) premessa di non parlare di politica né di religione. Il tutto pienamente nel solco di una realpolitik tutta bergogliana verso la Cina (qualcuno dice anche nuova Ostpolitik) anche al prezzo dell’amaro in bocca di molti fedeli cinesi e lo sconcerto di diversi osservatori.
Nell’intervista Bergoglio loda la cultura e il popolo cinese e affronta temi come quello del figlio unico. Nessuna parola però sulla situazione dei cristiani in Cina, sulle chiese abbattute dal governo, sui fedeli arrestati, sui vescovi impossibilitati a svolgere il proprio mandato.
Come Taddeus Ma Daqin, vescovo di Shanghai dal 2012, che durante l’omelia dell’ordinazione annunciò fedeltà al Papa e da allora è rinchiuso “agli esercizi spirituali” a Sheshan. Oppure come Cosma Shi Enxiang, che ha passato 54 anni in carcere. Arrestato l’ultima volta nel 2001, non se ne sapeva nulla fino all’anno scorso, quando le autorità informarono la famiglia che era morto, senza mai restituire i suoi resti.
Il pragmatismo del Vaticano
L’intervista sarebbe perfetta in termini diplomatici se a parlare fosse un capo di stato interessato a entrare nel mercato cinese e quindi disposto a soprassedere sulle questioni dei diritti umani e sociali, più che il capo della Chiesa Cattolica.
Bergoglio è molto consequenziale in questo atteggiamento: non a caso non incontrò l’anno scorso a Roma il Dalai Lama e sono davvero poche le sue condanne alla situazione dei cristiani in Cina, tanto che il cardinale Joseph Zen Ze-kiun di Hong Kong, il più illustre esponente del Vaticano nell’area, ha più volte criticato questo silenzio di Roma.
Bergoglio ha spesso ribadito di muoversi nel solco della lettera che Benedetto XVI inviò ai cattolici di Cina nel 2007. Eppure, nel documento, il teologo tedesco scrisse chiaramente dell’incompatibilità della Santa Sede e della dottrina cattolica con la Chiesa patriottica cinese e il suo decantato e difeso autocefalismo.
Difesa che il governo cinese ha ribadito il 4 febbraio, in un editoriale del Global Times, quotidiano vicino al partito. Per i cinesi, il messaggio del papa è “una nota gentile”, ma il Vaticano “deve essere pragmatico”, riaffermando il concetto di indipendenza della propria chiesa da Roma: “La Cina - è scritto - dà grande importanza alla presente indipendenza delle istituzioni religiose da quelli fuori della Cina. Non ci si può aspettare che Pechino trovi un compromesso su questo punto”.
La Chiesa patriottica cinese
Una porta chiusa, che riporta tutto su un piano ancora più reale. Si parla di applicare alla Cina il modello vietnamita per la nomina dei vescovi, nel quale il Vaticano presenta al governo un nome e se Hanoi l’approva, la Santa Sede nomina ufficialmente il vescovo, altrimenti si ricomincia. Un modello che Pechino rigetta, perché vuole proporre i nomi che poi magari possano trovare il favore papale.
L’opposizione della Cina sta in due fattori: innanzitutto il governo centrale non può permettere a un paese straniero di interferire in nomine di funzionari di un apparato di governo quale è la chiesa patriottica (impensabile che cancellino l’associazione guidata da un funzionario del partito comunista); in secondo luogo, si teme per il peso sociale e politico che i pastori delle diocesi hanno, soprattutto in chiave anti governativa o a favore di rivendicazioni sociali e umane.
Bergoglio non ha finora scoperto le carte sulla sua idea di compromesso con i cinesi, punta a un incontro faccia a faccia con il presidente, per poi cominciare una vera trattativa.
L’intervista va in questo solco, mostrando Bergoglio come Matteo Ricci, il gesuita “euclideo” che per entrare alla corte degli imperatori Ming, si “vestì da mandarino” e acquistò molto credito a Pechino.
Questo vestito sicuramente agli occhi dei cinesi fa ottenere molta simpatia a Bergoglio, ma dire se otterrà quanto richiesto, è difficile. Un incontro è possibile, la cancellazione della chiesa patriottica è al momento impossibile.
Nello del Gatto, dopo aver lavorato come giornalista di nera e giudiziaria nella provincia di Napoli seguendo i più importanti processi di camorra, si è dedicato agli Esteri. Nel 2003 era alla stampa della presidenza italiana del consiglio dell'Ue; poi 6 anni in India come corrispondente per l'Ansa e successivamente a Shanghai con lo stesso ruolo (Twitter: @nellocats).
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I rapporti tra le parti sono però difficili. I due paesi non hanno relazioni diplomatiche dal 1951, anche per il riconoscimento della Santa Sede di Taiwan che Pechino ritiene proprio territorio.
Uno scoglio che il Vaticano ha fatto intendere di poter superare in cambio di poter legittimamente “entrare” in un paese dove, secondo alcune stime, ci sono almeno il 2,3% di cristiani, in maggioranza protestanti, con circa 14 milioni di cattolici (tra membri della chiesa statale e fedeli al Papa).
Il solco insormontabile è la presenza dell’Associazione Patriottica Cattolica Cinese, la chiesa autocefala cinese che, non legata al papato, nomina, consacra e ordina vescovi e sacerdoti. È proprio sui vescovi che Roma e Pechino hanno le maggiori distanze.
La prima intervista di Bergoglio a un giornale asiatico
Il 2 febbraio, il quotidiano on line di Hong Kong Asia Times, ha pubblicato una intervista a papa Bergoglio, la prima a un giornale asiatico sulla Cina e i cinesi.
L’intervista segue la poco realistica (visto l’intervistato, capo di uno stato di vera teocrazia e ierocrazia e di una religione) premessa di non parlare di politica né di religione. Il tutto pienamente nel solco di una realpolitik tutta bergogliana verso la Cina (qualcuno dice anche nuova Ostpolitik) anche al prezzo dell’amaro in bocca di molti fedeli cinesi e lo sconcerto di diversi osservatori.
Nell’intervista Bergoglio loda la cultura e il popolo cinese e affronta temi come quello del figlio unico. Nessuna parola però sulla situazione dei cristiani in Cina, sulle chiese abbattute dal governo, sui fedeli arrestati, sui vescovi impossibilitati a svolgere il proprio mandato.
Come Taddeus Ma Daqin, vescovo di Shanghai dal 2012, che durante l’omelia dell’ordinazione annunciò fedeltà al Papa e da allora è rinchiuso “agli esercizi spirituali” a Sheshan. Oppure come Cosma Shi Enxiang, che ha passato 54 anni in carcere. Arrestato l’ultima volta nel 2001, non se ne sapeva nulla fino all’anno scorso, quando le autorità informarono la famiglia che era morto, senza mai restituire i suoi resti.
Il pragmatismo del Vaticano
L’intervista sarebbe perfetta in termini diplomatici se a parlare fosse un capo di stato interessato a entrare nel mercato cinese e quindi disposto a soprassedere sulle questioni dei diritti umani e sociali, più che il capo della Chiesa Cattolica.
Bergoglio è molto consequenziale in questo atteggiamento: non a caso non incontrò l’anno scorso a Roma il Dalai Lama e sono davvero poche le sue condanne alla situazione dei cristiani in Cina, tanto che il cardinale Joseph Zen Ze-kiun di Hong Kong, il più illustre esponente del Vaticano nell’area, ha più volte criticato questo silenzio di Roma.
Bergoglio ha spesso ribadito di muoversi nel solco della lettera che Benedetto XVI inviò ai cattolici di Cina nel 2007. Eppure, nel documento, il teologo tedesco scrisse chiaramente dell’incompatibilità della Santa Sede e della dottrina cattolica con la Chiesa patriottica cinese e il suo decantato e difeso autocefalismo.
Difesa che il governo cinese ha ribadito il 4 febbraio, in un editoriale del Global Times, quotidiano vicino al partito. Per i cinesi, il messaggio del papa è “una nota gentile”, ma il Vaticano “deve essere pragmatico”, riaffermando il concetto di indipendenza della propria chiesa da Roma: “La Cina - è scritto - dà grande importanza alla presente indipendenza delle istituzioni religiose da quelli fuori della Cina. Non ci si può aspettare che Pechino trovi un compromesso su questo punto”.
La Chiesa patriottica cinese
Una porta chiusa, che riporta tutto su un piano ancora più reale. Si parla di applicare alla Cina il modello vietnamita per la nomina dei vescovi, nel quale il Vaticano presenta al governo un nome e se Hanoi l’approva, la Santa Sede nomina ufficialmente il vescovo, altrimenti si ricomincia. Un modello che Pechino rigetta, perché vuole proporre i nomi che poi magari possano trovare il favore papale.
L’opposizione della Cina sta in due fattori: innanzitutto il governo centrale non può permettere a un paese straniero di interferire in nomine di funzionari di un apparato di governo quale è la chiesa patriottica (impensabile che cancellino l’associazione guidata da un funzionario del partito comunista); in secondo luogo, si teme per il peso sociale e politico che i pastori delle diocesi hanno, soprattutto in chiave anti governativa o a favore di rivendicazioni sociali e umane.
Bergoglio non ha finora scoperto le carte sulla sua idea di compromesso con i cinesi, punta a un incontro faccia a faccia con il presidente, per poi cominciare una vera trattativa.
L’intervista va in questo solco, mostrando Bergoglio come Matteo Ricci, il gesuita “euclideo” che per entrare alla corte degli imperatori Ming, si “vestì da mandarino” e acquistò molto credito a Pechino.
Questo vestito sicuramente agli occhi dei cinesi fa ottenere molta simpatia a Bergoglio, ma dire se otterrà quanto richiesto, è difficile. Un incontro è possibile, la cancellazione della chiesa patriottica è al momento impossibile.
Nello del Gatto, dopo aver lavorato come giornalista di nera e giudiziaria nella provincia di Napoli seguendo i più importanti processi di camorra, si è dedicato agli Esteri. Nel 2003 era alla stampa della presidenza italiana del consiglio dell'Ue; poi 6 anni in India come corrispondente per l'Ansa e successivamente a Shanghai con lo stesso ruolo (Twitter: @nellocats).