Asia-Europe meeting All’Asem l’Ue cerca un ruolo nel grande gioco asiatico Nicola Casarini 16/10/2014 |
Il decimo summit dell’Asia-Europe meeting (Asem), in programma a Milano il 16-17 ottobre è un’occasione per riflettere sui traguardi raggiunti, e le sfide future, che attendono questo forum di discussione inter-regionale unico nel suo genere.
Il suo maggior successo sta nell’essere riuscito, nel corso degli anni, a restare il solo forum di dialogo tra Europa e Asia veramente rilevante, a tal punto che molti altri paesi non appartenenti al gruppo originario vi hanno voluto via via aderire.
Oggi però, la crescita esponenziale dei suoi membri è il suo limite maggiore. Per uscire da questa impasse sarebbe opportuno ritornare allo spirito delle origini, attraverso un rinnovato partenariato tra Unione europea (Ue), e Asean+3 (Cina, Giappone e Corea del Sud).
Asem contraltare all’Apec
L’Asem mette insieme, da una parte, i 28 paesi membri della Ue, due paesi associati quali la Svizzera e la Norvegia e la Commissione europea.
Dall’altra, ci sono venti paesi asiatici: i dieci membri dell’Associazione delle nazioni del Sud est asiatico, Asean, - più il Segretariato Asean - e poi Cina, Giappone, Corea del Sud (per l’Asia nord-orientale), India, Pakistan e Bangladesh (per l’Asia meridionale), Australia, Nuova Zelanda e Russia. Per un totale di 51 membri - e la prospettiva di accoglierne dei nuovi.
Questo numeroso consesso rappresenta circa il 60% della popolazione mondiale, la metà della ricchezza globale, e due terzi del commercio internazionale. Eppure è proprio questo che ne limita la sua azione.
Troppi sono infatti i paesi membri e troppe le diversità perché l’Asem possa esercitare in maniera efficace quel ruolo di promozione del dialogo e degli scambi tra Europa e Asia che lo ha fatto nascere.
La creazione dell’Asem nel 1996 rappresentò una novità nello scacchiere internazionale, istituzionalizzando per la prima volta dal secondo dopoguerra un canale di dialogo diretto tra i leader delle due parti, con la non celata intenzione, da parte europea, di far da contraltare all’Apec, l’Asia-Pacific economic cooperation di ispirazione americana, e da parte asiatica, ridurre la predominanza delle relazioni transatlantiche sull’economia globale.
Al primo summit dell’Asem a Bangkok parteciparono in 26: per la parte europea, gli allora 15 paesi membri della Ue più la Commissione europea. Da parte asiatica, gli allora sette paesi membri dell’Asean più Cina, Giappone e Corea del Sud - il cosiddetto Asean+3.
Questo gruppo, nato a margine del primo incontro Asem - e apertamente osteggiato dalle varie amministrazioni Usa, che vi vedevano in esso un tentativo di limitare l’influenza di Washington - è divenuto da allora il punto focale del processo di integrazione in Asia.
Contributo italiano nell’Asem
Attraverso l’Asem, la Ue ha così giocato sia la carta geopolitica - attraverso la creazione di un forum alternativo all’Apec - che la carta dei principi - appoggiando l’Asean+3 e, più in generale, le iniziative asiatiche verso una maggiore integrazione.
Ma mentre il mondo è profondamente cambiato dal 1996, non lo è l’Asem che si è allargato, senza mai però ripensarsi veramente. Con 51 membri, che vanno dall’Australia alla Russia passando per il Bangladesh, che futuro può avere l’Asem? E quale potrebbe essere il contributo dell’Italia?
Sarebbe nell’interesse di lungo termine della Ue quello di promuovere, all’interno dell’Asem, una discussione in vista di un accordo di libero scambio con il gruppo dell’Asean+3 (all’origine, lo ricordiamo, dell’Asem stesso).
Questo avrebbe un duplice risultato, sia economico che geopolitico. Da una parte, metterebbe insieme la serie di accordi che l’Ue ha già siglato (l’accordo di libero scambio con la Corea del Sud e Singapore), che ha in essere (Vietnam, Giappone) e quelli sui quali c’è un’intenzione di massima (Asean, Cina).
Allo stesso tempo, lancerebbe un messaggio politico di grande importanza verso l’Asia, incluso un appoggio pieno ai tentativi di integrazione regionale.
Nuovo partenariato Ue-Asean+3
Con una tale proposta, l’Ue eviterebbe di venire esclusa dalle dinamiche in atto in questa parte del mondo, visto anche che l’Unione è il secondo partner commerciale dell’Asia, subito dopo la Cina, ma prima degli Stati Uniti.
Questi ultimi - attraverso la cosiddetta Trans Pacific Partnership - mirano a creare un’area di libero scambio con alcuni paesi dell’Asia che tenderebbe a escludere alcune economie, quali la Cina. Ciò minerebbe in profondità gli sforzi verso una maggiore integrazione regionale. Inclusi quelli - seppur difficili, ma degni di essere perseguiti - tra Pechino, Seoul e Tokyo.
Un eventuale accordo di libero scambio tra le tre grandi economie dell’Asia nord-orientale avrebbe importanti ricadute sulla sicurezza regionale. E ciò non è marginale in quest’area del mondo attraversata da forti nazionalismi.
Il governo italiano si trova in una situazione di forza in questo momento. La nomina del nostro Ministro degli Esteri, Federica Mogherini, ad Alto rappresentante dell’Unione per la politica estera lo testimonia.
Potrebbe essere il lancio di un nuovo partenariato tra Ue e Asean+3 l’occasione per la politica estera italiana - ed europea - di inserire stabilmente l’Ue nel grande gioco asiatico raccogliendone i frutti sia economici sia politici?
Nicola Casarini è Public Policy Scholar presso il Wilson Center in Washington e consulente di ricerca dello Iai.
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Il suo maggior successo sta nell’essere riuscito, nel corso degli anni, a restare il solo forum di dialogo tra Europa e Asia veramente rilevante, a tal punto che molti altri paesi non appartenenti al gruppo originario vi hanno voluto via via aderire.
Oggi però, la crescita esponenziale dei suoi membri è il suo limite maggiore. Per uscire da questa impasse sarebbe opportuno ritornare allo spirito delle origini, attraverso un rinnovato partenariato tra Unione europea (Ue), e Asean+3 (Cina, Giappone e Corea del Sud).
Asem contraltare all’Apec
L’Asem mette insieme, da una parte, i 28 paesi membri della Ue, due paesi associati quali la Svizzera e la Norvegia e la Commissione europea.
Dall’altra, ci sono venti paesi asiatici: i dieci membri dell’Associazione delle nazioni del Sud est asiatico, Asean, - più il Segretariato Asean - e poi Cina, Giappone, Corea del Sud (per l’Asia nord-orientale), India, Pakistan e Bangladesh (per l’Asia meridionale), Australia, Nuova Zelanda e Russia. Per un totale di 51 membri - e la prospettiva di accoglierne dei nuovi.
Questo numeroso consesso rappresenta circa il 60% della popolazione mondiale, la metà della ricchezza globale, e due terzi del commercio internazionale. Eppure è proprio questo che ne limita la sua azione.
Troppi sono infatti i paesi membri e troppe le diversità perché l’Asem possa esercitare in maniera efficace quel ruolo di promozione del dialogo e degli scambi tra Europa e Asia che lo ha fatto nascere.
La creazione dell’Asem nel 1996 rappresentò una novità nello scacchiere internazionale, istituzionalizzando per la prima volta dal secondo dopoguerra un canale di dialogo diretto tra i leader delle due parti, con la non celata intenzione, da parte europea, di far da contraltare all’Apec, l’Asia-Pacific economic cooperation di ispirazione americana, e da parte asiatica, ridurre la predominanza delle relazioni transatlantiche sull’economia globale.
Al primo summit dell’Asem a Bangkok parteciparono in 26: per la parte europea, gli allora 15 paesi membri della Ue più la Commissione europea. Da parte asiatica, gli allora sette paesi membri dell’Asean più Cina, Giappone e Corea del Sud - il cosiddetto Asean+3.
Questo gruppo, nato a margine del primo incontro Asem - e apertamente osteggiato dalle varie amministrazioni Usa, che vi vedevano in esso un tentativo di limitare l’influenza di Washington - è divenuto da allora il punto focale del processo di integrazione in Asia.
Contributo italiano nell’Asem
Attraverso l’Asem, la Ue ha così giocato sia la carta geopolitica - attraverso la creazione di un forum alternativo all’Apec - che la carta dei principi - appoggiando l’Asean+3 e, più in generale, le iniziative asiatiche verso una maggiore integrazione.
Ma mentre il mondo è profondamente cambiato dal 1996, non lo è l’Asem che si è allargato, senza mai però ripensarsi veramente. Con 51 membri, che vanno dall’Australia alla Russia passando per il Bangladesh, che futuro può avere l’Asem? E quale potrebbe essere il contributo dell’Italia?
Sarebbe nell’interesse di lungo termine della Ue quello di promuovere, all’interno dell’Asem, una discussione in vista di un accordo di libero scambio con il gruppo dell’Asean+3 (all’origine, lo ricordiamo, dell’Asem stesso).
Questo avrebbe un duplice risultato, sia economico che geopolitico. Da una parte, metterebbe insieme la serie di accordi che l’Ue ha già siglato (l’accordo di libero scambio con la Corea del Sud e Singapore), che ha in essere (Vietnam, Giappone) e quelli sui quali c’è un’intenzione di massima (Asean, Cina).
Allo stesso tempo, lancerebbe un messaggio politico di grande importanza verso l’Asia, incluso un appoggio pieno ai tentativi di integrazione regionale.
Nuovo partenariato Ue-Asean+3
Con una tale proposta, l’Ue eviterebbe di venire esclusa dalle dinamiche in atto in questa parte del mondo, visto anche che l’Unione è il secondo partner commerciale dell’Asia, subito dopo la Cina, ma prima degli Stati Uniti.
Questi ultimi - attraverso la cosiddetta Trans Pacific Partnership - mirano a creare un’area di libero scambio con alcuni paesi dell’Asia che tenderebbe a escludere alcune economie, quali la Cina. Ciò minerebbe in profondità gli sforzi verso una maggiore integrazione regionale. Inclusi quelli - seppur difficili, ma degni di essere perseguiti - tra Pechino, Seoul e Tokyo.
Un eventuale accordo di libero scambio tra le tre grandi economie dell’Asia nord-orientale avrebbe importanti ricadute sulla sicurezza regionale. E ciò non è marginale in quest’area del mondo attraversata da forti nazionalismi.
Il governo italiano si trova in una situazione di forza in questo momento. La nomina del nostro Ministro degli Esteri, Federica Mogherini, ad Alto rappresentante dell’Unione per la politica estera lo testimonia.
Potrebbe essere il lancio di un nuovo partenariato tra Ue e Asean+3 l’occasione per la politica estera italiana - ed europea - di inserire stabilmente l’Ue nel grande gioco asiatico raccogliendone i frutti sia economici sia politici?
Nicola Casarini è Public Policy Scholar presso il Wilson Center in Washington e consulente di ricerca dello Iai.